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La Chiesa in Israele trattata come i palestinesi
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Una lettrice scrive a Blondet:

«Direttore, Le scrivo riguardo alla notizia pubblicata dalla sala stampa della Santa Sede e che le riporta il lettore Aldo riguardando le questioni finanziarie e fiscali delle proprieta del Vaticano e dell’ accordo che quest’ultimo sta concludendo con ‘Israele’. Non vorrei che questo fosse un baratto finanziario fra lo Stato usurpatore e il Vaticano riguardando proprietà  della Chiesa nei territori occupati nel ‘67. Perche se cosi fosse, sarebbe contrario al diritto internazionale nonchè al diritto della stessa ‘Israele’. Insomma non vorrei che il Vaticano confermasse la sovranita - non riconosciuta dalle Nazioni Unite e neanche dal grande fratello USA- di ‘Israele’ su un Paese occupato illegalmente in un quid pro quo per questioni venali.Per la Chiesa sarebbe un chiodo in piu nel suo feretro. Per il diritto internazionale sarebbe un bello schiaffo. Per il popolo palestinese sarebbe una tragedia incomprensibbile commessa da una Chiesa che cristiani e musulmani arabi si ostinano a vedere come un faro di luce per i deboli. Ps: Le autorita religiose musulmane palestinesi hanno scongiurato - cito - Sua Santita di non venire e legittimare con la Sua Presenza l’occupazione illegittima e i massacri (scheickh Raed leader dei  fratelli musulmani dei palestinesi di ‘48). Grazie per un suo parere.
Brunella H.
»


Israele ha trattato la Chiesa, e i beni della Chiesa in Terra Santa, esattamente come ha trattato le terre dei palestinesi: rubando, violando gli accordi sottoscritti, rimangiandosi le promesse fatte. Cerchiamo di ricordare qualche punto.

I beni ecclesiastici (conventi, chiese, cimiteri, ostelli per pellegrini) erano totalmente esenti da imposte in base ai vecchi trattati ottomani (e poi si parla di «intolleranza islamica»). Israele, nel 1948, confermò quelle esenzioni, ma solo perché all’epoca non era ancora così forte da esercitare la sua nota arroganza. Infatti, negli anni ‘50, l’esercito israeliano ha cominciato a requisire la chiesa cattolica di Cesarea, che poi il governo sionista ha fatto radere al suolo: fatto per il quale il Vaticano chiede da allora – invano – un indennizzo.

Altro caso: negli anni ‘90, dei pii coloni giudei si sono impadroniti del... cimitero della parrocchia di Ramle, che è di proprietà della Custodia di Terra Santa, l’istituzione che da secoli gestisce le attività cattoliche in Terrasanta. Seguono altri abusi: uno fra tanti, persino il luogo del Cenacolo viene sequestrato dai giudei.

Il Vaticano ricorre ai tribunali: che, essendo talmudici, dando torto alla Chiesa; ripescano dagli archivi una norma promulgata dall’amministrazione britannica nel 1924, secondo cui non è la magistratura, ma il governo (allora entrambi inglesi) a dirimere le questioni sulla proprietà degli enti religiosi. Il governo sionista si arroga dunque un potere arbitrario di esproprio, senza limiti.

In tutti questi anni la Chiesa cerca pazientemente di trattare, di arrivare ad un accordo che dia una qualche certezza giuridica, una specie di concordato. Riesce a strappare ai giudei la nascita di una commissione bilaterale per trattare le questioni aperte. Regolarmente, le riunioni vengono fissate... e gli israeliani di solito non si presentano. Qualche volta lo fanno – dipende da quale governo c’è, se più o meno sharoniano – ma quando lo fanno, mandano all’aria le trattative con qualche nuova scusa. Mai nessun risultato concreto.

Nel 2002, proprio mentre i delegati vaticani sono impegnati nelle trattative con la famosa commissione, il governo giudaico decide unilateralmente di abolire tutte le esenzioni fiscali che erano in vigore dal 1948, rimangiandosi gli impegni presi come Stato: è il Talmud, ragazzi, e voi non potete farci niente. Si tratta di un atto di ostilità patente, rivolto direttamente contro la Chiesa.

Sul grande ostello dei pellegrini di Notre Dame, nel cuore di Gerusalemme, si abbatte una tale pressione fiscale, che l’ostello rischia la chiusura. Identico destino si abbatte sulla Basilica dell’Annunciazione a Nazareth: l’esenzione, per arbitrio talmudico, resta limitata alla cappella (luogo di preghiera), ma esclude tutto il resto del vasto complesso, che comprende monasteri, scuole e case di riposo cattoliche: sono migliaia di dollari l’anno di nuove tasse, con conseguente rischio di chiusura delle attività caritative.

Le riunioni della «commissione» che seguono sono trattate dagli israeliani più o meno come le 300 risoluzioni dell’ONU, gli impegni assunti coi palestinesi e i vari «processi di pace»; ossia sputacchiate. Il Vaticano continua a sperare che questi mantengano gli impegni come normali esseri umani e in base a qualche diritto riconosciuto.

Solo la basilica della Natività è esente, ma solo perchè stando a Betlemme, è sotto la giurisdizione dell’Autorità Palestinese che col Vaticano ha firmato un accordo nel 2000, in cui riconosce tutte le esenzioni già concesse dai precedenti trattati ottomani. Ma quanto durerà l’Autorità Palestinese? Campa temporaneamente su territorio dato da YHVH agli eletti, pertanto deve sparire.

Il Vaticano continua a trattare e sperare. Ogni volta, i giudei annunciano ai media «Stavolta siamo pronti a mettere fine al contenzioso»; ma prima hanno chiesto in contropartita il riconoscimento dello Stato ebraico dal Vaticano (l’hanno avuto), poi piccole altre richieste via via: restituiteci l’Arca dell’Alleanza che nascondete nei sotterranei vaticani, non beatificate Pio XII... c’è sempre qualche piccolo, insignificante intoppo, qualche ultimo ostacolo alla perfetta intesa fra le
due entità.

Ogni volta, il regno del Talmud annuncia «significativi progressi». E intanto la Chiesa paga le tasse e si vede confiscare qualcosa qui, radere al suolo qualcosa là. Come sanno bene i palestinesi di Gaza e di Gisgiordania.

Adesso pare che ci siamo, così dicono i talmudici. Il Papa verrà in Israele (non si dice più Terrasanta), pregherà a Vad Yashem, si toglierà il crocifisso pettorale davanti il Muro (del Pianto, mica quell’altro lungo 700 chilometri)... insomma gli ebrei cominciano a dire che forse sì, stavolta sono pronti a riconoscere la Chiesa come istituto giuridico israeliano.

Ah no, un momento. Contrordine. Nella conferenza dell’ONU contro il razzismo detta Durban 2, il delegato vaticano non se n’è andato come tutti i servi noachici quando Ahmadinejad ha ricordato il razzismo dello Stato ebraico. A no, non si può accordarsi con un Vaticano razzista.

Non invento nulla. Lo scrive il neocon Carlo Panella sul Foglio del 20 aprile; in un articolo minaccioso, rivanga presunte prove del filo-arabismo ecclesiastico: «In sede ONU, è prassi abituale che il Vaticano e i Paesi islamici si trovino spesso a votare omogeneamente, o comunque con una certa sintonia, ogni volta che vengono affrontati temi eticamente sensibili. Così è stato negli ultimi anni sulla omosessualità, sui diritti dei disabili, sull’eutanasia, sull’Aids e su tanti altri temi... Sono peraltro noti e storici i dissidi tra il Vaticano e Israele circa la questione palestinese, lo Status giuridico dei Luoghi Sacri (che il Vaticano ha sempre auspicato fossero sottoposti a autorità internazionale) e anche sul contenzioso giuridico sui beni cristiani in Terra Santa».

Insomma, avete capito: il Vaticano deve fare altri passi. Smettere di votare coi Paesi musulmani sull’eutanasia, il preservativo e gli omosessuali, altrimenti «il contenzioso giuridico sui beni cristiani in Terrasanta» è in discussione ancora una volta.

E’ un segnale ben chiaro; il Foglio è il giornale preferito dal Papa. Ma per fortuna, nel mondo ebraico, se c’è un Panella (il poliziotto cattivo), c’è anche il poliziotto buono; nel caso, la signora Orly Benny Davis, ebrea americana e donna d’affari di successo, politicante vicina ai repubblicani USA, e membro influente della nota lobby.

Intervistata, la manager assicura con un largo sorriso: «Dopo 2000 anni, la pace ritrovata
non potrà essere interrotta per un mancato accordo in materia fiscale. La visita di Papa Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma e nel 2000 in Terra Santa, furono eventi di straordinaria importanza. Credo che, oggi più che mai, sia importante un nuovo viaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa, per testimoniare questa nostra fratellanza ritrovata e per rilanciare una nuova stagione di dialogo proficuo per entrambe le parti».

Ah, benissimo! Allora è fatta, Israele restituirà quel che ha rubato, esenterà di nuovo gli immobili caritativi dalla torchia fiscale? Risponde la Benny Davis, sempre più conciliante: «Credo che, se la questione è solo prettamente economica, potremmo, senza nessun intento provocatorio, pensare ad una ricompensa simbolica verso Israele, con la consegna di alcuni dei tesori ebraici custoditi in Vaticano».

Avete capito? Non è Israele che deve rifondere il Vaticano per gli espropri e le ruberia, ma il contrario. Per sperare di vedere riconosciuti i suoi diritti, basta che dia «una ricompensa simbolica ad Israele». Basta che restituisca «i tesori ebraici custoditi in Vaticano». Quando mai la Chiesa abbia confiscato «tesori» ebraici, è una domanda a cui gli storici non sanno rispondere. Ma i talmudici sì: avete l’Arca dell’Alleanza e il candelabro a sette braccia nascosto nelle vostre segrete, ridatecelo, ladri!

Vedrete che andrà a finire come al solito: la chiesa non riavrà nulla e non si vedrà riconosciuto alcun diritto. E’ lo Stato razzista ebraico, ragazzi, e non potete farci niente.



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