>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Stragi su stragi saudite. Di musulmani
Stampa
  Text size
Dopo il massacro dei turisti a Tunisi, è seguita l’orrenda strage di Sanaa in Yemen, dove tre individui si sono fatti esplodere in tre moschee sciite: almeno 150 morti e 340 feriti. Sul mandante non c’è dubbio: la criminale monarchia saudita, con i suoi satelliti, i miliardari del Golfo. Nel poverissimo Yemen ha preso il sopravvento sulla minoranza oppressa sciita (il 40% della popolazione) angariata dalla cosca sunnita, e ad ogni affermazione degli Houthi (si chiamano così) (1) s’è risposto versando fiumi del loro sangue: anche nell’ottobre scorso, quando una bomba aveva riempito il centro di Sanaa di 47 cadaveri, molti bambini e donne. Anche quel massacro, di indubbia matrice: siamo nel cuore della lotta dei wahabiti contro l’Iran, la sua egemonia e il suo prestigio. L’affermazione politica degli Houthi, che si sono impegnati ad un processo di transizione con le altre componenti della nazione, è, per Ryad, un altro passo avanti dell’Iran.

Solo pochi giorni prima una delegazione yemenita aveva visitato, senza clamore, Teheran , e ne era tornata con la firma di accordi per lo sviluppo: fra l’altro, la fornitura di greggio per un anno e la costruzione di una centrale elettrica da parte degli iraniani. In questa è arrivata «l’ingerenza» saudita, sotto forma di strage: per i monarchi del Golfo, il sangue arabo è più a buon prezzo del greggio; la patente complicità e convergenza con Sion nella volontà di stroncare l’Iran, sembra aver esteso anche sui principotti sauditi l’impunità di cui gode Israele in Occidente, per i suoi (analoghi) stermini (davvero i Saud devono essere dunmeh, si riconosce l’aria di famiglia). Sui media, il fiume di sangue yemenita è una notizia lontana e sbiadita. Ci si è limitati a dire che l’attentato è stato rivendicato dall’ISIS. Immancabile.

ISIS in Yemen? USA ne dubita

La vera novità è che gli Stati Uniti, stavolta, hanno espresso ufficialmente dubbi sulla paternità rivendicata della strage. «Spesso l’Isis si attribuisce la responsabilità di attacchi per scopi puramente propagandistici», ha detto Josh Earnest, portavoce della Casa Bianca. Tanta prudenza è insolita. Da anni gli USA prendono per buoni , o almeno si astengono dal delegittimare, ogni sorta di «messaggi di Bin Laden», o adesso del «Califfo» e di «Jihadi John», compresi quelli stampigliati con il logo del SITE di Rita Katz, falsi come banconote da tre euro.

Che se poi volessero, i servizi USA possono togliersi i dubbi comunicando direttamente con la gente dell’ISIS: sanno benissimo come farli. I comandi iracheni (che stanno davvero combattendo i tagliagole) sostengono di aver intercettato e registrato conversazioni fra gli aerei USA che lanciano rifornimenti ed armi e i tagliagole a terra. Dialoghi più o meno così: «Di quelle munizioni che avete lanciato vicino [sulla Speiker Military Base, un campo oggi usato dalle forze irachene] ce ne sono anche per noi?». Risposta dal cielo: «Avrete anche voi la vostra parte». Il che mostra come lo scopo americano sia la consunzione per attrizione delle due parti. «Le forze USA, lanciando armi e munizioni per l’ISIS specialmente in Yassreb, al Ramadi e presso la Base Speiker in Hay al-Kadessiya danno un sacco di aiuto ai terroristi», ha testimoniato il comandante del battaglione Ali Akbar all’agenzia iraniana Fars.

Come mai dunque adesso gli americani fanno sapere che dubitano della rivendicazione? Forse una presa di distanza in codice? La preoccupazione di distinguere bene fra il «loro» ISIS (quello che hanno creato per la Siria e per l’Iraq tikrita) da quello che opera in Yemen? Che con quello yemenita non abbiano comunicazioni altrettanto cordiali lo dimostra un fatto: che le truppe USA hanno abbandonato in fretta e furia, il 20-22 marzo, la base aerea di Al-Anad, concessa loro anni orsono dal dittatore Ali Abdullah Saleh — ammissione di sconfitta e di aver perso ogni controllo sul paese? Scappano abbandonando il caos ai sauditi ?



Non è facile rispondere. Proprio in questi giorni, fra gli attentati commissionati ai terroristi islamici, i sauditi sembrano promuovere rapidi e notevoli cambiamenti nello scacchiere, che segnalano il passaggio a un più alto livello dei loro giochi.

Hanno inondato il Cairo di miliardi

È accaduto il 13-15 marzo quando, a Sharm El Sheik, s’è tenuta la Conferenza sul futuro dell’Egitto: il Generale Al Sisi era lì per chiedere fondi per consolidare il suo regime agli occhi della propria popolazione, in profonda crisi sociale ed economica. Quattro Paesi del Golfo hanno impegnato 12,5 miliardi di dollari; quanto ad investimenti diretti, il Cairo ne avrebbe ottenuti per 36,2 miliardi. La generosità dei sovrani wahabi verso il regime egiziano nemico dei suoi nemici pare senza limiti: nel 2014 avevano staccato ad Al Sisi un assegno da 2 miliardi perché si comprasse dell’armamento (russo, per aggirare la mezza minaccia di Obama di sospendere gli aiuti al generale egiziano dopo che aveva cacciato dal potere i Fratelli Musulmani); poi, sempre per aggirare divieti americani, hanno regalato ad Al Sissi 24 bombardieri francesi Rafale, della compagnia (ebraica) Dassault, di cui l’uomo del Cairo aveva urgente bisogno per bombardare i ribelli libici in Cirenaica.

Alla conferenza di Sharm erano presenti gli occidentali, fra cui il segretario di Stato John Kerry – il che non vuol dire necessariamente che questa enorme donazione saudita sia stata suggerita, ordinata o coordinata con Washington. Nel dubbio, è impossibile decidere fra le ipotesi di questa pioggia d’oro sull’egiziano. Ne sono state fatte diverse: scongiurare un avvicinamento dell’Egitto alla Siria, in nome della loro lotta comune contro i terroristi e i Fratelli Musulmani; allontanare l’Egitto da Mosca; impedire all’Egitto di esercitare il suo ruolo storico nel Medio Oriente. L’analista libanese Nasser Kandil, senza escludere le motivazioni dette sopra, ne aggiunge un’altra, che ha come centro proprio lo Yemen.

Lo Yemen sarebbe diventato l’incubo di Ryad. Ha tentato con tutti i mezzi di portare il dialogo tra le componenti yemenite nella loro capitale, onde controllarlo attraverso il loro uomo, il presente yemenita dimissionario Mansour al-Hadi; ha fallito. Gli Houthi hanno addirittura mandato truppe volontarie alla frontiera con il regno petrolifero, come a dire: niente ingerenze. La monarchia, priva di adeguate forze militari, secondo Kalil ha tentato di convincere prima il turco Erdogan a partecipare alla «pacificazione» dello Yemen mandando scarponi sul terreno, e ricevendone una risposta del tipo: «Quando saremo disposti ad un intervento militare diretto, sarà in Siria». Adesso hanno provato anche con Al-Sissi, il quale ha per le mani l’offensiva contro i takfiri della Libia (che ha il favore della popolazione, dopo la decapitazione dei 21 copti diffusa via video dal SITE).

Al Sissi voleva un mandato del Consiglio di Sicurezza ONU contro il terrorismo in Libia; cosa difficile da ottenere visto che aveva rifiutato di partecipare alla coalizione internazionale che gli USA hanno raccolto per »combattere l’ISIS» dopo che gli uomini del califfo avevano conquistato Mossul, e il motivo del rifiuto era che gli Usa non hanno voluto includere tra i gruppi terroristi da debellare la Fratellanza Musulmana, che Al Sissi sta stroncando. I sauditi sono nemici storici della Fratellanza, e dunque se ne dava per certo l’appoggio. Ma al Consiglio di Sicurezza del 18 febbraio, l’ambasciatore egiziano ha scoperto che il Katar (grande finanziatore dei terroristi e dei Fratelli) si opponeva a dare alla richiesta egiziana l’etichetta di «domanda formulata dagli stati arabi, e – peggio – che l’Arabia Saudita ha s’è schierata col Katar! Ossia, di fatto, dalla parte dell’odiata Fratellanza.

«Lasciate agire la Fratellanza in Yemen»

Secondo Kandil, questo voltafaccia sarebbe opera di Washington, che ama e sostiene la Fratellanza, al punto da consegnarle l’Egitto nel 2012. Gli americani avrebbero convinto i sauditi con questo concetto: «In Yemen, lasciate agire i Fratelli Musulmani. Chi altri vi resta per difendere i vostri interessi là?». Da qui la (a dir poco) imprevista dichiarazione del ministro saudita degli Esteri Saud Al-Faisal: «Non abbiamo alcun contrasto coi Fratelli Musulmani».

E questi hanno cominciato il «lavoro»: è opera dei loro specialisti lo sterminio compiuto a Sanaa in tre moschee? Se l’ipotesi di Kandil è giusta, Washington ha rimesso in gioco i Fratelli Musulmani che Al Sissi aveva rigettato nella fogna della storia; anzi, non solo ha negato la legittimazione all’intervento armato in Libia, ma ha fatto sapere al Cairo che «la soluzione deve essere politica» (come ripete il nostro pappagallino Mogherini), il che significa – ancora – che anche lì la soluzione deve passare per la Fratellanza, e un accordo tra Arabia Saudita, Katar e Turchia. E con il rischio di ritrovarsi la Fratellanza risuscitata al potere in Libia, in un governo di unità nazionale, e dunque capace di rafforzarsi in Egitto.

Proprio per addolcire all’egiziano l’amaro di questa netta sconfitta diplomatica, i miliardari del Goldo (su consiglio USA o no) hanno spalancato le loro borse ed hanno promesso nientemeno che di risollevare le sorti dell’economia egiziana: l’impegno potrà salire anche a 100 miliardi, se i primi investimenti (di 30) si mostreranno profittevoli.

Se abbiamo dato spazio a questa complicata vicenda, è per far intuire quanto siano complessi, occulti, feroci e ambigui i giochi, e incerte le attribuzioni delle stragi. Così, tutti i nostri media hanno titolato:

«L’ISIS rivendica l’attentato a Tunisi»


Senza naturalmente porsi la domanda: «quale» ISIS? Né tantomeno elencare i dubbi. Fra questi, è che la rivendicazione della strage al museo del Bardo è arrivata alla BFMTV, la tv ebraica di Parigi, ben nota per simili scoop («ha intervistato» al telefono Coulibaly e i fratelli Kouachi, quando quello era asserragliato nel negozio kasher, e gli altri nella stamperia a Dammartin: momenti ideali per rispondere al telefonino e spiegare ai giornalisti – con la loro veridica voce – chi erano, dove e come erano diventati cattivi antisemiti jihadisti, che intendevano morire da martiri, eccetera eccetera).

Dunque fino a nuove informazioni ci atteniamo al poco che sappiamo di certo: il 19 febbraio scorso, come abbiamo già scritto, il nuovo presidente tunisino Bej Caid Essebsi, ha cacciato dal palazzo presidenziale l’ambasciatore USA: costui, che risponde al nome di Jacob Walles (un J, I suppose), gli aveva chiesto la costruzione di una base militare americana in Tunisia; al rifiuto, aveva insistito: «Le farò telefonare dal presidente Obama», al che Essebsi aveva replicato che lui non avrebbe preso la chiamata. Un affronto rovente, inaudito, all’unica superpotenza rimasta..

Un imprenditore italiano di cui non ho capito il nome, che ha l’attività a Tunisi, ad una radio privata ha detto: «Ce l’aspettavamo. Da settimane la sicurezza era stata elevata al massimo. Persino quando entravamo nel supermercato venivamo sottoposti al metal detector». Dunque il Governo si aspettava il peggio, contrariamente a quel che è stato detto. Dal giorno in cui a Walles è stata mostrata la porta? Sarebbe istruttivo saperlo.

L’attacco era diretto al Parlamento, non in primo luogo al museo e dunque non ai turisti. I due terroristi uccisi erano tunisini, noti alla polizia, ed erano stati addestrati in Libia, dove erano giunti per una via clandestina ma ben praticabile, lungo il poroso confine, da giovani delusi e disoccupati. Interessante il comunicato di Hezbollah, il gruppo sciita libanese: condanna la strage e la natura anti-islamica del terrorismo contro un museo, ricordando: «Simili episodi di diffusione dell’odio e del settarismo servono gli obiettivi del nemico sionista che agisce tramite vari canali».

Tramite vari canali.

Siria: il terrorismo è israeliano

Persino i media mainstream ci hanno brevemente informato che, il 17 marzo scorso, un drone americano tipo Predator è stato abbattuto dalla contraerea siriana, con un solo missile S-125 NEVA/PECHORA 2M. Gli americani hanno rivendicato – pardon, ammesso – di aver perso il controllo del Predator.

Quello che non ci è stato detto l’ha così riferito la tv Al-Manar: la Siria aveva accettato, con un accordo segreto ottenuto con la mediazione di un Paese terzo, che gli aerei della coalizione guidata dagli USA contro l’ISIS entrassero nello spazio aereo siriano per andare a colpire le posizioni dei terroristi. Gli aerei dovevano percorre un preciso e delimitato corridoio. Ma nel gennaio scorso, in violazione criminale dell’accordo, caccia-bombardieri israeliani hanno preso quel corridoio per colpire posizioni siriane: lanciati cinque missili aria-terra Popeye contro zone risparmiate dalla guerra; la difesa anti-aerea è riuscita a neutralizzare in volo tre dei missili; due hanno colpito gli obbiettivi.

Dopo questo delinquenziale atto di guerra, esponenti del Governo siriano hanno chiesto a «un grande Paese terzo» di avvisare i membri della coalizione che se i loro aerei sorvolavano certe precise zone – come Damasco o il litorale mediterraneo – sarebbero stati sistematicamente abbattuti. E da allora tutti gli aerei della coalizione presuntivamente diretti a colpire le posizioni di Daesh nell’Est e Nord siriano sono stati «illuminati» e «agganciati» in modo ostile dai radar siriani, e soprattutto da quelli molti avanzati della base russa di Tartous. Gli F-22, di conseguenza, hanno cessato i sorvoli sulla Siria; in compenso, Londra, Ankara e Stati Uniti hanno intensificato la campagna di ostilità mediatiche contro il regime siriano.

Il 14 febbraio, con una manovra audace e inedita, caccia bombardieri siriani hanno penetrato a bassa quota lo spazio aereo libanese, per poi volgere a sud lungo la frontiera israeliana e infine, fatta rotta ad Est, sono penetrati di nuovo in Siria cogliendo alle spalle le posizioni sul Golan dei terroristi di Al Nusrah, protetti dagli israeliani; erano scortati, giova dirlo, da MiG 29. Così, il 17 marzo, quando il drone – proveniente dallo spazio aereo giordano – invece di attenersi al corridoio permesso ne ha deviato per dirigersi su Latakia sorvolando una zona strettamente vietata i comandi siriani si sono dovuti chiedere: che cosa fare?

Per qual motivo il drone si attardava sulla zona, sapendosi «illuminato»? Era alla ricerca di un casus belli, un pretesto per giustificare l’aggressione occidentale? Qualche minuto di tensione. Il missile è partito, il drone è stato abbattuto, gli americani hanno ammesso la perdita, e non hanno cominciato l’attacco.

Ma questo è il clima e il rischio che ci fanno corre ogni giorno, questi criminali avventuristi. E i telegiornali non lo dicono.




1) Dal nome del loro leader Hussein al-Houthi, ucciso nel 2004. Sono noti anche come “Ansar Allah” (Partigiani di Dio). Situati nella regione di Sadaa, nel nord-ovest del Paese, appartengono ad una variante minoritaria dello sciismo, gli Zaydi, nome che discende da Zayd bin Ali, pronipote di Maometto, a cui riconoscono il titolo di quinto Imam. Gli Houthi posseggono la tv satellitare al-Manaar. Si tenga conto che lo Yemen è stato per decenni diviso in due Stati, con lo Yemen del nord dominato dal governo assolutista di Ali Abdullah Saleh, mentre nella parte sud vigeva il regime comunista della Repubblica Democratica popolare dello Yemen. La malcerta riunificazione è avvenuta nel 1990. Dopo l’uccisione del loro capo, gli Zaydi hanno aperto una lunga fase di conflitto con il Governo centrale con decine di migliaia di morti e oltre 340mila sfollati.



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità