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Osho
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Mi scuso per il ritardo con cui scrivo un pezzo richiesto da un cortese lettore.
Scriviamo di un personaggio noto (forse meno di altri), ma comunque capace di influenzare certo modo di vivere la spiritualità personale anche di molti cattolici «moderni», con il prurito di conoscere cose nuove e aperture differenti sul mondo dello spirito.
Occorre approfondire i contenuti del cristianesimo in modo da rendersi conto che le ricchezze ivi deposte sono davvero insuperate e non superabili, perché in grado addirittura che di introdurci nel Mistero dei misteri, nella dimensione Divina dell’Essere.

La «non - filosofia» di Osho (1), come è stata definita, si presenta come ma sorta di sincretistica ideologia ispirata per lo più alle filosofie dell’Oriente, ma debitamente condita di valutazioni psicoanalitiche e metodiche volgarizzazioni occidentali; essa pretende - ma questa è un po’ una moda tipica di questi ultimi anni e di molti maestri e guru orientali che vengano ad insegnare in Occidente - di essere depositaria di una via di pensiero che costituirebbe una sorta di punto di arrivo di precedenti ed a volte contrastanti modi di intendere il mondo; l’ispirazione è quindi a partire da testi e pratiche buddiste, cristiane, induiste, maoiste, sufi e via dicendo.

L’intuizione geniale di Osho è quella di comprendere che l’uomo è assetato di senso del divino e del trascendente e necessita pertanto di trovare modi e soluzioni di pregare e meditare la sua più profonda realtà.
Questo lo porterà ad elaborare diverse modalità di meditazione, alcune, come detto, mutuate ed adattate alla mentalità occidentale, per sua stessa dichiarazione.

Riscontriamo: Meditazione Dinamica; Meditazione Kundalini; Meditazione Nataraj; Meditazione Nadabrahma; Meditazione Mandala; Meditazione Whirling.

L’errore gravissimo tuttavia è quello di pensare ad un Divino immanente, tipico di una visione monista, orientaleggiante, che pochissimo riesce a conciliarsi con il cristianesimo, senza adulterarne il vero senso.

«Il mio sforzo è quello di lasciarti solo con la meditazione, senza che ci siano mediatori tra te e l’esistenza. Quando non sei in meditazione sei separato dall’esistenza, e questa è la tua sofferenza. La meditazione non è altro che l’eliminazione di tutte le barriere, i pensieri, le emozioni, i sentimenti che creano un muro tra te e l’esistenza. Nel momento in cui le barriere cadono, ti ritrovi in sintonia con il tutto; non solo in sintonia, scopri in realtà di essere il tutto» (2).

Che l’uomo abbia necessità di meditare e di pregare è verissimo; anzi! è ancor più vero che senza il momento della preghiera (e senza la preghiera continua), la vita spirituale della persona si spegne in un insensato vortice di evoluzione temporale, privo di inizio e fine autentici.
Ma meditare non è ancora trovare o trovarsi è soltanto mettersi in cammino verso la vera preghiera, che è incontro con il Dio vivo.

La preghiera spirituale, come la chiama Evagrio, è infatti la fase oltre l’interruzione del flusso dei pensieri o lo svuotamento Zen di ogni logica umana.
E’ apertura trascendente nella nudità dell’intelletto a Colui che si dona oltre ogni umanità, ma nell’umanità.
Le pratiche orientali di meditazione restano pertanto sul confine della preghiera, ma non vi accedono, anche perché non possono.

Partendo infatti dall’erroneo presupposto dell’immanenza del Divino, si precludono l’esistenza dell’Altro, chiudendosi in un labirinto privo di reali sbocchi, che inchiodi ogni uscita soltanto ad un ingigantimento indebito e mortale dell’ «io», apparentemente domato, ma in verità distratto dal suo fine essenziale, che è l’essere adorazione perpetua dell’Eterno.
Questa ostruzione ideologica non soltanto blocca l’autentico percorso spirituale dell’uomo, che deve riscoprire in Gesù la radice dell’ «io sono» (ogni individualità ha senso soltanto se vive di Dio e nel Logos eterno ritrova pienezza del proprio originale significato), ma sfocia inesorabilmente
in relativistiche considerazioni morali.

Senza entrare nel merito della falsità pericolosissima di pratiche tantriche, utilizzate da Osho, che pretendono di sacralizzare anche il peccato orgiastico, ingannando se stessi e gli altri, altre considerazioni si possono fare prendendo spunto da alcune affermazioni, presenti sul sito ufficiale.

«L’uomo che sa come innamorarsi, sa anche quando è arrivato il momento di tirarsene fuori. Lo farà con grazia, dirà arrivederci con gratitudine, ma prima deve sapere come si fa ad amare» (3).

Questa affermazione di Osho apre uno scenario inquietante sulle relazioni umane, che, vittime della falsa visone monista, restano prive di un autentico e fermo punto di riferimento: credere quanto scritto significa infatti vanificare, per esempio, ogni perpetuità del vincolo matrimoniale: chi ama non può «tirarsi fuori da nulla», consegna se stesso nelle mani dell’altro/a senza riserve o ripensamenti e resta fermo nel proposito fatto, perché ormai non ha più nulla da rivendicare, avendo donato tutto.

Ancora ad esempio si rifletta su questo: «Se non sei creativo, diventi necessariamente distruttivo. Non puoi rimanere neutrale: o sostieni la vita con tutte le sue gioie, oppure la condanni», con ciò stesso implicitamente riprovando ogni morale ed etica, volta all’ordine ed al discernimento tra bene e male, assolutamente necessario corollario di vita eterna.
«Chi mi ama osserverà la mia parola, e noi verremo a Lui e prenderemo dimora presso di lui».

L’ascolto e la pratica della Parola è la vera massima libertà, che mai potrà prescindere dall’adesione al vero.

Stefano Maria Chiari



1) In wikipedia leggiamo: Rajneesh Chandra Mohan Jain, meglio conosciuto durante gli anni Settanta come Bhagwan Shree Rajneesh e più tardi come Osho (Kuchwada, 11 dicembre 1931 - Pune, 19 gennaio 1990), è stato un filosofo e leader carismatico e Maestro spirituale indiano.
2) www.osho.com/index.cfm?Language=Italian
3) Ibidem.


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