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Gli Alitalioti
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«Giubilo per il fallimento Alitalia... non capisco, mi spieghi lei, Direttore. Natale»

Io spiegare, caro lettore? Al contrario, mi unisco al suo appello: c’è qualcuno che può spiegare il tripudio di quella tifoseria in tailleur e giacche blu di ottimo taglio, di quella teppaglia abbronzata e col fard, per l’imminente chiusura dell’azienda che li paga? Cosa pensano di averci guadagnato? Sanno qualcosa che noi non sappiamo?

Confesso di essermi distratto - capirete, lo tsunami finanziario globale mi assorbiva di più - così forse mi sono perso qualcosa dei retroscena.

Come ogni altro lettore e spettatore agghiacciato di quelle scene disgustose inscenate da piloti ed hostess benestanti, ho avuto un trauma cognitivo. Secondo me, ad abbandonarsi a scene di giubilo dovevano essere i signori della «cordata», che salvano i loro capitali gettati obtorto collo in un’impresa demente voluta da Berlusconi per salvarsi la faccia.

Se mai il solo ad essere triste può essere Toto, che con quell’operazione di pseudo-salvataggio Alitalia contava di salvare e accollare ai contribuenti (grazie all’amico banchiere Passera) la sua Air One strapiena di debiti: e si sa cosa significhi esser pieni di debiti nella nuova fase di credit crunch, di rarefazione del credito, innescata dalla crisi finanziaria americana.

Ma il resto della cordata ha solo da rallegrarsi: si tengono i loro soldi (nella crisi, serviranno) e - soprattutto - non devono assumere personale così. Piloti che saltellano, hostess che urlano, che occupano Fiumicino e non fanno partire i passeggeri, che sfidano i poveracci lasciati a terra con insulti: «Andate in treno».

Secondo alcune ipotesi, essi contano su una nazionalizzazione che salvi i loro privilegi; mi pare una speranza impossibile, con l’Europa sul collo. O pensano che Lufthansa li raccatterà insieme ai resti di Alitalia fallita per un boccone di pane, e gli darà il contratto dei piloti tedeschi (i nostri teppisti in blu e verde si sono rifiutati al contratto unico; loro non vogliono condividerlo con i lavoratori di terra, loro sono di più, vogliono il contratto privilegiato).

Ancora una volta: a me pare impossibile - ma forse sbaglio - che una qualsiasi compagnia aerea, che deve affrontare le difficoltà degli anni di recessione o depressione a venire, abbia voglia di mettersi sul libro paga queste migliaia di facinorosi capaci di ogni sabotaggio, di scene indegne anche per l’immagine aziendale.

In attesa di una migliore spiegazione, della trista esultanza si dovrà dare ragione con la psicologia, anzi la psichiatria. Precisamente, la psichiatria della Casta.

Abbiamo assistito forse alle gioie di una Casta che si sente così sicura, con spalle così coperte, con tanti beni messi da parte in decenni di indebiti lucri, da aver perso ogni contatto con la realtà - quella realtà che è dura per tutti noialtri.

Loro no, loro saranno salvati. Loro possono sfidare tutti e tutto, perchè nella loro memoria non c’è mai stato un arretramento, una rinuncia a un minimo privilegio; l’hanno sempre avuta vinta, l’avranno anche questa volta. Non è sempre stato così?

In fondo, sono loro ad aver decretato il fallimento di Malpensa; siccome abitano a Roma, l’hub deve essere Fiumicino. I piloti non devono andare dov’è il mercato, è il mercato che deve andare dove abitano gli Alitalioti.
 
E questa è una sola Casta, delle tante che abbiamo; ed è capace di inscenare blocchi di servizio pubblico, per non rinunciare al pulmino aziendale che li andava a prendere nelle loro ville.

Pensate quanto sarebbe difficile un risanamento delle burocrazie parassitarie che schiacciano la nostra economia e succhiano le nostre tasse: ogni tentativo di ridurre  un’autoblù o una provincia rischia di farci assistere a torme di consiglieri di ASL a 200 mila euro l’anno che si stendono sui binari a bloccare il traffico, di consiglieri provinciali e regionali che danno fuoco ai cassonetti, di padroni di cliniche convenzionate che bloccano le autostrade dando fuoco a pneumatici, a scioperi ad oltranza di magistrati e dirigenti pubblici in piazza. Paralizzerebbero l’Italia, bisognerebbe cedere.

Già. Perchè ciò che più ha sgomentato i lettori e tutti noi, è stato questo: vedere come piloti di Airbus ed hostess sono capacissimi di comportarsi come le guardie forestali precarie della Calabria, i disoccupati organizzati di Napoli, i camionisti dei TIR.

Anzi di più: si sono comportati, a Fiumicino, esattamente come la tifoseria teppista del Napoli s’è comportata alla stazione Termini di Roma, bloccando  il traffico e spaventando i passeggeri, contribuendo alla immagine di ributtante inciviltà e maleducazione per cui l’Italia è già nota nel mondo (mettetevi nei panni dei turisti stranieri che si sono trovati in questi giorni a Fiumicino, cercando di capire se il loro aereo sarebbe partito: torneranno mai più?).

Perchè questa manifestazione disgustosa fa paura?

Perchè scopriamo che quelli, coi loro stipendi, privilegi e professionalità alta, sono «plebe». Anzi, sono «sottoproletariato» esattamente come la teppa camorrista del Napoli, i posteggiatori abusivi, i disoccupati organizzati che si stendono sui binari per «far ascoltare le loro istanze». Hanno più soldi, hanno belle giacche, ma la mentalità è la stessa: lumpen-proletari resi arroganti perchè abituati ad essere assistiti, cosa che ormai credono loro «diritto».

Il loro spirito di Casta parassita veniva fuori ogni volta che qualche giornalista li intervistava. Per renderci edotti della durezza del loro lavoro, dicevano «Combattiamo tutti i giorni con i passeggeri».

Frase psichiatricamente rivelatrice: per loro, i passeggeri che pagano 600 euro sul Milano-Roma sono una molestia, sgradevoli ostacoli fra il check-out e il check-in in hotel a cinque stelle,a godersi (a bordo piscina) il riposo doppio rispetto ai piloti Lufthansa.

Nessuno di loro ha detto: «Serviamo i passeggeri», l’idea di servire non li tocca nemmeno di striscio. Dicono: «Combattiamo i passeggeri», ci disturbano nella bella vita, come staremmo meglio senza di loro. E infatti chiunque sia salito su un Ali-catorcio ha provato questa sensazione: di essere mal-sopportato, visto male, anzi uno da «combattere».

Ma non è la stessa sensazione che ci fanno provare davanti ad ogni sportello pubblico? Dentro ogni palazzo di giustizia in cui andiamo ad avere giustizia? E negli uffici del fisco dove andiamo a pagare le tasse che li mantengono tutti? («Falli soffrire», ha sentito dire una nostra amica, contribuente, ad un dirigente che si rivolgeva così all’impiegato allo sportello IVA, dove c’era una fila enorme).

Abbiamo appena saputo che, nella faccenda dei semafori dal giallo-lampo, truccati per lucrare multe indebite, a delinquere sono intere amministrazioni comunali: personaggi che abbiamo eletto, sono contro di noi e in combutta con le aziende criminali.

E poi venitemi a parlare di federalismo, di «portare l’amministrazione vicina al cittadino»: più è vicino al cittadino, più il potere pubblico lo spoglia, lo perseguita e lo truffa.

Una componente della gioia sinistra di piloti ed hostess era sicuramente anche l’odio per i passeggeri, per il pubblico in genere: «Andate in treno!» corrisponde al «Falli soffrire!» del dirigente tributario.

Questa è la «secessione» di cui parlo ogni tanto, e talora i lettori non comprendono. Mentre i lumbard di secessione parlano (all’osteria o al comizio), tutta una parte di italioti ha già fatto secessione concretamente: dall’Italia e dal suo futuro, dalla responsabilità comune. Ciascuno di questi vede solo i privilegi della sua categoria e di tutti gli altri se ne infischia.

Anzi peggio: gli altri concittadini, li odia. E vuole dimostrarglielo, ostacolarli quando viaggiano, taglieggiarli con multe false, surtassarli.

Negli ultimi dieci anni, i salari dei privati sono aumentati del 17%, e quelli pubblici del 34%: noi ci impoveriamo e loro si arricchiscono. E per giunta, ci danno lo spettacolo di una classe dirigente (o alta) che ricorre ai metodi della teppa di massa: stessa incultura, stessa impulsività cieca e stolta, stessa voglia di intimidire.

E qui apro una parentesi, che c’entra con questo discorso, anche se non sembra. Questa settimana, a condurre la rassegna-stampa mattutina, è la giornalista di Repubblica Antonella Rampino, la quale è per giunta membro dell’Aspen, come la Lucia Annunziata.

Bene, ecco una persona le cui idee saranno discutibili, ma di cultura, ci siamo detti accingendoci ad ascoltarla.

Ebbene: il primo giorno, la Rampino ha riportato un’intervista di Lucio Caracciolo. Direttore, s’è degnata di spiegarci lei, della «rivista di geopolitica Limes». Solo che ha pronunciato «Limes» - una parola latina, ovviamente - come se fosse inglese: Làims. Come il noto verde agrume dei Caraibi, il famoso «làim del Caracciolo».

Terzo giorno. La signora dell’Aspen deride un pochino Tremonti, un esercizio a cui nessun giornalista illuminato può sottrarsi. Tremonti ha detto - per indicare che nella crisi in corso, ogni previsione è impossibile, ed ogni commento prematuro - «tacete economisti». Solo che Tremonti l’ha detto nel modo sofisticato ed ironico che la sua cultura gli suggeriva: «Silete economisti».

Questa, si è degnata di spiegarci la Rampino, firma di punta del giornale più intelligente d’Italia, è un’allusione di Tremonti (cito testualmente) «alla celebre frase di Carl Schmitt, il collaboratore del nazismo, che disse: Silete jureconsulti...».

Come saprete, la frase celebre è l’esatto contrario: «Silete theologi in munere alieno», e a pronunciarla fu proprio un giureconsulto italiano, anche se operò a Londra, Alberico Gentili (1552-1606).

Nel contesto delle guerre di religione, che non finivano mai perchè dal punto di vista del clero non ci può essere compromesso possibile con gli eretici e i seguaci del Male Assoluto, Gentili ricorse alla disperata invocazione di espellere i «teologi» dal discorso pubblico («cose che non vi riguardano») per assegnare la gestione degli armistiizi e dei trattati di pace ai giureconsulti. E Schmitt riprese questa frase non perchè «aderiva al nazismo» come dice la Rampino (cercando di dipingere Tremonti come filo-nazista), bensì perché nella svolta del Gentili vide un passo avanti inestimabile della civiltà, la nascita dello Jus Publicum Aeuropaeum, che fra l’altro inquadrò anche la guerra nel quadro del diritto, umanizzandone gli aspetti più atroci.

Ebbene: se questa è la cultura di una giornalista di punta, tanto esperta di politica internazionale da essere chiamata all’Aspen Italia, che cosa vi aspettate dai piloti e dalle hostess?

Teppismo arrogante, ignoranza spocchiosa, inciviltà e pressapochismo uniscono la nostra «classe alta» alle tifoserie e alle camorre devastatrici e minacciose. Caste e disoccupati organizzati sono, culturalmente, un blocco unitario.

Come volete che ce ne liberiamo? O persino che riusciamo a capirli nelle loro esultanze, nei loro saltellamenti, nelle loro grida di piazza?


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