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Il capitale «volatile»
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Il valore indotto della banconota falsa cambiale bancaria

Il fatto che, dopo la dichiarazione di Nixon, le banconote, moneta-debito gravata di interesse, continuassero tranquillamente a circolare, sorrette soltanto dalla fiduciaria accettazione del pubblico, avrebbe dovute rendere evidente che la vera fonte del valore della carta moneta non era la copertura aurea, venuta meno, ma la fiducia popolare.

Le banconote, in altri termini, hanno valore, anche se private della garanzia aurea, soltanto perché sono accettate dal popolo.

Si tratta dunque di un valore indotto nel senso che esso è incorporato nel simbolo cartaceo dall’accettazione fiduciaria da parte del pubblico (8).

Giuridicamente siamo in presenza di un nuovo bene reale sebbene di quel tipo che, in giurisprudenza, si definisce immateriale.

Ma non, per questo, privo di tutela giuridica.

Questo bene reale immateriale, ossia il valore indotto dalla accettazione fiduciaria delle banconote, è ciò che costituisce il potere d’acquisto della carta moneta.

Se le banconote non fossero accettate dal pubblico esse non avrebbero alcun valore né potere d’acquisto, come è avvenuto molte volte nella storia in presenza di situazioni eccezionali sul tipo degli eventi bellici.

Non è infatti lo Stato a conferire, con un atto legale, valore alle banconote perché laddove il pubblico, per un qualsiasi motivo, non le accettasse come mezzi di pagamento, non ponendo in esse alcuna fiducia, l’imposizione del corso forzoso non sarebbe comunque obbedita.

Dopo l’abolizione della riserva aurea, si è reso evidente che la forma giuridica, sotto la quale le banconote continuano a circolare, è quella di una falsa cambiale: infatti, attualmente presso nessuna banca è possibile ottenere il pagamento in oro o argento del loro valore nominale.


La castrazione degli Stati nazionali

La cosiddetta economia di carta inaugurata con la comparsa della moneta cartacea, che oggi sta diventando ancora più immateriale mediante la trasformazione della moneta di carta in meri flussi cibernetici nel vortice speculativo delle Borse mondiali, è fondata sull’induzione fiduciaria dirottata verso un esito nichilista delle relazioni sociali.

Il processo, finora descritto, di progressiva dematerializzazione della moneta, che è stato storicamente parallelo all’itinerario filosofico verso il nichilismo effettuato dal pensiero occidentale, ad iniziare da Lutero e da Cartesio, se da un lato ha senza dubbio contribuito allo sviluppo dei traffici e dell’economia, in modo però predatorio e caotico, dall’altro lato ha prodotto due nefaste conseguenze.

La prima è stata la progressiva sottrazione allo Stato moderno della sovranità monetaria, in parallelo alla sottrazione ad esso della stessa sovranità nazionale della quale quella monetaria è un aspetto essenziale.

La sovranità monetaria è, infatti, di chi controlla il monopolio dell’emissione monetaria.

Ora, come si è visto, tale monopolio è stato gradualmente assunto dalle Banche Centrali, le quali hanno a tal punto travalicato gli stessi poteri politici, democraticamente espressi dalla sovranità popolare, che oggi godono per dettato legislativo della più assoluta autonomia sotto la direzione di inamovibili, e comunque incontrollabili, governatori espressi dalla lobby transnazionale finanziaria e dalle consorterie central-bancarie.

La seconda conseguenza è stata l’affermarsi di una visione esclusivamente finanziaria dell’economia secondo la quale l’idolo cui tutto deve essere sacrificato è la stabilità della moneta in nome della lotta all’inflazione, anche quando tale sacrificio significa attuare politiche deflattive con rigida restrizione della liquidità ossia del potere d’acquisto ed aumento della disoccupazione e della povertà conseguente all’indotta depressione, in tal modo generata, nell’economia reale.

Come ha osservato Luttwak (9), quella del central-banchismo è una religione azteca che si nutre di sacrifici umani, perché se è vero che l’inflazione, ed in particolare la iper-inflazione, è un male tale da far crollare l’intera struttura economica mondiale, è altrettanto vero che la deflazione è la morte stessa, il gelo assoluto, dell’economia.

Inflazione e deflazione sono due mali da evitare, come l’inondazione e la siccità.

Il dogma della più assoluta rigidità anti-inflazionista, imposto a tutti i governi del pianeta dalla lobby central-bancaria mondiale, sta aprendo sotto i piedi dell’umanità il baratro della deflazione, ancor più letale per l’economia reale del rischio inflazione.

Infatti, nell’impossibilità di ottenere (come vorrebbe la scuola monetarista di Friedmann) l’equilibrio perfetto tra quantità di moneta in circolazione e quantità dei beni e dei servizi prodotti, un po’ di inflazione, costantemente tenuta sotto controllo e contenuta in limiti accettabili e sopportabili dal sistema economico, è corroborante per la produzione e lo scambio.

 

Al contrario, la deflazione, con il conseguente crollo dei prezzi e degli investimenti, porta dritto verso la depressione e la disoccupazione di massa.

Quando la moneta era aurea l’economia era sanamente vincolata a valori e beni concreti per il fatto stesso che la moneta era essa medesima un bene concretamente reale.

La stessa rarità dell’oro era un elemento di contenimento naturale dell’inflazione.

Ma al tempo stesso la natura aurea della moneta, che generava la rarità monetaria, era una delle cause dell’incapacità dell’economia a svilupparsi, proprio perché il potere d’acquisto sussisteva in misura estremamente limitata.

Con la comparsa della banconota il limite naturale della rarità monetaria fu superato e se da un lato questo ha reso possibile lo sviluppo economico dall’altro lato, essendo proprio dell’animus gnostico la volontà sacrilega di infrangere, nel tentativo di fare dell’uomo un dio, i limiti naturali posti all’umanità, sono stati creati valori fittizi ed immateriali ed è stato così possibile drogare inflazionisticamente l’economia con una facilità fino ad allora sconosciuta non dovendosi più ricorrere al taglio delle monete auree con metalli di bassa lega ma semplicemente stampando nuova cartamoneta.

Fu proprio questa la tentazione cui non seppero sovente resistere i ceti politici e che ha successivamente convinto, sotto l’interessata persuasione della lobby central-bancaria planetaria, quegli stessi ceti politici a cedere la sovranità monetaria ai governatori delle Banche Centrali mediante il riconoscimento legislativo e costituzionale della più completa ed incontrollata autonomia degli istituti di emissione.

Nel passaggio, in atto, alla fase post-moderna del processo di secolarizzazione, questo prodotto della progressiva dematerializzazione della moneta, che è la banconota, ha trovato il suo consequenziale compimento nei flussi di impulsi finanziari cibernetici che, come le pulsioni erotico-omicide interattive su internet, corrono sulla rete informatica planetaria delle Borse mondiali spostando in tempo reale il capitale volatile ed immateriale da un capo all’altro del pianeta.

La speculazione finanziaria è ormai incontrollabile dagli Stati nazionali che si vedono sempre più privati di risorse da destinare a scopi sociali e nazionali.


La finanziarizzazione ha prosciugato l’economia reale di liquidità proprio nel momento storico nel quale, giunto alla sua piena espansione il processo di globalizzazione dell’economia, con l’abbattimento di tutte le frontiere ed i dazi, a causa del rarefarsi delle materie prime, in particolare di quelle energetiche, ad iniziare dal petrolio, i costi di produzione ed i prezzi di mercato, invece di diminuire come vuole la teoria smithiana del liberoscambio, aumentano vertiginosamente, arricchendo iniquamente, per la sproporzione speculativa, il capitale ed impoverendo il lavoro, in particolare quello dipendente, al quale si richiede, ingiustamente, un eccessivo contenimento salariale nonché la subordinazione a forme sempre più contrattualmente precarie di prestazione lavorativa.

Infatti, le risorse finanziarie evaporano verso gli eterei spazi della bolla speculativa in attesa di tornare di tanto in tanto su quei territori che si assoggettano al diktat liberista dello smantellamento dello Stato sociale.

Di conseguenza gli Stati nazionali vengono letteralmente castrati perché essi non dispongono più di entrate fiscali sufficienti a coprire il costo dei servizi pubblici, cosa che poi li spinge a spremere fiscalmente i contribuenti privando l’economia reale di quel poco di ricchezza che i poteri finanziari non hanno ancora dematerializzato e ingenerando ancor più povertà senza, d’altro canto, riuscire a coprire il fabbisogno pubblico (indebitamente accresciuto, poi, dalla voracità della Casta ossia di politici, senza più dignità e senso dello Stato, ridotti a camerieri dei banchieri).

Da qui l’epocale tendenza a privatizzare ed esternalizzare non solo i servizi  ma persino le stesse funzioni procedurali ed amministrative della Pubblica Amministrazione ed addirittura le stesse più tradizionali funzioni dello Stato come la giustizia e la difesa che nei Paesi anglosassoni vengono già appaltati ai privati.

Il liberismo finanziario, favorevole alla pura speculazione, non persegue affatto obiettivi di sviluppo sociale ed economico ma soltanto il più rapido ed immediato profitto sganciato da ogni legame con l’economia reale e quindi con realtà concretamente sociali quali la produzione, lo scambio e l’occupazione.

Al liberismo finanziario interessa tutt’al più la riduzione dei fattori inflazionistici nell’economia mondiale, perché la rarefazione della liquidità sostiene verso l’alto il valore borsistico delle valute e dei titoli su cui la finanza transnazionale specula.

Se da un lato la finanza globale teme l’inflazione, tuttavia, dall’altro lato, contribuisce a crearla perché ogni operazione di tipo speculativo, basata sulla creatio ex nihilo di valori finanziari fittizi partendo da basi reali quasi nulle (l’effetto moltiplicatore di un’operazione speculativa sui derivati, ad esempio, è capace di moltiplicare esponenzialmente in pochi istanti somme minime e quindi di far fare altissimi profitti senza rischio produttivo ed imprenditoriale), gonfia in maniera inimmaginabile la bolla speculativa.

Tutto questo spiega perché spesso gli indici azionari di Borsa salgano, invece di scendere come succedeva quando l’economia non era ancora così finanziarizzata, all’annuncio di licenziamenti e riduzione di personale: infatti gli speculatori vedono nella disoccupazione non un dramma sociale

(e ad un tempo un dramma nazionale dal momento che gli Stati, a differenza delle aziende, non possono licenziare i propri cittadini) ma semplicemente un fattore di riduzione dei consumi e perciò di diminuzione dell’inflazione e di aumento di quella stabilità monetaria che garantisce loro le migliori condizioni possibili nel gioco speculativo delle Borse.

L’atteggiamento degli speculatori è di assoluta cecità.

Presi dalla febbre nichilista del profitto rapido e facile essi non s’avvedono, nel vortice annebbiante del loro egoismo, che la riduzione dei consumi a causa della disoccupazione e della sottoccupazione, congiunte all’aumento dei prezzi da crisi di energia e materie prime, porterà prima o poi alla recessione ed al fallimento di quelle stesse aziende i cui titoli azionari salgono gonfiati dalla deflazione dovuta alla riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori, in altri termini alla rarefazione della moneta corrente, proprio mentre i prezzi, anziché diminuire, salgono anch’essi per via dell’inflazione causata dalla rarità di materie prime ed energia e dall’eccessiva creazione di valori finanziari fittizi da parte dello stesso sistema bancario.

E se per il momento, nonostante la recessione in atto a seguito dell’esplosione a fine XX secolo della bolla speculativa della new economy, non abbiamo ancora avuto una depressione mondiale sul tipo di quella del 1929 è soltanto perché la globalizzazione ha permesso ai mercati di trovare uno sfogo verso i cosiddetti Paesi emergenti come la Cina e l’India.

Ma a lungo andare, quando in tutte le aree del pianeta le condizioni saranno di totale saturazione dei mercati o di totale riduzione generalizzata dei consumi, l’implosione depressiva e deflativa dell’economia mondiale sarà, salvo fattori attualmente imponderabili, inevitabile.


Il vero problema della Politica nell’età postmoderna globale


L’incapacità degli Stati nazionali a controllare, dirigere a fini sociali e nazionali, e a radicare il capitale volatile transnazionale è la misura dello svuotamento della sovranità nazionale da parte di un aggressivo e dissolutorio liberismo finanziario globale.

Il vero problema della politica oggi è quello di individuare gli strumenti per ricondurre sotto il controllo dello Stato i flussi finanziari immateriali in modo da subordinare il capitale volatile al prioritario bene comune nazionale attraverso l’immobilizzazione ovvero la conversione di quel capitale in investimenti produttivi ed occupazionali.

Anche, laddove fosse necessario, mediante politiche coercitive e regolatrici dell’eccessiva libertà finanziaria.

Lo sforzo comune dovrebbe essere quello di individuare le vie nuove per restaurare il primato del politico sull’economia nella post-modernità e per immobilizzare il capitale immateriale trasformandolo in beni concreti come sono innanzitutto, per la loro valenza occupazionale,

le aziende la cui proprietà, poi, deve essere diffusa e distribuita, seguendo i canoni del magistero sociale cattolico, in forme partecipative, comunitarie  e comproprietarie, fra tutti i membri del corpo sociale della nazione, con conseguente creazione di posti di lavoro e di reddito da salario e da partecipazione agli utili ed ai dividendi sociali.

Non si tratta di tornare alla moneta aurea ma di restituire, con quali mezzi è da stabilire, allo Stato la sua sovranità.

La prima misura di una politica orientata in tal senso dovrebbe, sicuramente, essere quella di ricondurre nel dominio statuale il potere di emissione della cartamoneta, circoscrivendo, al tempo stesso, onde evitare gli errori del passato, tale potere statuale di idonei strumenti di controllo tecnico atti ad impedire che, come appunto in passato, il ceto politico possa abusarne provocando eccessiva inflazione.

Una seconda misura dovrebbe essere quella dell’attribuzione al cittadino della proprietà del valore indotto della moneta, bene reale immateriale da esso stesso creato con l’accettazione dei simboli monetari cartacei, trasformando con opportune disposizioni legislative la natura giuridica delle banconote, di cui egli è portatore, da false cambiali, come essa è attualmente, in simboli di un bene reale di proprietà del legittimo portatore dei simboli medesimi.

 

La riforma bancaria di Maurice Allais

Tuttavia alle prime due misure sopra indicate se ne dovrebbe affiancare un’altra fondamentale:

la riforma del sistema bancario suggerita da Maurice Allais, un geniale onesto economista, premio Nobel.

Una riforma atta a riportare la funzione creditizia alla sua originaria vocazione di supporto finanziario alla crescita stabile di un’economia sociale.

Come ha ben spiegato Maurizio Blondet (10), la riforma proposta da Allais si muove nel solco

del social credit di Douglas e Gesell.

Per Allais l’attività bancaria deve essere dissociata e suddivisa tra due diverse categorie di istituti, indipendenti e distinti tra loro.

Alla prima categoria, che Allais chiama banche di deposito, devono essere attribuiti gli incassi,

i pagamenti e la custodia dei depositi dei clienti e deve essere interdetta ogni funzione di prestito.

Sono i clienti a dover pagare il servizio della custodia del denaro a questo tipo di banche, come succede nel caso di colui che si reca a teatro e dopo lo spettacolo ritira il cappotto, depositato a vista, presso la guardarobiera compensandola, per il servizio di custodia, con una mancia.

La seconda categoria di istituti bancari deve essere, per Allais, costituita da banche di prestito alle quali deve essere attribuita la funzione creditrice vera e propria vincolandola rigidamente, però, alla regola per cui l’ammontare globale dei prestiti effettuati da tali banche non può mai eccedere l’ammontare dei fondi da esse prese in prestito dai depositanti: questi ultimi, depositando il proprio denaro in questo tipo di banche, sono sin dall’inizio consapevoli di destinarlo al prestito in favore

di imprese ed altre attività economiche pubbliche o private, e dunque consapevoli di non poterlo ritirare se non alla scadenza pattuita (tre mesi, un anno, cinque anni, etc.), conseguendo, però,

il diritto ad una ricompensa, in forma di interesse, per l’uso concesso ad altri del proprio denaro.

Le banche di prestito avrebbero il loro compenso nella quota di interesse loro spettante su quello pagato dal debitore.

In questo caso, quindi, l’interesse non è lucrato su denaro creato dal nulla e, soprattutto, esso è lucrato a compenso di un servizio reale.

Mentre nel sistema vigente ogni apertura di credito da parte di una banca è effettuata in modo più che proporzionale rispetto alle riserve di valuta depositate ed esistenti nelle proprie casse, ingenerando così inflazione da creazione artificiale di moneta creditizia, nel sistema proposto da Maurice Allais verrebbe impedito al sistema bancario di creare moneta dal nulla.

Inoltre, nel sistema proposto da Allais, vincolando il credito alla misura effettiva dei depositi reali, lo sviluppo lungi dall’essere rallentato sarebbe soltanto riportato ad una crescita fisiologica, connessa agli autentici parametri dell’economia reale.

Verrebbe così frenata la follia consumista che reifica l’umanità soggiogandola alla libido dominandi dell’usurocrazia globale.

 

La quale, ogni cristiano dovrebbe presentirlo con chiarezza, altro non è che quel potere finanziario globale cui, secondo il veggente di Patmos, saranno sottoposti tutti i popoli sedotti dalla sua apparente umanità, che nasconde in realtà la bestialità più luciferina, ed al quale egli allude in Ap. 13, 16-18: «Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome duomo. E tal cifra è seicentosessantasei».

Luigi Copertino



Note

8) In ordine al valore fiduciario della cartamoneta siamo indubbiamente debitori della cosiddetta teoria del valore indotto genialmente formulata dal compianto Giacinto Auriti, già ordinario di Teoria Generale del Diritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Teramo, nelle sue importantissime opere Il Valore del Diritto e LOrdinamento Internazionale del Sistema Monetario, entrambe edite, nel 1996, dalle Edizioni dellUniversità dell’Università di Teramo.

9) Confronta Edward N. Luttwak Il dio euro e i suoi profeti, in L’Espresso, 14/11/1996, pagine 94-98.

10) Confronta Maurizio Blondet Schiavi delle banche, opera citata. In particolare il capitolo 22


 
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