Ucraina: Barroso, l’eversore fallito
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Cinque miliardi di dollari subito all’atto dell’adesione dell’Ucraina all’unione doganale russa; 15 miliardi più avanti. Soprattutto, la fornitura del gas al prezzo fissato di 200 dollari per millemetri cubi. Queste le basi dell’accordo che Putin ha firmato con l’ucraino Viktor Yanukovitch per far restare il Paese nella sua sfera di influenza. Lo ha rivelato un articolo dell’Economist. Di ritorno dalla sua visita in Cina, Yanukovitch ha fatto una sosta a Soci per mettere a punto, a tu per tu con Putin, i dettagli della cooperazione economico-commerciale russo-ucraina, e forse la preparazione di un accordo di partenariato strategico.

I manifestanti che in piazza a Kiev urlano che Yanukovitch è venduto a Mosca, dovrebbero chiedersi che cosa ha offerto invece la UE per attrarre il personaggio nella sua orbita.

L’offerta, pare, era di 20 miliardi di euro di crediti ed aiuti finanziari tra Fmi e UE. Ma, pare, con attaccate delle condizioni ambigue che sono diventate chiare al governo di Kiev solo nelle ultime settimane . Conviene premettere che l’intera strategia di «seduzione» è stata condotta da Londra, coordinata con Paesi dell’Est, Polonia e Baltici, che nella UE sono tradizionalmente i ventriloqui degli interessi USA. Hanno condotto i negoziati l’eurodeputato polacco Alexander Kwasniewski, l’euro-commissario ceko Stefan Füle e la presidentessa lituana Dalia Grybauskaite.

Detto più chiaro: gli Stati Uniti hanno strumentalizzato l’Unione Europea (che s’è prestata scodinzolando) per il loro scopo geo-politico consueto, respinge sempre più Mosca lontana dai confini europei per ridurla al rango di «media potenza asiatica» (Brzezinsky dixit). È, in fondo, lo scopo per cui, coi soldi del Piano Marshall e le mene del loro delegato Jean Monnet , agente della CIA (1) hanno creato l’Europa «Unita» con la sua eurocrazia de-nazionale, un parlamento ridicolo e una presidenza a rotazione ossia vuota, quest’Europa dove un capetto lituano può fare le pulci all’Italia e alla Francia, ed altri micro-stati hanno la stessa voce in capitolo che la Germania.

La Polonia è aggrappata all’America per storica diffidenza tra Russia e Germania, e non è priva di ambizioni egemoniche nell’area, come non bisognerebbe dimenticare. Berlino, dal suo canto, aspira ad integrare l’Ucraina nel suo Zollverein che si sta ritagliando fra gli stati dell’Est, sicché in questo i suoi interessi e quelli americani coincidono. Difatti i movimenti «pro-europei» scatenati nelle settimane scorse sono stati coltivati (finanziati) da Berlino per anni, senza tanto guardare per il sottile. Si tratta infatti di movimenti nazional-ucraini di destra, di cui il maggiore, «Svoboda», si rifà al culto dei collaborazionisti col Terzo Reich e alla figura del capo Stepan Banderas (1909-1959), adorata figura di fascista pan-ucraino, non meno enti-polacco che anti-russo. Berlino la democratica-e-antifascista sa sorvolare sul politicamente corretto, quando conviene. (A Fascist Hero in Democratic Kiev)

Forse questo embricarsi di mire e motivi strategico-economici ha reso torbida e ambigua la «seduzione». Questi europei hanno promesso troppo. Hanno fatto balenare a Yanukovitch che poteva aderire – e metter le mani sui 20 miliardi – senza rilasciare Julia Timoshenko, senza ridurre le spese sociali (come chiede il Fondo Monetario), e – peggio – gli hanno fatto credere che, una volta entrato nella UE, avrebbe però potuto convincere la Russia a mantenere la zona di libero scambio che attualmente ha con l’Ucraina (il 35% del mercato ucraino all’export è con Mosca). Alexander Kwasniewski è giunto al punto di dichiarare alla stampa che per Kiev sarebbe stato ancor più facile trattare con Mosca «dopo» l’’adesione alla UE. Han fatto balenare a Yanukovitch che avrebbe posizionato il Paese nel mezzo di ben due zone di libero scambio, e sarebbe stato mediatore dei flussi commerciali Russia-Europa e viceversa... Ovviamente, Putin ha chiarito fin da agosto che se Kiev aderisce all’Europa, il prezzo del gas che avrebbe ricevuto sarebbe stato internazionale, non più di favore.

Ma gli europei pensavano forse che, nell’imminenza della firma, Yanukovitch sarebbe stato premuto da dietro dalla sua opinione pubblica e non avrebbe più potuto ritrarsi. Così, nell’ultima tornata di trattative, hanno buttato la maschera: il capo ucraino doveva anzitutto liberare la Timoscenko, e lasciare che le imprese europee partecipassero alle «privatizzazioni» dei settori-chiave dell’economia ucraina, energia e ferrovie comprese. Il Fondo Monetrario ha insistito perché il governo rincarasse il gas alle famiglie per ridurlo alle imprese (da privatizzare a beneficio occidentale..). L’Ucraina non essendo membroi dlla UE a pieno titolo, non avrebbe potuto influire su questo tipo di decisioni. Per di più, s’è scoperto che l’adesione proposta da Bruxelles non prevedeva affatto l’abolizione dei visti sui passaporti, che avrebbe consentito all’Ucraina di «esportare» i suoi disoccupati in Europa occidentale, come hanno pur fatto Polonia e Romania.

Una proposta di condurre trattative a tre (con Mosca) insieme ad UE e Kiev, onde indurre Putin ad entrare nell’accordo, è stata brutalmente respinta da Barroso, il quale ha così dimostrato ancora una volta lo scopo geopoltiico a servente americano: lasciare la Russia fuori dai margini europei.

Nel complesso, Yanukovitch e il suo entourage si sono accorti che, se avessero obbedito alle condizioni della UE, loro e il «mondo degli affari ucraino» (chiamiamolo così) a loro legato avrebbero perso le loro leve di potere; l’ingiunzione di liberare la Timoschenko non annunciava solo l’intromissione dell’eurocrazia nella politica interna del paese (cosa che noi italiani ben conosciamo), ma faceva paventare che Bruxelles avrebbe trasferito il potere a una personalità da Bruxelles indicata. E Yanukovitch ha da affrontare elezioni difficili nel 2015; ha capito che la «personalità» non era lui.

«La scelta che gli hanno lasciata», dice una fonte di Kiev al Courrier de Russie, «era questa: accettare il gioco di Bruxelles, poi nel corso dell’anno prossimo ritirarsi pacificamente a vita privata con l’aureolza onorevole dieuro-integratore, oppure battersi per il potere».

Di qui la repentina conversione ad U. La UE e i suoi agenti hanno perso una vittoria che credevano di avere già in tasca, e si sono dovuti contentare di semi-integrare Georgia e Moldavia, ma hanno mancato l’accordo realmente significativo, con l’Ucarina. Ancora una volta, la nomeklatura eurocratica ha tentato la diplomazia dei muscoli all’americana, ovviamente fallendo in modo ridicolo. Ha imposto e s’è intromessa invece di negoziare onestamente, sopravvalutando la propria forza e potere d’attrazione.

Potere che è alquanto diminuito, da quando un numero crescente di stati e popoli europei scendono nella depressione economica, se non nella miseria, indotte dalla «unità» monetaria. Secondo la Croce Rosssa Internazionale, il numero dei poveri in Europa (43 milioni) non solo è aumentato del 75% dal 2009 ad oggi, ma ormai è vicino al livello di povertà della seconda guerra mondiale. (Union européenne: selon la Croix-Rouge, le niveau de pauvreté est proche de celui de la Seconde Guerre Mondiale)

Grecia, Slovenia, Croazia non hanno guadagnato molto dalla integrazione: e all’Est si vede. E l’Europa, decisamente, non è più quella di dieci anni fa, che accoglieva i nuovi venuti poveri distribuendo miliardi di solidarietà. Kiev avrebbe perso il principale partner economico (il 35% delle sue esportazioni alla Russia) per vantaggi più che dubbi e soprattutto, a scadenza di anni; e si consideri che la vivibilità del governo ucraino è di circa sei mesi, poi il collasso. D’altra parte, il 25% dell’export ucraino ha luogo verso l’Asia e la Turchia, che è il suo secondo partner economico dopo la Russia; verso l’Europa, ha piuttosto un deficit di 10 miliardi: quello che Yanukovitch sperava di diminuire aderendo alla UE. Con 45 milioni di abitanti e l’estensione territoriale della Francia, il Paese ha forse un destino in prospettiva migliore di quello di farsi dare lezioni di morale da Barroso, di farsi rivedere i conti dai lituani ed imporre «ricette di risanamento» dalla BCE e dal FMI.

Barroso, il cui mandato alla presidenza della Kommissione sta scadendo, sta brigando con Washington per farsi raccomandare come segretario generale dell’Onu; nella linea dei Monnet e dei padri dell’europeismo a libro-paga Cia, ha ben servito; ma aveva bisogno di un successo strategico per ingraziarsi gli americani. Ha fallito, e per questo si agita freneticamente, venendo perfino ad inaugurare la prima della Scala, e a farsi intervistare da Fabio Fazio. Il che suggerisce che le sue azioni a Washington non siano tanto in rialzo.

E ancora una volta, Putin è emerso come il «garante di Westfalia», quello che rispetta i rapporti di sovranità da Stato a Stato, senza ingerenze. In contrasto con gli strepiti e gli a nnunci europei, ha agito in silenzio, offrendo all’ucraino, al momento giusto, la via d’uscita dalla trappola.

Sta diventando una consuetudine. L’Europa ed America si stanno per scagliare contro Assad? E Mosca lo protegge efficacemente, mandando a monte l’attacco. Washington ordina embarghi draconiani contro l’Iran? E la Russia subentra nel mercato che gli europei, servili, hanno perso.

Dovunque, trattative da pari a pari, da Stato a Stato, su basi chiare del reciproco interesse, rispetto della sovranità. Naturalmente, la propaganda eurocratica denuncia invece ingerenze e pressioni di Putin su Yanukovitch. Non ci sono Femen russe pagate dal ministero e mandate a Bruxelles a orinare sulla foto di Barroso (e Dio sa quanto ce ne sarebbe bisogno..), non ci sono manifestazioni di piazza gestite dai «servizi» russi ad Atene, Roma e Madrid... non ci sono falsi moralismi, ma do ut des dai termini chiari: se vuoi il gas a prezzi di favore, non passare al nemico.

Frattanto, quando Pechino allarga la sua zona d’interdizione alle isolette contese con Tokio, Washington che fa? Fa decollare i B2, minaccia la guerra (che non si può permettere), cerca di far perdere la faccia a Pechino, in un’area del mondo dove «perdere la faccia» non si può, e chi ti fa perdere la faccia non si dimentica mai nei secoli; e la NATO, dietro, sempre al traino di tutte le avventure.

Noi europei, come nazioni, dovremmo chiederci urgentemente dove ci ha portato questo tipo di «diplomazia», e fare il confronto con quella adottata da Vladimir.





1) Ciò è stato dimostrato da documenti segreti del governo USA, de-segretati già dal 2000, e di cui i nostri media non hanno parlato. In uno di questi documenti, datato 11 giugno 1965, un alto esponente dei servizi Usa dà istruzioni al presidente del Consiglio Economico europeo, Robert Marjolin (un uomo di Monnet già dal ’43, poi membro del CRF) di perseguire l’idea di una unione monetaria, ma «con discrezione». Anzi, raccomanda di sopprimere ogni dibattito sul tema, fino al punto «in cui l’adozione di quelle misure diverrà di fatto inevitabile». Le istruzioni sono per lo più firmate dal generale William Donovan, che all’epoca figurava come privato, tornato a vita civile e avvocato, ma che durante la guerra aveva diretto lo OSS (Office of Strategic Services) organo precursore della CIA. Donovan aveva creato di sua testa (...) un American Committee for an United Europe, che finanziava gli «spontanei» movimenti europeisti, giovanili e no. Il direttore di uno di questi movimenti, European Youth Campaign, il belga Baron Boel, riceveva uno stipendio mensile su un conto speciale; anche altri famosi «padri dell’europeismo», Robert Schuman, Paul Rétinger e Paul-Henri Spaak, tutti uomini selezionati da Monnet. «Il ruolo statunitense nella formazione della Comunità europea fu trattato come un’operazione clandestina», scrive il Telegraph. Si capisce meglio la delicata allusione di Etienne Davignon, ex presidente del Bilderberg, il marzo 2009: «Il Gruppo Bilderberg ha molti aiutato la creazione dell’euro negli anni ‘90». E le frasi di Geir Lundestad, esponente della Commissione Nobel, durante una conferenza che ha tenuto all’università di Berkeley il 20 settembre 2005: «Gli Stati Uniti hanno sostenuto la costruzione europea, in realtà, assai più di quanto abbiano fatto gli europei (sic). E’ molto insolito per una potenza egemonica - uso il termine scientifico – tentare di costruite un secondo centro...nella sua zona d’influenza se volete, ma gli Usa l’hanno fatto, e per molti decenni». Ancor meglio si capisce la riga scritta da Jean Monnet ad Harry Hopkins, plenipotenziario della Casa Bianca, il 6 maggio 1943: «De Gaulle (...) è un nemico della costruzione europea e, di conseguenza, deve essere distrutto nell’interesse dei francesi». (Euro-federalists financed by US spy chiefs)




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