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Aforismi dimenticati
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Un excursus sul panorama di testi antichi (databili tra il I e il IV secolo dopo Cristo) riguardanti la vita di Gesù (tra i quali possiamo enumerare sia i santi Vangeli canonici, sia i cosiddetti apocrifi, cioè nascosti), ci porta a considerare l’attendibilità di documenti attestanti l’irruzione nel mondo della figura storica di Cristo. Non esiste in realtà un Gesù della storia ed un Cristo della fede; queste sono elucubrazioni mentali di recente (più o meno) esegesi biblica, fondata sul nulla, aprioristicamente dedita al rifiuto del mistero reale dell’Incarnazione, alla passione, morte e resurrezione di Cristo.

Il discorso ci porterebbe lontano; possiamo tuttavia affermare con certezza che la sodezza ed attendibilità storica del Nuovo Testamento non ha eguali né nella letteratura occidentale né in quella orientale (sull’argomento sto iniziando la stesura di un libro specifico, a Dio piacendo). Quanto alle fonti estranee dall’alveo neotestamentario – rispetto al quale soltanto la Chiesa ha assicurato la sua Autorità (ed è anche per questo che la Scrittura deve essere letta nella e dalla Chiesa, perché fuori di Essa non esiste Autorità neppure in grado di discernere il vero dal falso vangelo, figuriamoci l’autentica accezione secondo lo Spirito di Cristo) – esse risultano certamente prive nella maggior parte dei casi di autorità storica riguardo alla biografia di Gesù; non aggiungendo né togliendo nulla.

Tale assunto è validissimo per tutte le ipotesi legate alla fondatezza documentata dei cosiddetti (e già citati) apocrifi; essi non sono in grado, vista l’epoca della loro stesura e visto il contesto culturale dal quale scaturiscono, di assicurare veridicità alle affermazioni riportate; questo, lo ripeto, a differenza dei canonici, assolutamente degni di fede.

In questo vasto orizzonte di ritrovamenti papiracei, di citazioni, di detti ed aforismi, vorrei soffermarmi su due passi in particolare, presumibilmente autentici. Se è vero, come scritto, che la Chiesa assicura la sua vigilanza solo sulla Scrittura ritenuta sacra, è altresì probabile che qualche frase di Gesù non sia stata riportata nei santi Vangeli, ma tramandata oralmente nell’insegnamento dei santi Apostoli. Questo è un fatto tra l’altro accertato dall’evangelista Giovanni, che ritiene tante e tali le cose dette e fatte da Cristo, da non poter essere contenute per iscritto (confronta Giovanni 21, 25). È per questo che vorrei riflettere su alcuni aforismi, messi in bocca a Gesù di primi Padri della Chiesa. Sono frasi se non vere, verosimili… Leggiamole di seguito.

Papa Clemente Romano I
   Papa Clemente Romano I
Clemente Romano (I secolo dopo Cristo), attribuisce a Gesù il detto: «.... Come farete, cosi sarà fatto a voi; come darete, cosi sarà dato a voi; come giudicherete, cosi sarete giudicati; come sarete benigni, cosi si sarà benigni con voi».

Non voglio addentrarmi nella complicata e solo parzialmente condivisibile teoria degli specchi, che Greg Braden dice di aver ricavato dai testi di Qumran. In alcuni di essi il mondo interrelazionale sarebbe una sorta di riflesso del proprio microcosmo: ciò che si vive con gli altri, è in realtà quel che viviamo dentro di noi. Ogni rapporto costituirebbe una sorta di specchio riflettente, a seconda dei casi e delle circostanze, un nostro particolare stato d’animo, o una nostra peculiare tendenza o deficienza. La scelta delle persone che frequentiamo e che, d’impatto, ci piacciono, potrebbe rivelare un atteggiamento interiore alla ricerca di quel senso di completezza o di appagamento di cui siamo privi. Questo può essere vero in parte. È certamente rispondente a verità nel tratteggiato dipinto psicologico-spirituale disegnato dalla frase riportata da San Clemente.

In realtà le parole di Cristo (che tra l’altro trovano piena corrispondenza con passi e con lo spirito del santo Vangelo) svelano la realtà del nostro cuore a noi stessi e soprattutto l’esito delle nostre azioni. Il peccato paga sempre con la morte, e paga doppio. Il male che si infligge ad altri, necessariamente ricade sul boia esecutore. Lo specchio in questo caso funziona. Giudicare qualcuno molto spesso significa proiettare se stesso ed i propri difetti sull’altro; è una sorta di pubblica confessione dei propri limiti e difetti. Il giudizio, in parole povere non riguarda soltanto Dio; esso si proietta su di noi già in questa vita (per permissione divina, si intende, e per ottenere la nostra salvezza), come mezzo di espiazione per il peccato commesso e come rivelazione della nostra intima verità a noi stessi. L’effetto boomerang non concerne soltanto il giudizio, e quindi la mozione del pensiero, ma anche la realizzazione di fatto di determinati accadimenti. Si pecca, del resto, in pensieri, parole, opere ed omissioni. Tutto ciò che facciamo, per contrappasso, entra nella sfera della nostra esistenza.

Non c’è dubbio. È proprio così. Chiunque si mettesse a riflettere con onestà intellettuale di fronte a questo asserto, facendo un debito esame di coscienza, si renderebbe conto della verità in esso contenuta. Non c’è nulla di nuovo rispetto ai Vangeli; come misurate, sarà a voi misurato. La grandezza psicologica della sacra Scrittura supera di molto le acquisizioni della moderna psicoanalisi.

Da questo possiamo trarre un grande insegnamento: dalla vita dobbiamo leggere noi stessi, i nostri peccati, i nostri limiti e le nostre miserie. Imparare la lezione che Dio vuole impartirci dagli eventi.

Il secondo pensiero profondo su cui vorrei riflettere, lo ritroviamo in Afraate, il Sa­piente Persiano (IV secolo). Egli ci presenta come detta da Gesù la seguente ammo­nizione: «Non dubitate, si che affondiate dentro il mondo, a somiglianza di Simone che dubitando cominciò ad affondare dentro il mare».

A questo detto di Gesù, vorrei ricollegare l’ultimo pensiero oggetto di riflessione. Lo traggo dall’abate Ricciotti (Vita di Gesù Cristo), ove leggiamo: «nel 1897 (in Oxyrhynchus Papyri, I, numero 1), ricordando a fianco ai singoli detti i luoghi dei vangeli canonici da cui dipendono: (Dice Gesù:) ... ‘e allora tu vedrai bene destrarre la pagliuzza che è nellocchio del tuo fratello’ (confronta Matteo, 7,5; Luca, 6,42). Dice Gesù: ‘Se non digiunate dal mondo, non troverete il regno di Dio; e se non sabbatizzerete il sabbato (cioè, se non santificherete tutta la settimana) non vedrete il Padre’ (il concetto di digiunare dal mondo ritorna in Clemente Alessandrino, Stromata, in, 15, 99».

Metto in connessione i due periodi, perché ritengo siano strettamente legati. L’uno ci illustra la necessità di una fede senza dubbio; la fede che salva, quella che non ha riserve mentali; quella che accetta la verità in toto, senza compromessi; quella che rischia, scommettendo sulla Parola divina, come Abramo; quella che sa che ogni preghiera è accettata ed esaudita (direttamente o per il meglio, che solo Dio sa), se è rivolta al Cielo con convinzione profonda. La magia, la quale assicura un risultato al compimento di certe ritualità superstiziose, puerili, se non demoniache è sempre scimmiottatura della preghiera veridica e cristiana.

In realtà, pregando possiamo ottenere ogni cosa! Lo dice Gesù nel santo Vangelo! La richiesta deve essere fatta con fede autentica e non per capriccio («per spendere per i propri piaceri», come insegna San Giacomo!). La fede è la porta d’accesso alla vita soprannaturale; prova delle cose che non si vedono. Essa diviene pura e cristallina, se prende le ali della carità… e non c’è amore, se non c’è rinuncia di sé, digiuno dal mondo!

Mi piace scrivere e parlare di digiuno in Quaresima. Più passa il tempo e più mi rendo conto che si tratta di una pratica ineluttabilmente necessaria. Molti dei nostri peccati contro la carità e contro la carne vengono come smorzati, diluiti, disarmati, di fronte all’astinenza dal cibo. Ma il digiuno in esame è più ampio; digiunare dal mondo, implica un totale distacco dalla mentalità di questo secolo, come diceva San Paolo; occorre immedesimarsi in Cristo, per vivere i suoi stessi sentimenti. In Settimana santa, questa è la nostra vocazione; diviene assolutamente obbligatorio convertire il cuore a Gesù, per far dimorare Lui in noi.

Le modalità sono molte. La lettura della Sacra Scrittura, improrogabile e necessaria; la preghiera silenziosa, magari davanti al Tabernacolo; la prontezza al sacrificio ed all’abnegazione. Modi e mezzi per entrare nel Mistero, che è l’unico nostro fine in questa vita e nell’altra… Non ci illudiamo, non ce n’è altri.

Stefano Maria Chiari



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