A Bruxelles vota Goldman Sachs. Con le mazzette
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Nell’anno 2014, Goldman Sachs ha speso – per sua ammissione – tra 700 e 790 mila euro in azioni di lobby presso il ‘Governo’ e il ‘Parlamento’ UE a Bruxelles. Ha dovuto fare queste dichiarazioni perché adesso esiste un Registro di Trasparenza presso la Commissione a cui bisogna indicare le cifre spese per convincere i parlamentari e i commissari.

L’anno scorso, non essendo iscritta al Registro Trasparenza, Goldman Sachs aveva auto-dichiarato di aver investito nelle sue attività di lobbying solo 50 mila euro. Dunque la banca americana avrebbe moltiplicato le sue spese per 14 da un anno all’altro. Se ci volete credere. Altrimenti, potete sospettare che abbia speso sempre un milione l’anno anche prima, al solito scopo: per ‘avvicinare’ i venerabili Funzionari e Commissari, e tutto in nero.

Ovviamente Goldman non è la sola. UBS aveva auto-dichiarato le spese di lobbying nel 2013 in centomila euro, nel 2014 miracolosamente saliti a 1,7 milioni: una levitazione di 17 volte. Deutsche Bank, che aveva dichiarato 2 milioni, è passata a 4. Ora, DB ha appena annunciato – stante la sua situazione disastrosa – titanici tagli: 3,5 miliardi in cinque anni, per ridurre l’esposizione al rischio e i costi. Se invece ha raddoppiato il costo della sua lobby a Bruxelles, vuol dire che conviene: è un investimento. Tu chiamale, se vuoi, mazzette.

Le agenzie di lobby e le banche infatti, dal dicembre 2014, non possono mettere in contatto i loro clienti (società private) con i Commissari, membri di ministero e alti funzionari, se prima non si iscrivono al Registro Trasparenza. In teoria almeno, la trasparenza è rispettata.

In tre mesi si sono iscritte 700 lobbies: poche, dato che le entità che fanno mercato di influenza a Bruxelles si calcolano in oltre 7 mila. Evidentemente si assoggettate alla «trasparenza» quelle che proprio non potevano farne a meno. Le altre hanno approfittato delle scorciatoie ed elusioni sapientemente sparse nella normativa (confezionata da Juncker, l’onestuomo). Giganti come il Credit Suisse, General Motors, City of London Corporation – la cui attività lobbistica è visibilissima a Bruxelles – non si sono iscritte.

Delle agenzie di lobby iscrittesi, 150 non hanno reso noti i nomi dei loro clienti, altre 200 hanno dato solo le iniziali delle ditte. La Bearing Point – un colosso multinazionale olandese di «consulenza», presente in 17 Paesi – ha negato di essere una agenzia di lobby, anche se nel suo bilancio alla voce lobbying ha segnato la cifra di 552.795.000 (sì, avete letto bene: quasi 553 milioni di euro). Google e Novartis (farmaceutica) hanno elenchi di personale con il pass per entrare all’Euro-parlamento, che supera largamente il numero di quelli che indicano come loro lobbisti: chi sono gli altri?

Queste ed altre anomalie sono state oggetto di una vera e propria denuncia da parte di un osservatorio di cittadini, ALTER-EU, che ha accusato direttamente la Commissione (Juncker) di ipocrisia: di aver elaborato una normativa che è una foglia di fico, adatta a strombazzare una «trasparenza» che invece non c’è.

Una folla di 20-30 mila professionisti si agglutinano ogni giorno dentro i palazzi delle UE per far passare normative a difesa di interessi particolari, senza controllo né difesa dell’interesse generale, senza dichiararsi lobbies: studi di avvocati, uffici legali, sindacati, uffici di Regioni fondazioni culturali e think tank, miriadi di ONG fanno quel lavoro, senza dichiararlo: favorire gli interessi di alcuni, di minoranze attive, di banche e multinazionali che hanno a disposizione i milioni di euro per ‘avvicinare’ commissari e funzionari e riempirli, diciamo così, di attenzioni.

L’attività di lobby è tale, che a rue Belliard, la strada che traversa il gelido quartiere delle Istituzioni europee, ogni mattina dalle 7 alle 10 si forma un gigantesco ingorgo, le auto dei lobbisti avanzano a 3 chilometri l’ora.

È questo il tipo di «popolo» che i cosiddetti «nostri rappresentanti» vedono ed ascoltano ogni giorno, dei loro interessi si occupano, da loro ricevono – diciamolo – le tangenti legalizzate dalla trasparenza... Del resto, i nostri stessi cosiddetti rappresentanti non hanno alcun senso di dover rispondere ai loro cittadini: gli europarlamentari sono scelti dai 28 Governi europei, selezionati fra gli obbedienti e il personale politico di scarto, di cui i politici non hanno bisogno perla lotta del potere interna. La Commissione è nominata, come si è visto nel caso della scelta di Juncker, scelto direttamente dalla Merkel, con gli altri Paesi che si spartiscono le poltrone con loro fiduciari.

Tutti poi mal capiscono quel che succede nella bolgia plurilingue, e dipendono da funzionari onnipotenti perché conoscono gli svincoli e le botole delle «normative»: tecnocrati e suggeritori molto apprezzati ed avvicinati dalle lobbies. Essi poi, come del resto commissari e deputati, trovano facilmente lavoro a Goldman Sachs, Monsanto, UBS o da lì vengono. Vanno e vengono. Ci sono porte girevoli e braccia sempre aperte, a Goldman e Monsanto, per costoro.

Vediamo qui, in forma caricaturale, l’effetto dell’esproprio della sovranità nazionale, e il fine a cui tendono tutte le agenzie sovrannazionali che sono state sovrapposte alla volontà popolare: l’abolizione della cittadinanza e persino del diritto — che solo possono esercitarsi dentro confini statuali.

Si tenga presente che a Bruxelles si decidono l’80% delle leggi che si ripercuotono sui cittadini, perché i parlamenti nazionali non hanno ormai quasi altra attività che la ratifica delle imposizioni della Commissione.

Vediamo nella UE la forma che prenderà il Governo Mondiale: una teratologica «democrazia delle lobbies» che tradisce e soffoca sistematicamente la volontà popolare: una forma di oppressione assoluta, inedita, di cui le cittadinanze non hanno nemmeno coscienza. Il Governo sovrannazionale è, per essenza, occulto. Oltre che più corrotto di qualunque Governo nazionale.

Anche nella «democrazia delle lobbies», ovviamente, c’è chi è più uguale di altri.

Per esempio, dal 25 marzo, è possibile brevettare il vivente. Le sementi naturali. Le varietà di pomodori e broccoli selezionate coi metodi tradizionali, nemmeno OGM, ma ottenute con normali incroci — e anzi senza incroci affatto. Lo ha decretato l’Ufficio Europeo dei Brevetti che ha sede a Monaco di Baviera, ed è guidato da un francese, Benoit Battistelli, già comprovatosi grande amico delle lobbies. Ovviamente non sarà il contadino a brevettare il suo pomodoro Pachino od oblungo, né l’allevatore a poter brevettare la mucca chianina. Non ne ha i mezzi tecnologici. Non è che basti presentare all’Ufficio Brevetti il pomodoro o la mucca; bisogna esibire la linea genetica, il DNA codificato: e chi ha i laboratori per questo? Monsanto, Syngenta... Saranno loro a presentare una sequenza genetica, quella che dà certe caratteristiche al broccolo coltivato da secoli o al noto animale di allevamento, e così diverranno proprietarie di tutte le piante e di tutti gli animali che esprimono quel carattere. Per poter coltivarlo o crescerlo, il contadino europeo dovrà pagare i diritti al padrone, Monsanto, Syngenta eccetera. Sulle sementi che il contadino produce dai propri cavoli, graveranno le royalties. Il vitello appena partorito dalla sua vacca appartiene in realtà alla multinazionale che ne ha ottenuto il brevetto: paga, altrimenti sarai trascinato in tribunale — anzi, nei tribunali internazionali d’arbitrato composti da multinazionali e funzionari UE, che ci vengono preparati dal Trattato Transatlantico.

«È un salto indietro di secoli, al Medio Evo quando i contadini dovevano pagare la decima al feudatario», dice Michel Metz, dirigente del Réseau Semences Paysannes, in Francia.

Magari. Si tratta invece di un gigantesco furto di varietà che – se dovesse proprio indicarsi un padrone – sono di altri, l’esproprio di diritti acquisiti da secoli, non solo dai contadini ma da tutti noi, contrario ad ogni interesse nazionale — e la porta aperta alla più feroce bio-pirateria.

Oltretutto, il Parlamento Europeo, nel 2012, aveva indicato espressamente all’Ufficio Brevetti UE di Monaco di rinunciare ad accordare brevetti su piante ed animali frutto di selezioni tradizionali e naturali. Monsieur Battistelli se n’è regalmente infischiato del Parlamento, e ha preferito accontentare Monsanto. Ecco la ‘democrazia’ sovrannazionale.

È un esproprio, un furto colossale ai danni dei coltivatori, e di tutti noi, contrario a qualunque interesse nazionale. Monsanto e complici si preparano il terreno a lucrare, oltre che sugli OGM, sulle sementi tradizionali: una rendita finanziaria prelevata sulla natura e sui coltivatori no-OGM. Cosa che grida vendetta al cospetto di Dio.

UE l’amica di Monsanto

Dal 24 aprile, 17 OGM destinati alla nutrizione umana ed animale possono essere importati e commercializzati nella UE. L’autorizzazione è stata data dall’Unione Europea. Dei 17 OGM, 11 sono Monsanto. Diciannove Paesi europei si oppongono alla coltivazione di piante geneticamente modificate. È una storia senza fine. Da sei anni l’eurocrazia ricorre a tutti i mezzi per imporre gli OGM a Governi – e a popolazioni – che non li vogliono. Nel 2009, la Commissione Europea aveva escogitato una procedura incredibilmente truffaldina per obbligare due Paesi (Austria e Ungheria) a togliere il divieto che avevano decretato, a coltivare il mais geneticamente modificato MON810 (Monsanto, va da sé): durante la riunione dei ministri dell’ambiente a Bruxelles, i contrari all’introduzione erano stati 255 su 345; nonostante ciò, con il trucco procedurale escogitato ad hoc, la Commissione aveva dato a sé stessa il «peso» dei due terzi rispetto ai votanti. I quali avevano poi superato addirittura il 75% dei contrari, vincendo la sfida e bloccando il decreto Commissariale.

La Monsanto, adesso, ha di nuovo vinto, rivolgendosi alla Corte Europea di Giustizia: prova che le istituzioni europee sono coalizzate sistematicamente nella promozione del geneticamente modificato.

Nel 2014, utilizzando altre regolamentazioni scandalose della propria Babele normativa , la Commissione era riuscita ad imporre la commercializzazione del mais Pioneer contro il parere di 19 Stati, fra cui l’Italia e la Francia – due dei fondatori – contro cinque favorevoli (fra cui il Regno Unito, che non è nell’euro) . Oggi, con l’ultima decisione, gli eurocrati, non potendo indurre i Paesi e i popoli a coltivare gli OGM, ne hanno autorizzato l’importazione in massa. Non li coltivate? Ma in ogni caso dovete mangiarli.

Ha ragione Daniel Cohn Bendit, l’immarcescibile pedofilo ebreo che fu leader del ’68 (il formidabile ‘Maggio francese’, la spontanea rivoluzione dei costumi che provocò l’abbandono di De Gaulle) a capintesta inamovibile del Parlamento europeo: «Il discorso di verità non ha mai la maggioranza, il popolo vuole sognare…». È la passività ignorante delle cittadinanze europee a rendere i soprusi eurocratici ogni giorno più scandalosi e spudorati. Lorsignori sanno come distrarre i popoli mentre li espropriano; ed adesso gettano la maschera.

Come ha potuto dire Juncker ai greci, «la democrazia non prevale sui trattati europei»: siete chiusi nella gabbia, e l’avete voluto voi. Vi abbiamo dato «libertà» come la mancanza di controlli ai confini (Schengen, le masse immigratorie), la «libertà» dai dazi doganali, nozze gay, la libertà dalla costrizione che lo Stato poteva imporre in una visione di bene pubblico: è la libertà di cui godete adesso come consumatori di Paesi sempre più de-industrializzati, individui che avete la libertà di godere, se e quando ve lo potete permettere. La dittatura oligarchica europea è, in fondo, appoggiata sull’ideologia liberista estrema e terminale: «Non esiste la società, esistono gli individui che la compongono» (Thatcher dixit). Nessuna esigenza superiore ai vostri individuali desideri, convenienze e piaceri può esservi opposta: siete «liberi», europei.

I conati di risveglio della volontà popolare vengono ovviamente bollati come «populismo» (ossia fascismo), retrivo egoismo, stupidità di arretrati mentali... gli eurocrati sanno qual è il vostro bene, sono infallibili, e ricevono suggerimenti e consigli da Goldman Sachs e Monsanto, che sono la punta avanzata del capitale, del «mercato» mondiale: quindi sanno, mentre voi no.

L’Austria voterà l’uscita dalla UE


Eppure, segni del risveglio popolare, di fine della passività, si notano. A volte senza far rumore. Il 7 gennaio 2015, un progetto di iniziativa popolare (Volksbegehren) sulla uscita dalla UE è stato accettato dal ministero austriaco dell’Interno. Anche se questa speciale forma di democrazia diretta è prevista dalla legge fondamentale austriaca, non è stato facile: la prima raccolta di firme (diecimila) è stata ritenuta ininfluente dalla Corte costituzionale. Una seconda raccolta, con firme raddoppiate, non ha potuto più essere gettata nel cestino. Sicché, tra il 24 giugno e il primo luglio prossimo, per otto giorni, tutti gli austriaci potranno iscriversi sulle liste ufficiali del loro comune per esprimere ufficialmente, con la loro firma, la loro volontà di uscire dalla UE.

Qui sotto, un estratto del testo ufficiale dei promotori dell’uscita dalla UE:

Solo l’uscita dalla UE ci permetterà di sfuggire ai famigerati accordi transatlantici di libero scambio tra UE ed Usa (TTIP) e Canada (CETA).

L’Austria recupera una parte minima dei miliardi di euro annuali che servono alla ‘promozione’ della UE. Per questi pagamenti annuali, noi siamo contributori netti da venti anni.

L’Austria non ha nemmeno il ‘diritto’ alla co-decisione sull’utilizzo di questi fondi.

A conti fatti, l’appartenenza alla UE dopo 20 anni è un affare in perdita per l’Austria, ha condotto a diminuzioni delle prestazioni sociali e degli investimenti pubblici in favore della popolazione.

Se esce dalla UE, l’Austria non economizzerà solo i pagamenti annuali in qualità di contributore, ma anche i diversi «fondi di salvataggio per l’euro».

Le obbligazioni di deposito (che valgono miliardi di euro) per il Meccanismo europeo di stabilità e le enormi garanzie per il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) sarebbero cancellate.

L’Austria potrebbe reintrodurre la sua moneta e condurre una politica monetaria che serva anzitutto alla sua economia nazionale.

Ed ecco la conclusione del testo:

«Vogliamo di nuovo vivere in un Paese libero e neutrale senza essere una ‘colonia’ di Bruxelles e di Washington. Non vogliamo essere trascinati in conflitti all’estero che non ci riguardano affatto e sono un vero pericolo per la pace. Fermiamo subito queste pretese, altrimenti sarà troppo tardi».

È una comunicazione per una cittadinanza matura, istruita e consapevole — tre caratteri che sfuggono all’italiota. Tuttavia, ai nostri oppressori converrà ricordare il detto di John F. Kennedy: «A forza di soffocare le rivoluzioni pacifiche, si rendono inevitabili le rivoluzioni violente».




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