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Diamo Napoli ai bulgari
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Non si sa da dove cominciare.
Dai deputati che zitti zitti si aumentano l’emolumento di 200 euro mensili?
Dal sindaco di Roma (tale Veltroni, l’uomo nuovo) che promette 200 euro mensili di bonus ai vigili urbani che multano di più?
Dai kikuyu di Pianura, sobborgo di Napoli, che bruciano quattro autobus perché non vogliono la discarica ma un campo da golf a 18 buche, manco fossero le Bahamas?

O forse, bisogna cominciare dalla tribù Luo del Vomero che ha distrutto una cinquantina di auto nella gran festa di capodanno, con petardi e falò?
Senza contare i bambini e adulti ammazzati da pallottole vaganti di festeggiatori? (qui non si usano i machete).
O da Bassolino & Jervolino che alla festona di Capodanno non si sono fatti vedere perché temevano di essere malmenati?

O parliamo di Napolitano che ha scoperto l’esistenza del carovita?
«Comè umano leiii…», direbbe Fracchia sbavando di servilismo.
O dei sindacati che, ora che Napoletano l’ha detto quindi è autorizzato, dicono che bisogna aumentare i salari.
O da Prodi che promette: sì, ora metterò mano alla redistribuzione fiscale per i redditi dei dipendenti.
Ma sarebbe inutile.

Sarebbe inutile domandare a Prodi perché quei soldi, ai contribuenti, glieli ha prima presi con le tasse, se poi intende ridarglieli.
Perché il suo governo ha succhiato dalle tasche nostre 38 miliardi di euro in più, il 10% in più, contro un aumento del prodotto interno lordo nominale (facendo finta che l’inflazione non esista) del 3,7%.
La pressione fiscale è al 42,3%, mentre un anno prima era al 40,6%.
Solo un altro governo Prodi fece di meglio, nel 1997: 43,6%.Ma anche la percentuale 42,3% di scrematura del reddito personale è una fandonia: non tiene conto di tutti i balzelli che paghiamo, del fiscal drag sui carburanti e sulle paghe, che lievitano l’introito pubblico con gran gioia del Padoa Schioppa: il fabbisogno statale è sceso.
E intanto ha già speso l’aumentato prelievo, anche coi 200 euro ai deputati.
No, manca il cuore.
Parliamo d’altro, come ai tempi del fascismo quando era meglio, disse Longanesi, «parlare dellelefante».
Di un argomento lontano, che non ci tocca.

Parliamo della Bulgaria.
Là, dal primo gennaio, l’imposta sulle persone fisiche (la nostra IRPEF) è del 10%.
Aliquota unica, per qualunque reddito: flat tax.
Le imposte sui dividendi e la liquidazione di azioni sono al 5%.
Quelle sulle pensioni - costituite dai cittadini attraverso assicurazioni private - sono tassate al 7%.
Non al 42,6% come da noi.

A Bruxelles minacciano: no, la Bulgaria, se vuole entrare in Europa a pieno titolo, deve «armonizzare» la tassazione su quelle francesi, italiote e germaniche.
Vedremo come andrà a finire.
Perché l’Estonia è molto europeista, eppure è stata la prima ad adottare la flat tax con aliquota unica al 26% ed ora la sta riducendo al 20%. (la Russia ha seguito, col 13%, e poi anche Romania, Slovacchia e Georgia).
Non sembra che al governo bulgaro nè a quello estone manchino i fondi per pulire le strade dalla monnezza.
E intanto là i loro lavoratori ricevono una busta-paga non dimezzata, come le nostre, dall’imposta sul reddito e dai contributi INPS.
Chissà come faranno.

Bisognerebbe chiedere a Mart Laar, che è stato premier dell’Estonia dal 1992-95 e poi dal 1999 al 2002, ed ha introdotto la flat tax.Tutti gli economnisti consigliavano una imposta sul reddito progressiva ed alta, perché il Paese era al disastro: l’economia calò, dopo il crollo dell’URSS, del 30%, il 95% delle imprese era statale e il 92% del commercio era con la Russia.
La disoccupazione era al 30% e l’inflazione superava il 1000%.

Oggi in Estonia l’inflazione è al 2,5%, la crescita economica vicina al 7%, il bilancio statale è in pareggio nonostante un alto livello di investimenti (l’Estonia è il primo Paese al mondo ine-government, tutto si fa su internet).Come ha fatto?

Mah.
Sarà che Martin Laars, quando fu eletto nel ‘92, aveva 32 anni, un po’ meno di Romano Prodi che nel ‘75 (33 anni fa) era già ministro dell’Industria.
Sarà che Laars non è un politico di professione, ed ora che ha lasciato il governo è tornato a fare quello che faceva prima, lo storico universitario: un dilettante, mica un professionista come i nostri, e nemmeno un tecnocrate come Padoa Schioppa o Draghi.
Sarà che in Estonia non c’è la camorra che fa affari sulla monnezza.
O che la gente non sogna campi da golf a 18 buche fra le discariche.
O che è gente non solo onesta, ma più istruita della media europea.O che non c’è il pullulante secessionismo delle infinite «autonomie», comunali, provinciali, regionali, che da noi rendono impossibile ogni governo reale, se anche ci fosse una classe dirigente: i poteri sono così suddivisi da essere impotenti, il che non dispiace alla Casta, perché così può scaricare il barile su altri, e godersi gli stipendioni che spettano a gente che governa davvero.
Così la Jervolino s’è scagliata, in difesa dei camorristi di Pianura in rivolta contro la discarica, contro il commissario straordinario.
Vogliono il campo da golf (18 buche) e quindi bruciano autobus: hanno ragione, dice la stridula. Bisognava sentire alla radio cosa ha risposto il commissario straordinario, il prefetto Alessandro Pansa: balbettante, belante come una pecora rassegnata, ha dato ragione alla Jervolino, «è stata anche mio ministro», ha detto… insomma chiedeva pietà.

Il commissario straordinario, s’è capito, non ha nessun potere.
Solo quello di dialogare con le «autonomie», ossia con le camorre comunali che vogliono il campo da golf dove spendere i miliardi che si sono fatte con l’affare-monnezza, discariche in affitto ed ecoballe «lavorate».
Del resto, questi commissari straordinari sono messi lì per pochissimo tempo.
Pansa ha lasciato la sua poltrona a un altro prefetto, Umberto Cimmino.

Fa pietà vedere dei prefetti belare e balbettare davanti a politici che dovrebbero invece arrestare per malversazione, inadempienze gravissime e concorso estero (o interno) in mafia.
Ma non possono: non hanno i «poteri».
E perché allora accettano l’incarico, che trascinerà nella monnezza la loro reputazione?

Uno dei problemi meno discussi della malattia italiana è proprio questo: la demoralizzazione, la disgregazione della dirigenza della pubblica amministrazione.
Una classe tecnica, di carriera, che garantisca la continuità del governo c’è in Spagna e in Estonia, in Francia e in Germania: da noi non c’è più.E’ stata distrutta dalla casta politicante.
I capi di gabinetto, i direttori generali e i prefetti non sono più personalità indipendenti di carriera: la loro carriera è alla mercè dei ministri e dei governatori regionali, e spesso i loro posti sono stati occupati da «manager» a contratti privati che in realtà sono o candidati trombati che il loro partito doveva compensare, o da familiari.

Tipico l’esempio di Elisabetta Spitz, moglie di Follini.
Direttrice del Demanio a 130 milioni di lire annue quando era funzionaria pubblica di carriera, ora sta sui 340 mila euro annui, ma in compenso è «licenziabile» perché a contratto privato.
E certo avrebbe perso il posto quando scese Berlusconi e andò al governo Prodi: per fortuna il maritino è passato dalla «destra» alla «sinistra», e lei ha conservato il posto e l’emolumento, maggiorato come «manager privato». Così, lincompetenza della classe politica più vecchia, corrotta e «professionale» del mondo (nel senso che il sedere in parlamento è il suo mestiere, altro non avendone) si potenzia con l’incompetenza di funzionari che sono ormai tutt’altro, e che non hanno alcuna «autonomia» ma sono legati al carro dello status quo.

L’inciviltà crescente è appunto causata da questo intorbidamento giuridico.
Da aziende pubbliche «privatizzate» che sono rimaste in mano alla Casta politicante e le cui perdite vengono comunque ripianate dal denaro di Stato e dei contribuenti (Alitalia, Trenitalia), mentre i loro eventuali profitti (come in certe aziende comunali) sono distribuiti fra gli azionisti.
Da banche «private» che sono possedute da «fondazioni» in cui i partiti mettono i loro amici e trombati.
Da funzionari che hanno lo stipendio da manager e compiti da pubblici amministratori, senza una precisa delimitazione di responsabilità.
Da «autonomie» impotenti o in mano alla camorra o alla mafia, perché nel sud dare «autonomia» significa quello e occorrerebbe invece, centralizzazione estrema ed estrema responsabilità in capo a qualcuno ben identificabile.
Da «authorities» senza autorità (ma con grassi stipendi) e da «commissari straordinari» che sono commissariati dai Bassolino-Jervolino, e tremano davanti a loro, o sono con loro in combutta.

Per casi così gravi, Roma aveva una magistratura d’eccezione: il dictator.
Restava in carica sei mesi e decadeva automaticamente, ma disponeva dell’imperium domi e dell’imperium militiae, cioè accentrava in sé ogni potere anche di polizia, dunque tutta la responsabilità, cosa che i commissari straordinari si sognano.
Si dirà che non è democratico.
Ma come in Kenia, c’è da chiedersi che cosa sia la democrazia in una società tribale.
Là tutti i kikuyu votano il capo-tribù kikuyu, e tutti i luo votano il loro cacicco luo, e questo si sa in anticipo.
Inutile votare; e allora si tirano fuori i machete, arma del particolarismo arretrato.


Forse bisognerebbe mettere la Campania, anzi l’Italia, sotto commissariamento bulgaro.
E siccome non si può, forse conviene emigrare in Bulgaria, chiedere asilo in Estonia.

 
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