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Le «pussy» del Potere (e il potere della «pussy»)
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Avevo appena iniziato a mangiucchiare qualcosa, quando sulla «striscia» di Rainews è apparsa la ferale notizia: hanno condannato le «Pussy Riot». E poi «Mobilitazione planetaria sul Web».

Planetaria capite? È questa la violazione dei diritti umani, mica Guantanamo o il Patriot Act o il massacro dei cristiani in Nigeria o dei Palestinesi nei territori. No, il problema dei problemi sono le Pussy Riot: a questo siamo.

In ogni caso spero che non subiscano una dura condanna. Non lo meritano.

Intendo dire che tre simili nullità non possono essere trasformate né in icone del pop (mica sanno cantare, guaiscono!), nè in martiri della libertà e della democrazia. Sono solo tre piccole invasate di bassa fattura (o di più... dipende da quanto le hanno pagate e le pagheranno).

Una volta a fare trasgressione in Russia c’erano le TATU’, Lena e Julia, un duo pop lesbico, che non lascerà una traccia indelebile nella storia della musica... Oggi è il turno delle Pussy Riot. Ma la loro è solo – come dice la denominazione che si sono scelte – una «sommossa della f…a»... e avete capito come si tradurrebbe se il trio fosse al maschile. Di queste rivolte ne abbiamo già viste troppe dagli anni ’60 in qua.

Il copione è sempre lo stesso: qualche forma di banale profanazione anticristiana esibita come trasgressione, la rivendicazione della propria libertà, la proclamazione dell’unico valore che possiedono come una cambiale che andrà presto in scadenza (... sì, proprio quella «cosina» che compare nel nome del gruppo), la ricerca di una sanzione da parte delle istituzioni, da poter esibire come patente di «martirio per la libertà».

Tutto sono tranne che un bacchettone, ma proprio per questo ci vuole ben altro oramai a scandalizzarmi. Invece faccio prestissimo ad annoiarmi e questa qua è merce riciclata e scaduta!

A supporto delle tre pseudo artiste è scesa in campo – badate bene! – la «star system» per eccellenza, Maria Luisa Ciccone, in «arte» Madonna. Ricordo che stiamo parlando proprio della stessa icona trasgressiva (si fa per dire!) che all’indomani dell’invasione americana in Iraq fu talmente «ribelle» al potere (quello vero, quello che non scherza!) da ritirare «spontaneamente» dai canali musicali il video-scandalo che avrebbe dovuto accompagnare il brano «American Life» ancor prima di uscire. Il messaggio che la popstar aveva immaginato di lanciare mediante crude immagini doveva essere, come lei stessa a suo tempo ebbe a dichiarare, un messaggio contro le stragi, la guerra e soprattutto un invito alla pace. Poi Bush entrò in guerra e il video fu sostituito con un primo piano della Ciccone che canta su un susseguirsi di bandiere degli stati del mondo e si conclude su una patriottica «Stars and Stripes» a tutto schermo: roba da Min.cul.pop.

La Ciccone nel recente concerto di Mosca si è presentata sul palco in un improbabile look semitrasparente, inneggiando alla Pussy Riot con una scritta sulla schiena nuda. Peccato che il tempo con lei sia particolarmente inclemente e che né il trucco, né le luci di scena riescano ormai a rimediare a quello che appare ormai come prolasso dermico generalizzato.



Vi lascio immaginare lo spettacolo quando in Turchia aveva abbozzato a mostrare il capezzolo. Per fortuna il reggiseno si chiama così non a caso...

Comunque è ormai lunghissimo l’elenco delle «cantanti trasgressive», di quelle che a vario titolo abbozzano – senza andare fino in fondo – ciò che le pornostar fanno: rendere la «pussy» il centro del loro messaggio e l’infallibile strumento per solleticare con esplicite profanazioni l’impulso sessuale, da usarsi in chiave antireligiosa. Anzi in chiave anticattolica.

D’altro canto non c’è da stupirsene e nemmeno da rammaricarsene più di tanto. È il segno che la Fede cattolica è l’unica che valga la pena di essere o creduta o combattuta e l’unica anche che possa competere con la forza straordinaria della «p…y».

Certo, perché altrimenti i modernisti si sforzerebbero tanto per introdurre il sacerdozio femminile, dissacrare la Messa, liberalizzare la morale sessuale, dichiarare lecito l’uso del profilattico, riconoscere il divorzio e le coppie gay? E perché tanto successo per Dan Brown ed il suo Codice da Vinci, altrimenti?

Semplice: l’energia più potente tra le cose del Mondo passa di lì, dal basso ventre.



La Chiesa ha sempre saputo quale forza positiva, ma anche di dissoluzione è presente nella sessualità e non a caso molte sette spiritiste ne hanno esaltato l’uso iniziatico e magico. (pensate al frankismo, ai Khlysti di Rasputin, ai seguaci shivaiti o di Kali o a tutta la tradizione tantrica). Ora è proprio in questa direzione dissolutiva che non a caso le icone femminili del pop vengono utilizzate dal Potere, con lo scopo di sottomettere integralmente le pulsioni primarie, in una sorta di iniziazione pornochic verso la decomposizione interiore. Ed è lo stesso uso che, nelle sette di cui dicevamo, la femmina svolge, alla stregua di ministro di un culto lunare e invertito.

Il risultato è la dominazione sul Maschile e la sua sottomissione al potere del Foeminino, che, lasciato alla propria autoreferenzialità, è a sua volta il servo più fedele del Potere in sè: guardate i video di qualcuna di queste pop-pono-stars e vedrete l’uso del maschio che ne viene fatto, carne da crapula e da copula «infernale e anticristica», condita di allusioni esoteriche ed ermetiche (ne riparleremo): un maschio, anzi molti addosso a lei ridotti ad essere «schiavi e fuchi», sedotti, spremuti, usati, succhiati e sfiniti, ma inutili e sterili, esseri inadatti a dare la vita. E ciò non è un caso: il sesso che non dà vita diventa pur talvolta senza saperlo un regno del Nulla, ove il piacere stesso diventa nevrosi e ossessione.

Al contrario di ciò che è la vulgata, la Chiesa ha sempre avuto in grande reverenza la sessualità e ciò perché ad essa è intrinsecamente legato il mistero della Vita. Per questo, non per bieco moralismo la Chiesa ha sempre indirizzato la sessualità in direzione anagogica e solo così è spiegabile una certa, magari talvolta eccessiva pressione (non in realtà repressione) sulla sessualità.

Il risultato non a caso è sempre stato straordinario anche in  termini di «resa profana»: per i giovani non ci voleva – come accade spesso oggi – il Viagra, casomai il bromuro. Insomma nessuno ha fatto così tanto e così bene per il sesso come la Chiesa. Ed ecco perché l’uno e l’altra sono un bersaglio così cercato dai poteri mediatici. Separare il sesso dalla vita e il sesso dalla Chiesa significa asservirlo alle potenze del Cosmo. E voi capite a chi mi riferisco.

Ecco perché le Pussy Riot e le altre «pussy» più famose e blasonate (dalla Ciccone, a Beyoncè, a Rihanna alla Germanotta, in arte Lady Gaga) in fondo mi fanno pena e non solo per come si sono ridotte e peggio si ridurranno, arse dal loro «stesso» fuoco, ma perché senza avere il sacro da profanare sarebbero nulla e nulla avrebbero da dire.

Semplicemente sono – come è il Demonio – incapaci di essere «da sé», sono infere, cioè inferiori, prima che infernali.

Spero abbiate notato che non ho mai definito queste donne come «prostitute». Esse non hanno la «rispettabilità delle prostitute». Le prostitute sono molto meglio, perchè non negano a se stesse e agli altri ciò che fanno e perché lo fanno, cioè per denaro. Tuttavia quasi sempre le conseguenze della loro vita le prostitute le pagano davvero sulla propria pelle. Non a caso, anche quelle di «lusso», appena possono ne fuggono e cambiano vita. Debbono ad un certo punto provare la menzogna di ciò che attraversa la loro carne: è nel riconoscimento di ciò, che nasce spesso quella volontà di cambiare vita capace di fare sì che esse – come è scritto – ci precederanno nel Regno dei cieli.

Tornando a noi, se i giornali nazionali e le agenzie internazionali dedicano a questa vicenda le prime pagine senza che nessuno smascheri l’intento politico che vi sta dietro (accendere a Mosca un'altra fiammella della Rivoluzione arancione, unirla a quelle delle primavere arabe e delegittimare la Russia per la sua riottosa ostinazione a non sottomettersi al Nuovo Ordine Mondiale), allora davvero ci meritiamo l’inferno che ci fanno vivere  e che ci scateneranno addosso.

... leggo adesso che le tre ragazze sono state condannate a due anni. È una pena lieve e giusta, ma se fossi stato io il giudice ne avrei disposto la scarcerazione immediata con una sola condizione: che le tre fossero disposte a rifare ciò che hanno fatto davanti all’altare della Chiesa di Cristo Salvatore, andando però questa volta nella Grande Moschea della Mecca, per protestare contro l’immonda dinastia saudita e la discriminazione femminile o – meglio ancora – nella Sinagoga Grande di Gerusalemme ad esibire le pudenda davanti alla Santa Torah e chiedendo libertà per i Palestinesi.

No, non credo che il processo avrebbe lo stesso rilievo mediatico. Semplicemente a processo non ci arriverebbero.

Domenico Savino




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