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Occhio alla finta Bretton Woods
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Ora tutti i banchieri - visto che si fanno salvare dal denaro pubblico - si dicono pronti ad accettare regolamentazioni pubbliche. Una nuova Bretton Woods, come ha evocato Sarkozy? Tutti sono d’accordo, anzi più che d’accordo.

«Il mondo necessita un sistema finanziario funzionante ed è compito di tutti gli interessati fare in modo che ciò avvenga», dice Bob Diamond: ottimo proposito, se Bob Diamond non fosse il capo della Barclays Capital e nuovo proprietario di Lehman Brothers, e se la Barclays non avesse debiti 50 volte il suo capitale.

«Tutti gli enti non regolati, come gli hedge fund e i fondi sovrani, devono anch’essi  essere sottoposti a una supervisione regolamentare»: bellissimo proposito. Solo che a dirlo è George Soros.

Viene un sospetto: che i beneficiari del capitalismo senza regole, e gli autori del disastro terminale, siano i più zelanti a voler dettare le «regole»; prima che gliele impongano i governi e gli Stati. Regole secondo i loro interessi, ovviamente.
Il sospetto diviene realtà quando un appello alla creazione di «una nuova autorità monetaria globale» viene pubblicato sul Financial Times (1), la Bibbia del dogmatismo liberista.

«Anche se la massiccia operazione-salvataggio americana avrà successo», scrive l’autore, «dovrà essere seguita da qualcosa di più ampio, cioè la creazione di una Autorità Monetaria Globale per controllare mercati che sono diventati senza confini».

L’autore è Jeffrey Garten: membro del Council on Foreign Relations di Rockefeller, vicinissmo a Henry Kissinger nonchè in passato direttore esecutivo di Lehman Brothers, la banca speculativa fallita.

Ecco che tipo di regolamentazione mondiale propone Garten.

La sua «Global Monetary Authority» dovrebbe agire come ri-assicuratore o sportello di sconto di obbligazioni emesse dalle Banche Centrali, insomma sarebbe la Banca Centrale delle Banche Centrali. Essa dovrebbe avere il potere di vagliare le attività di regolamentazione delle autorità nazionali («Un Fondo Monetario, ma con più denti») e coordinare l’applicazione di «un limitato numero di regole globali».

La Global  Monetary Authority sarebbe anche il tribunale fallimentare che si occuperebbe della riorganizzazione finanziaria di imprese globali e multinazionali oltre una certa dimensione. Le più grosse imprese dovrebbero essere «registrate» presso il GMA, o altrimenti essere messe su una lista nera: compagnie commerciali, banche, fondi speculativi, fondi sovrani sarebbero messi sotto il controllo di questo ente globale.

La Global Monetary Authority sarebbe finanziata da contributi obbligatori di ogni Paese in grado di pagare; tuttavia, nel suo consiglio d’amministrazione siederebbero i banchieri centarli di USA, Gran Bretagna, la Banca Centrale Europea, il Giappone, la Cina, l’Arabia Saudita e il Brasile (si notino le esclusioni).

In conclusione, quello che Gartens ventila come desiderabile è un passo avanti verso il progetto di Governo Mondiale.

Siccome l’economia globale ha «un vuoto al centro» dell’apparato istituzionale, occorre una Banca Centrale Globale, un Tesoro Globale, e alla fine una moneta unica globale. Per curare i mali della globalizzazione, occorre più globalizzazione, però «amministrata». Da chi?

Per la risposta, bisogna guardare a entità sovrannazionali come l’Unione Europea e la Banca Centrale Europea, gestite da burocrazie che nessuno ha eletto,i cui membri si cooptano fra loro; con una Banca Centrale «autonoma» di fronte alla quale gli Stati e i governi eletti devono solo obbedire, senza alcuna «autonomia».

Ancor meglio è guardare all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO): se il potere della UE si esercita su una parte del mondo, quello del WTO è totale, planetario e insindacabile. Esso è un tribunale mondiale con poteri coercitivi e punitivi; contro le sue sentenze non c’è appello; le sue sentenze sono sempre a favore delle multinazionali e dei profitti privati. D’altra parte nessuno Stato può permettersi di star fuori dal WTO, perchè ciò equivale più o meno a un embargo commerciale.

O se non basta, guardiamo al Fondo Monetario Internazionale: ciò che in quel consesso decidono Londra e Washington insieme è legge, perchè i due Paesi (i grandi Stati Uniti e la piccola Inghilterra) detengono il 60% delle «quote» del Fondo, e quindi comandano.

Oggi, il FMI ha perso importanza, perchè sono sempre meno i Paesi super-indebitati a cui il FMI, come agente pignoratore dei creditori, imponeva le «ricette di risanamento strutturale» secondo la dogmatica ultra-liberista, il cui risultato invariabile era di asservire le economie dei Paesi poveri al sistema del dollaro.

Oggi, Garten vuole un «FMI coi denti»; e la sua Global Monetary Authority è pensata, come il FMI, per garantire anche in futuro il potere del sistema anglosassone, con l’ammissione dei soli Paesi che sono asserviti al dollaro (Cina, Arabia Saudita e Giappone), più il Brasile. Nel suo consiglio d’amministrazione non vengono ammessi Russia, Iran nè ovviamente, Venezuela o Iraq (è occupato). L’intera Unione europea vi «pesa» come la Gran Bretagna.

Dunque la «regolamentazione» della speculazione si configurerebbe, in realtà, come la presa definitiva di potere della speculazione bancaria sul mondo. Secondo il verbo profferito da David Rockefeller nel 1991: «La sovranità sovrannazionale di una élite intellettuale e di banchieri mondiali è sicuramente preferibile all’autodeterminazione nazionale praticata nei secoli passati».

Ma ovviamente il progetto è più antico: «Che vi piaccia o no, avremo un governo mondiale. La questione è se sarà instaurato col consenso o con la forza», disse il banchiere James Warbusg alla Commissione Esteri del Senato nel febbraio 1950.

Il Council on Foreign Relations fu creato appunto per promuovere il governo unico mondiale, sovrannazionale e a-democratico, dei banchieri e dei loro «intellettuali» a contratto (da Brzezinski a Giavazzi). Il progetto è stato temporaneamente turbato dall’avvento al potere dei neocon israeliani, che hanno a cuore più Israele che il Nuovo Ordine Mondiale, e tentato di instauralo, conunque, «con la forza». Ma il progetto, appena i tempi sono favorevoli, viene ripreso e fatto avanzare.

Per le entità che lo promuovono, le crisi e i tracolli come quello in corso sono «opportunità» come disse Henry Kissinger nel 1991: «Quello che ogni uomo teme è l’ignoto. Quando questo scenario si presenta si rinuncia volentieri ai propri diritti in cambio della garanzia del proprio benessere, assicurata dal Governo Mondiale».

Benessere per alcuni, selezionati e accettati. Ora che il mezzo secolo di consumismo e abbondanza è finito, il Governo Mondiale avrà la faccia del razionamento; una moneta unica globale,intesa a «facilitare gli scambi» e a «impedire il protezionismo», potrà avere la forma del marchio della Bestia, senza cui «nessuno può vendere nè comprare»?

La riunione del Bilderberg avvenuta a Chantilly, Virginia, nel giugno scorso deve aver discusso come trasformare la crisi in «opportunità» (2). Lì il capo della FED di New York (una delle 12 Riserve Federali private), Jeffery Geithner, spiegò che la Federal Reserve deve «svolgere un ruolo centrale nel definire la cornice delle regole» internazionali, che sicuramente saranno necessarie dopo l’implosione del sistema.

Insomma: i colpevoli dell’implosione devono affrettarsi a fare le regole, preventivamente, prima che gliene vengano imposte di sfavorevoli.

Garten, che era al Bilderberg, riecheggia questa strategia quando scrive: «La globalizzazione creerà adesso uno scontro di filosofie. Gli Stati e gli investitori fuori degli USA non hanno mai condiviso il capitalismo-cow boy del sistema americano.
Ora essi avranno buone ragioni per esigere che siano fatti cambiamenti fondamentali nel modo in cui gli USA gestiscono le loro istituzioni finanziarie. Se ciò non avviene in modi negoziati, può conseguirne che gli investitori esteri portino i loro capitali altrove».

Il sistema di Wall Street ha bisogno di fondi cinesi e giapponesi per continuare a funzionare. Dunque, si deve cedere qualcosa in cambio della garanzia che il sistema non cambi.

Ora, il rischio è che tutto questo venga presentato come la regolamentazione attesa, il necessario ritorno del controllo pubblico sovrano sull’economia d’azzardo, e venga chiamato «la nuova Bretton Woods».

Il trucco può riuscire, perchè 40 anni di capitalismo sempre più sregolato, e di Nobel e docenze universitarie ad economisti liberisti dogmatici, ha creato un vuoto culturale: non si sa più bene che cosa fosse l’intervento pubblico in economia, le teorie alternative (di economia poltiica) al «pensiero unico egemone» sono state soppresse e dimenticate. In questo vuoto, i gestori della finanza possono far passare per «nuova Bretton Wood» il progetto di un ordine mondiale «amministrato».

Bisognerà almeno ricordare che Bretton Wood fu l’instaurazione di un ordine monetario concordato fra Stati sovrani e indipendenti. E che il suo scopo era lo sviluppo economico-sociale, non la libertà per gli hedge fund.

Non è un caso se, nel dibattito controllato post-implosione, non si citi mai Maurice Allais e la sua proposta di abolizione totale del credito frazionale, per restituire in esclusiva agli Stati la prerogativa di emettere moneta. E nemmeno è un caso se i «salvataggi» intrapresi dalla Federal Reserve e dal Tesoro USA perpetuano e riconfermano la commistione incestuosa tra banche di deposito e banche d’affari, che invece andrebbe imposta onde allontanare i depositi dei risparmiatori dalle mani degli speculatori.

Con la scusa dei salvataggi, la JP Morgan si è aggiudicata per soli 19 miliardi di dollari la Washington Mutual, una cassa di risparmio che ha 182 miliardi di depositi: tutto denaro che servirà a Wall Street per un’altra puntata al Casinò Mondiale.

In questo quadro, riporto volentieri  la mozione di un senatore italiano, Oskar Peterlini, che raccomanda alcuni punti fermi sulla discussione per una «nuova Bretton Woods» su cui apparentemente c’è un consenso internazionale in formazione. Già firmata da 19 senatori, la mozione Peterlini si ispira esplicitamente alle idee di Lyndon LARouche. Non tutto quel che dice LaRouche mi è comprensibile, e su alcune cose non sono d’accordo (3). Ma alcuni punti fermi sono chiari:

1. la riorganizzazione del sistema finanziario dovrà seguire il modello dell’amministrazione controllata, in cui i debiti speculativi - che rappresentano la stragrande maggioranza dei valori che gravano sui bilanci delle principali banche commerciali e d’investimento, oltre a numerosi altri istituti finanziari e perfino su enti locali italiani - vengano depennati o estinti, salvaguardando invece, fino a un certo limite, gli investimenti dei piccoli risparmiatori anche nei fondi pensione e in altri strumenti finanziari non speculativi, e garantendo il finanziamento delle attività essenziali dell’economia reale. Il bene comune (General Welfare) deve avere precedenza rispetto agli obblighi finanziari creati per foraggiare la bolla speculativa;

2. nuove regole dovranno garantire la stabilità necessaria per la produzione e il commercio internazionale: a) cambi valutari decisi con accordi tra le nazioni (fixed exchange rates), evitando le oscillazioni speculative dei mercati; b) controlli sui trasferimenti di capitali a fine speculativo (capital control), privilegiando gli investimenti a lungo termine nell’economia produttiva; c) un sistema creditizio che garantisca investimenti a basso tasso d’interesse e a lungo termine in infrastrutture, industria ed alta tecnologia (productive credit) per rompere con la tendenza degli ultimi decenni, in cui si è incoraggiata la ricerca del profitto facile penalizzando l’attività produttiva;

3. un sistema creditizio e non puramente monetario. Considerando che le Banche Centrali emettono arbitrariamente moneta per fini di aggiustamento monetario, occorre creare un sistema che fornisca credito al fine di promuovere lo sviluppo economico. Questo modello trova le sue origini nella Costituzione degli Stati Uniti e fu adottato dal segretario al Tesoro Alexander Hamilton, nonché ripreso dal presidente Lincoln e dal grande presidente Roosevelt nel crac e nella depressione degli anni Trenta. Il sistema creditizio e non monetario fu l'idea ispiratrice del sistema di Bretton Woods, che funzionò con successo finché non fu abbandonato nel 1971 ed oggi viene riproposto dall’economista Lyndon LaRouche».




1) Jeffrey Garten, «We need a new Gglobal Monetary Authority», Financial Times, 25 settembre 2008.
2) Nel 2003, un’inchgiesta della BBC ha diomostrato che il mercato unico europeo, e la futura unione monetaria, sono stati elaborate dal Bilderberg. Confronta www.propagandamatrix.com/ bbc_radio_4_bilderberg.mp3.
3) Lyndon LaRouche, «New Bretton Woods: russia’s role in a recovery», www.larouchepac, 20 agosto 2008.


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