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Io, cattolico ingenuo
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Pubblichiamo una lettera di Franco Damiani a Domenico Savino e la relativa risposta



Cattolici ingenui: Domenico Savino e il Ratzinger «restauratore»

                

Domenico Savino è un caro amico, una persona simpatica e un’ottima penna.

Ha scritto un lungo e documentato articolo («Cattolici stupefacenti: Gil Grissom e lascuola bolognese’» (EFFEDIEFFE 14-1-08 per sostenere la tesi che Benedetto XVI è il Papa mandato dallo Spirito santo per restaurare un passo alla volta la Tradizione della Chiesa, e che i suoi nemici sono i cattoprogressisti alla Martini annidati nei posti chiave della gerarchia, nonché gli intellettuali della scuola di Alberigo che, non riuscendo a neutralizzarlo, cercano di "abbracciarlo" alla maniera dell'eroe del telefilm CSI di cui al titolo.
E’ una teoria che riscuote molto credito nell’ambiente tradizionalista e che si appoggia ad alcuni atti indubbiamente clamorosi di Papa Ratzinger, come il recente motu proprio (peraltro largamente osteggiato e sabotato dai vescovi) sulla Messa tradizionale e i documenti sul «subsistit in» (su cui vedi però il mio articolo «Non avevamo capito nulla: ora Ratzinger ci illumina» e sulle missioni, che sembrerebbero indicare una volontà di recupero dell’insegnamento tradizionale oscurato da quarant’anni di neomodernismo.
Eppure...
Eppure l’equiparazione tra Novus e Vetus Ordo, dichiarati nel motu proprio «due forme dello stesso rito», dovrebbe apparire come un’impostura anche agli occhi dei più ben disposti: i due riti sono tanto affini che il primo nacque per soppiantare il secondo e che il suo autore, Paolo VI, di fatto proscrisse la Messa antica.

Ora invece dovremmo credere, per il solo fatto che l’ha detto Ratzinger, che il Novus Ordo contro cui abbiamo lottato è buono, dando così a noi stessi degli stupidi o dei visionari...
Vediamo qualche altro fatterello che l’ottimistica visione di Savino ignora: visitando il 29 novembre 2006 l’ex basilica di Santa Sofia a Istanbul, Benedetto XVI dichiarò (vedi la Repubblica del 30 novembre): «Nelle nostre diversità ci troviamo davanti alla fede del Dio unico, che Dio ci illumini e ci faccia trovare la strada dellamore e della pace».
Entrato poi nella moschea blu, «levatosi le scarpe e calzate le pantofole come prescrive la religione islamica, ha attraversato gli ampi spazi della moschea accompagnato dal Gran Mufti di Istanbul Mustafa Cagrici. A questo punto il fatto inedito: Benedetto XVI si è fermato davanti al Mihrab, ledicola islamica rivolta in direzione della Mecca verso la quale indirizzano le loro preghiere

i fedeli musulmani».
Come se non bastasse, nella lettera di risposta ai 138 imam Benedetto XVI dichiara che ciò che ci divide dall’Islam è... l’illuminismo (http://www.cattolicesimo.eu/forum/viewtopic.php?t=1947)!
Atti che l’amico Savino ammetterà essere alquanto singolari per un Papa.


Benedetto XVI e gli ebrei


Visitando in precedenza, il 19 agosto 2005, la sinagoga di Colonia, papa Ratzinger, successore di San Gregorio VII e di San Pio V, non disse una sola parola di ammonimento per gli ebrei infedeli e deicidi, ma, ricordando l’allora prossimo quarantennale della dichiarazione conciliare «Nostra Aetate», parlò solo di «pace» e di «radici comuni», affermando «Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede (confronta Galati 3,7; Romani 4,11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti», dimenticando che fu Nostro Signore stesso (Giovanni VII, 44) a dichiarare che gli ebrei infedeli non sono figli di Abramo ma del diavolo.

Osò persino affermare, citando il suo predecessore, «Chi incontra Gesù Cristo incontra lebraismo» (Insegnamenti, volume III/2, 1980, pagina 1272), sorvolando sul fatto che l’ebraismo talmudico e rabbinico attuale non ha nulla che vedere con quello mosaico che è progenitore del cristianesimo, anzi ne è la negazione.

Il Limbo

Altra singolarità di questo «restauratore» è lo smantellamento, attraverso l’ «abolizione del Limbo» decretata dalla commissione teologica internazionale da lui nominata, del dogma del peccato originale, su cui si regge tutto l’edificio dell’economia di salvezza e in ultima analisi del cristianesimo stesso.

Leggiamo ancora la Repubblica del 7 ottobre 2006: «Monsignor Bruno Forte, membro della Pontificia Accademia di Teologia, svela le intenzioni di Benedetto XVI: Il peccato originale è una realtà che realmente segna la fragilità della condizione umana; il battesimo è necessario per rimuoverlo, ma nel caso di un bambino che non è stato battezzato, senza alcuna sua colpa, il potere salvifico di Cristo dovrebbe - notare il cattolicissimo condizionale, ndr - prevalere sul potere del peccato».

E anche su diciannove secoli di dottrina concordemente opposta.

Benedetto XVI e l'ecumenismo

Ratzinger inaugurò lo scorso 21 ottobre il «meeting interreligioso» di Napoli, organizzato come i precedenti dalla comunità di Sant’ Egidio «nello spirito di Assisi», spirito di relativismo massonico e di apostasia.
Recentemente poi questo «inviato dello Spirito Santo» ha avuto l’idea di aprire una «cappella ecumenica» nella basilica di San Paolo fuori le mura.

Su questa triste vicenda cedo la parola a don Giulio Maria Tam e al suo bollettino «Documentazione della Rivoluzione nella Chiesa»: (Marcel-Lefebvre-tam.com).
Il cardinale Montezemolo sull’Osservatore Romano dice: «E un fatto di enorme portata… é davvero un fatto importantissimo… Daremo la possibilità a comunità cristiane non cattoliche di poter venire in basilica a pregare,
a celebrare la liturgia… Il Papa ha indicato due punti fondamentali. Innanzitutto far conoscere meglio San Paolo… la seconda dimensione è
quella ecumenica
, e Benedetto XVI ci tiene moltissimo» (Osservatore Romano 19.12.2007).
Ciò contribuisce a chiarire che cosa intende Benedetto XVI per «restaurazione».

Lui l’ha sempre detto chiaramente.

Sia Papa Ratzinger, che noi, diciamo che non è una restaurazione, sono solo alcuni dei nostri che vogliono vedere quello che non c’è: «Se per restaurazione si intende tornare indietro, allora nessuna restaurazione è possibile» (Rapporto sulla fede).

«… Un gran numero di gente cerca rifugio nella liturgia antica … tirare la conclusione diretta: bisogna recuperare la dimensione sacra della liturgia… Bisogna difendere il Concilio Vaticano contro monsignor Lefebvre.… Il punto centrale del conflitto si situa nellattacco contro la libertà religiosa e contro il preteso spirito di Assisi». (Discorso del cardinale Ratzinger ai vescovi del Cile 1988).

Una cappella ecumenica nelle nostre chiese

E papa Ratzinger sorpassa a sinistra Paolo VI.

Dopo la libertà religiosa, la collegialità, adesso l’ecumenismo fa un salto avanti, in futuro si potrà mettere nelle chiese cattoliche una cappella per le altre religioni: è certamente la prima volta
nella storia della Chiesa.

La Rivoluzione della Chiesa è ormai pianificata anche con le sue metamorfosi: «Due passi avanti
e uno indietro
» (motu proprio) e di nuovo avanti. Adesso si capisce meglio perché Giovanni Paolo II aprì la Porta del Giubileo nella Basilica di San Paolo con affianco gli ortodossi e gli anglicani: era linizio… Da una parte liberalizzare la Messa di San Pio V, dallaltra la cappella ecumenica: ecco Papa Ratzinger. Perchè lo fa? Benedetto XVI aveva ultimamente affermato a più riprese

Che: ‘Il Concilio Vaticano II… non è stato pienamente assimilato dalla comunità cristiana’ ». (Osservatore Romano 18.2.2006 e 23.1.2006).

«La Giustificazione… non è passata nello spirito dei fedeli» (Osservatore Romano 14.9.2006).

«La recezione del Concilio…così difficile» (Osservatore Romano. 23.12.2005).

Cioè, il Papa è convinto che il Vaticano II è ancora una costruzione solo nella testa dei vescovi, dei preti e alcuni laici ma che bisogna fare dei gesti concreti più percettibili per farlo passare nei fedeli cattolici, in modo che il modernismo sia accettato con piena avvertenza e pieno consenso. Certamente la costruzione di una cappella agli altri dèi nelle chiese cattoliche, se viene accettata,
non lascia più spazio al dubbio.
La Sinistra, conoscendo Ratzinger, con beffarda lucidità l’aveva previsto e già dichiarato.
Il celebre progressista, padre Sorge s.j. su Adista del 14.10.2006 rassicura tutte le correnti di sinistra e dice: «… Mi aspetto molto del nuovo Papa».
Di fronte alla nuova fase della Rivoluzione nella Chiesa, sentiamo gli «ottimisti» ripetere come in passato: «non bisogna esagerare».

«Bagattelle di monaci» l’aveva chiamata l’umanista Leone X, ed è tutto quello che aveva capito della nascente Rivoluzione Protestante.
Noi ascoltiamo invece il Beato Pio IX che disse il 6.3.1873: «… Si chiamano cattolici liberali… spingono gli spiriti alla tolleranza… sono più pericolosi e fanno più danno che i nemici dichiarati… imprudenti amanti della conciliazione… indeboliscono le nostre forze».

«Comunque le chiese non sono del Papa ma del popolo cattolico, che le ha costruite esclusivamente per il culto cattolico-romano, e se il Papa vuole trasformare le chiese cattoliche in logge massoniche, dove tutte le religioni fanno il loro culto al grande architetto delluniverso’, il popolo
cattolico deve difenderle e riprenderle. Mobilitiamoci
».


Il giudizio di Sì sì no no e di Sodalitium

Anche la rivista Sì sì no no non crede alla volontà restauratrice di Ratzinger, definito a suo tempo «Un prefetto senza fede alla testa della Congregazione per la dottrina della fede», e parla di una fase di «restaurazione napoleonica», atta a consolidare, sotto l’apparenza del ritorno all’ordine,

le principali conquiste della «rivoluzione» conciliare.
E don Francesco Ricossa, analizzando nel 1993 un colloquio dell’allora cardinale Ratzinger con il pastore valdese Paolo Ricca, così sintetizzò, nell’articolo «Ratzinger protestante al 99%», (http://cattolicesimo.forumup.it/post-10-cattolicesimo.html) le convinzioni dell’attuale Pontefice:
1) L’ecumenismo è necessario, fondamentale, indiscutibile.
2) Il Papato ne è il problema.
3) L’ecumenismo ha un fine ultimo: «Lunità delle chiese nella Chiesa».
4) Questo fine ultimo si realizzerà in forme a noi ancora sconosciute.
5) L’ecumenismo ha anche un fine prossimo, «una tappa intermedia» il cui modello è «lunità nella diversità» di Cullmann.
6) Questa tappa intermedia si realizza mediante un continuo «ritorno all’essenziale»…
7) … favorito da una reciproca purificazione tra le chiese.

Conclusione

Gli ottimisti alla Savino sono mossi da una sincera e comprensibile volontà di sentirsi in piena sintonia con il Vaticano, ma la loro ingenuità rischia di consegnarli indifesi a una manovra che più che dallo Spirito Santo sembra essere stata architettata da Satana ai danni della fede, come non si stanca di ammonire l’abbé Marchiset dalle colonne della rivista elettronica Virgo Maria (recentemente ha segnalato un’inquietante catechesi papale sul Paradiso «luogo psicologico» , confronta «Fidem Servavi» numero 3): circuire i tradizionalisti per eliminarne la resistenza e distruggere quel che resta della dottrina e del rito tradizionali.
La posta in palio è troppo importante (si tratta nientemeno che della salvezza delle anime nostre) per poterci abbandonare all’ottimismo forzato.

Anche in questo, soprattutto in questo, dovrebbe valere il principio tuziorista (fidarsi solo di ciò che è provatamente sicuro).
Contro questo mortale pericolo mi unisco pertanto all’appello alla mobilitazione di don Giulio Tam: niente compromessi, solo il ritorno integrale alla tradizione.

Se la Messa antica era buona, come ora i modernisti sono costretti ad ammettere (l’ha detto il Papa!), quella nuova, nata per soppiantarla, non può essere altrettanto buona.

Abbiamo sempre detto che è un pericolo per la fede e per questo la disertiamo: non resta che trarne le dovute conseguenze dottrinali.

Franco Damiani


Io, cattolico ingenuo

Di Franco Damiani ne avevo sentito parlare (1), sui giornali avevo letto di lui e della ignobile persecuzione cui è stato sottoposto, ma l’ho conosciuto a Silea di Rovigo solo due anni fa, durante la celebrazione di una Messa, officiata con il Vetus Ordo.

Per me era la prima volta dal 1969.

Era pure la prima volta che partecipavo ad una celebrazione della Fraternità San Pio X.

Il Motu Proprio non era ancora uscito, La Messa antica era ancora clandestina.

Al più si poteva celebrare con l’indulto, come se fosse un reato.

In verità per molti cattolici lo era, per molti lo è anche oggi, perfino di più.

Terminata la celebrazione sono rimasto inebetito, in mezzo a facce di popolo vere, a guardarmi intorno, un po’ sospeso, mentre un mare di ricordi mi travolgeva e mi veniva in mente la prima volta in cui, moltissimi anni prima, avevo servito Messa: avevo sei anni ed ero emozionantissimo.

Allora ho capito la gratitudine che dovevo a chi per quarant’anni aveva resistito, era stato perseguitato, cacciato e umiliato essenzialmente per quella «cosa lì».

Franco Damiani è uno di loro.

Da allora la Messa, quella Messa lì, è tornata nel mio cuore come un’ossessione.

Il desiderio di farla conoscere agli altri che come me, invece, in questi quarant’anni si erano perduti, affogando in una fede un po’ contaminata, è divenuto incontenibile.

Quando si cominciò a parlare di Motu proprio ho pregato, ho pregato molto.

E, quando il Motu proprio è stato promulgato, ho telefonato come un deficiente a tutti, per gridare la mia gioia. Non so perché, ma ho telefonato perfino a don Curzio Nitoglia, che non conosco personalmente e che deve aver pensato che sono un po’ matto.

E ho ringraziato il Signore, per questo Papa e per tutti quelli che, come Franco Damiani ci avevano costretti a tornare lì, all’Altare.

Franco Damiani - anche per me è un amico - l’ho conosciuto dunque a Silea di Rovigo sotto quel tendone che poi ci ha visti mangiare assieme, qualche centinaio di popolani tra canti alpini e folklore «serenissimo», mentre i Sacerdoti della Fraternità San Pio X per il gran caldo rigavano di sudore la veste talare, ma, immarcescibili, non si slacciavano neppure il primo bottone.

Franco Damiani porta nello sguardo la sofferenza di chi ha traversato il deserto, il dolore di chi ha pagato di persona e la rabbia - forse - di essere stato lasciato solo.

Da me, anzitutto, per quarant’anni.

Dunque ha ragione a darmi dell’ingenuo, ragione da vendere.

E ha ragione perfino a pensare - se lo pensa - che non ho titolo ad insegnare nulla, visto che sono arrivato per ultimo.

 

Anche nel merito talvolta può aver ragione, tutti i rischi che paventa sono veri.

Le contraddizioni che evidenzia pure, quei rischi li vedo anch’io, sono ingenuo, non cieco.

Ma… c’è un ma.

Come è stato possibile che perfino io abbia capito?

Che perfino uno come me ad un certo momento si sia svegliato e abbia detto «basta», perché ciò che era in gioco era la Fede?

E’ nato tutto dall’Altare, dallo scandalo e dall’amarezza che ho provato via via nel rendermi conto che la Messa, così come viene celebrata oggi, diventa spesso, magari inconsapevolmente, strumento di propagazione dell’eresia.

Anche per me, seppure con decenni di ritardo, la celebrazione dell’Eucaristia fatta in quel modo, quello a cui ci tocca di assistere alla domenica, diventava anziché medicina dell’anima, amarezza.

Quella lex orandi, entro cui è cresciuto quel deprecabile vezzo che è la «creatività liturgica», presupponeva evidentemente una lex credendi, che non era più quella autenticamente cattolica,

a riprova del fatto che «la lingua parla della sovrabbondanza del cuore».

Innanzi alle profanazioni eucaristiche, anch’io mi sono ribellato.

Fino a pochi anni fa non sapevo un bel niente di Lefebvre, il vescovo «ribelle», se non quello che riportavano i giornali.

Non avevo capito che egli si era ribellato alla «ribellione».

La maggior parte della gente di queste cose non sa nulla e capisce ancor meno.

La nuova vulgata della Fede, appresa quasi esclusivamente attraverso i media e le pessime celebrazioni cui assiste, li ha resi ciechi.

Oramai la maggior parte dei cattolici non capisce più cos’è la Messa e infatti alla fine non ci va più.

La «battaglia per la liturgia» è la madre di tutte le battaglie se vogliamo tornare a proclamare davvero il dogma cattolico.

Dall’Altare, solo dall’Altare, viene la salvezza.

Chi ha voluto minare la Chiesa sapeva bene che avrebbe dovuto minare anzitutto la liturgia: distrutta la liturgia, si sarebbe potuta propagare una nuova fede e su di essa edificare una nuova Chiesa.

Per questo non ci sarà rinascita della fede senza una rinascita della liturgia, senza che il Novus Ordo sia riformato, conformandolo al Vetus Ordo.

Io non credo alle Restaurazioni, le Restaurazioni penso siano impossibili.

La «storia», tanto quella sacra che quella profana, è lì a dimostrarlo.

 

Il Concilio di Trento non restaurò quanto c’era prima.

Fece molto di più: definì il dogma in maniera ancora più chiara, dopo essere passato attraverso la prova e la punizione della Riforma.

Sì, prova e punizione perché Lutero non fu un masso erratico che travolse la Chiesa: essa era già piena di peccati e di eresie, di Papi ed anti-papi, di Umanesimo e simonia.

Insomma, se il ladro scassina la casa, la colpa è anche di chi non ha vigilato.

Anche ai tempi nostri, se il Vaticano II è stato - magari suo malgrado - foriero di eresia, quell’eresia serpeggiava già nella Chiesa.

I padri conciliari non furono nominati tutti durante il breve pontificato di Giovanni XXIII.

E’ possibile domandarsi se l’ultimo Principe della chiesa, cioè Pio XII non peccò forse di verticismo nell’interpretare il ruolo di Pontefice, atteggiamento che fu alla base della reazione conciliarista degli anni successivi?

E’ innegabile che oramai da molto tempo prima del Concilio la Chiesa non riusciva ad elaborare una risposta adeguata in termini culturali e politici ai nuovi fermenti che attraversavano la società e da lì penetravano la Chiesa.

E’ innegabile che dopo la grande battaglia del XIX secolo, culminata proprio nel dono del cielo che fu il Pontificato di San Pio X, la Chiesa, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, cercò riparo all’erompere di una nuova crisi rivoluzionaria di matrice comunista in quelle stesse forze rivoluzionarie liberali e nazionali che nei decenni precedenti aveva avversato.

Il clerico-fascismo non fu per la Chiesa che un male minore, rispetto a quello che sarà il catto-comunismo o il cattolicesimo liberale.

Perché la Chiesa non può coniugare se stessa altro che con il Cristo.

Le contraddizioni che ne derivarono non si possono ignorare: vennero alla luce nei decenni successivi.

Le deviazioni dottrinali che sarebbero culminate nelle giuste condanne della Nouvelle teologie a metà degli anni ‘50 non furono accompagnate da una altrettanto efficace opera di rielaborazione delle ragioni fondanti di opposizione alle seduzioni di una modernità che, specie dopo la fine

del secondo conflitto mondiale, sembrava davvero offrire con le nuove sirene del consumismo vie di benessere e riscatto sociale per grandi masse di persone: il corpo sociale della Chiesa stava già ammiccando al Mondo e al miracolo economico post-bellico.

La Fede era già divenuta presso molti benpensanti un impaccio di cui liberarsi per vivere l’ebbrezza di una dolce vita satura di stuzzicanti piaceri.

Per larghe masse popolari essa era divenuta la sovrastruttura dietro cui si celavano interessi di classe e insopportabili privilegi. In campo politico la Chiesa veniva tanto blandita come strumento per consolidare in chiave geopolitica l’Occidente, quanto detestata per il peso morale in cui ingessava la masse rispetto alle nuove dinamiche dei costumi.

 

Necessaria e malsopportata la Chiesa viveva di rendita: insufficiente era l’elaborazione teologica, carente la presenza culturale, superficiale la formazione sacerdotale, inadeguata la catechesi delle masse.

Non poteva bastare lo ieratico pontificato di Pio XII ad arginare l’onda che stava montando contro di essa.

Già prima di Giovanni XXIII i politici cattolici avevano rivendicato la propria autonomia e il sillonismo di fatto, pur sempre ufficialmente condannato, era pratica diffusa.

Al di là delle condanne formali, l’applicazione del metodo storico-critico nell’interpretazione dei testi biblici continuava a sedurre molti ed era tollerata, così come il superamento della scolastica tomista in nome di un nuovo rapporto con l’elaborazione filosofica moderna.

La gran parte dei «periti» conciliari (Chenu, Congar, Danielou, De Lubac, Rahner) avevano avuto libri all’indice ed erano stati rimossi per qualche mese o qualche anno dall’insegnamento.

Se di lì a qualche tempo sarebbero divenuti i teologi del Concilio, ciò significa che alla condanna formale dall’alto non era seguita una diffusione in basso delle ragioni di tale interdetto.

Allo stesso modo se dopo il Concilio si farà strada la «Teologia della Liberazione», essa non nacque solo dalle lotte operaie degli anni Settanta e dai movimenti di liberazione latino-americani: probabilmente essa costituì lo sviluppo di una pianta che era stata solo ibernata dalla condanna

dell’ esperienza dei preti operai francesi negli anni Cinquanta.

Allo stesso modo ben prima del collasso dell’Azione Cattolica Italiana nel corso degli anni ‘70,

le dimissioni nel 1956 dei dirigenti della gioventù dell’Azione Cattolica Francese indicavano l’emergere di una crisi che sarebbe esplosa ovunque pochi anni dopo.

Spesso appiattita più su posizioni occidentaliste che autenticamente cattoliche (è un monito che vale anche oggi), la Chiesa divenne anche per questo bersaglio primo di chi, dall’Occidente assai più che dall’Oriente comunista, elaborò una strategia di destrutturazione spirituale, culturale e sociale del mondo, che sarebbe culminata con la contestazione giovanile degli anni Sessanta.

Certo il Concilio favorì quella stagione di rivolta generazionale, ma non ne fu la scaturigine.

Se l’idea dell’aggiornamento trovò tanti sostenitori all’interno della Chiesa, il motivo va ricercato in una stanchezza nell’annuncio di Fede ed in una istituzionalizzazione della presenza cattolica.

Di fronte alla «freschezza» dei contestatori, i custodi della Fede poterono apparire spesso preoccupati solo di difendere se stessi, anziché di «vestire di nuovo a battaglia» come un secolo prima per difendere il proprio gregge dai mercenari.

Se a partire dagli anni Sessanta i popoli cattolici furono travolti dall’ondata di secolarizzazione, ciò vuol dire che certo la loro fede era vacillante e la loro formazione non saldissima.

Se decine di migliaia di sacerdoti lasciarono la tonaca, certo fu colpa del clima post-conciliare, ma forse anche il sintomo di vocazioni non adeguatamente coltivate in anni preconciliari.

…Oltrechè s’intende del Nemico che seminò la zizzania.


Non invoco mai la Restaurazione: se la Rivoluzione Francese tagliò la testa al Re di Francia, ciò potè accadere anche perché da molto tempo la monarchia non aveva più regnato, ma governato in maniera assolutistica, civettando con le idee illuministiche e le filosofie immanentiste e aveva consentito ai nobili di affogare nei propri oramai ingiustificati privilegi e nelle proprie dissolutezze. Furono le colpe della monarchia a far calare la ghigliottina sul collo di Luigi XVI.

Restaurare non è possibile, è stolto.

Dopo una rivoluzione non basta imprecare e rimpiangere il passato, tra il resto spesso ricordato non in maniera reale, ma idealizzata.

Quando un ordine si dissolve, occorre ricreare le condizioni perché esso si torni a determinare.

E per fare questo non si possono restaurare semplicemente le forme antiche, ammesso di esserne ancora capaci.

Esse tornerebbero a dissolversi in poco tempo.

Non bastò il Congresso di Vienna o la Santa Alleanza a restaurare l’Ancien régime.

Esso era morto molto prima della Rivoluzione, ucciso da coloro che ne furono per decenni indegni rappresentanti.

Le forme non sono frutto di un capriccio, ma l’esito di un principio ispiratore, di un processo di costruzione, di mani abili e di tempo per poter essere forgiate e ammirate.

Occorre tornare a far vivere anzitutto i fondamenti su cui quelle forme si sono venute modellando, sapendo che magari esse verranno riedificate in maniera parzialmente differente: ciò non significherà diversità di Principio, ma diversità di attuazione, come conseguenza anche della crisi che hanno dovuto fronteggiare: ognuno di noi dopo aver superato una lunga crisi tornerà ad essere se stesso, ma non sarà uguale a se stesso.

Il collasso del nostro mondo occidentale è precisamente nel fatto di avere smarrito il Principio su cui aveva costruito il proprio ordine: e ciò non è fenomeno recente, ma ha radici secolari.

La crisi della Chiesa di oggi ripropone temi che affondano nella sincope dell’ecumene medievale e nella mutilazione della Riforma.

Le eresie tornano sempre, quando non sono sistematicamente combattute.

Ammettiamolo: dopo Pio X la Chiesa aveva abbassato la guardia, credendo di aver chiuso i conti con il modernismo e di doversi dedicare ad altro, alla lotta contro il pericolo rivoluzionario e socialcomunista in particolare.

Non capì che senza continuare senza posa nella battaglia tutta interna contro il modernismo, anche le altre battaglie esterne contro le ideologie della modernità sarebbero state impossibili e che, anzi, combatterle in quel modo avrebbe significato consentirne una penetrazione al proprio interno.

La lotta al modernismo era stata lungo il XIX secolo il vaccino contro le ideologie della modernità: ma dopo Pio X la Chiesa non fece «il richiamo» e il pontificato di Pio XII arrivò troppo tardi.

 

Storicamente la Chiesa ha potuto rispondere alle diverse crisi che nel tempo l’hanno minacciata  grazie ai Santi.

Furono queste le mani con cui Dio riparò la Sua chiesa: Benedetto, Francesco, Domenico, Ignazio.
Gli ordini che essi fondarono furono le colonne portanti dapprima della Chiesa e quindi anche della cviviltà.

Ciò che è mancato dopo il Vaticano II è stato precisamente questo: sono mancati i Santi e con loro qualcuno che aiutasse a ritrovare quel Principio, che tornasse a proclamare integralmente la Fede.

In parte ci hanno provato i movimenti, per lo più fallendo e restando comunque fenomeni incapaci di innervare di nuovo tutto il corpo ecclesiale.

Perché?
Essi sono partiti dalla comunità, non dalla Chiesa. Dai laici, non dai sacerdoti.

Dalla pastorale, non dalla Liturgia.

E qui è il problema.

Non c’è Chiesa senza Eucaristia, né comunità senza sacerdoti.

Dunque il punto centrale è uno: occorre ripartire dall’Altare.

O ci si converte innanzi all’Altare, o non ci si converte.

L’adesione totale al Cristo è nel Suo Sacrificio.

E il sacerdozio è per il Sacrificio, così come il Sacrificio è del sacerdozio.

Ratzinger lo sa bene, lo ha sempre saputo: «Sono convinto – ha scritto - che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio cè e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, lunità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dovè che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico, che richiami in vita la vera eredità del Concilio Vaticano II».

Oltre a Ratzinger ora lo sa pure Benedetto XVI: e non è la stessa cosa per chi, almeno, crede nella «grazia di stato».

Ecco perché ritengo che l'atto più importante del Pontificato di Benedetto XVI e più in generale dei Pontificati degli ultimi quarant'anni sia stato il Motu proprio con cui egli ha liberalizzato la celebrazione della Santa Messa con il Vetus Ordo.

La Chiesa potrà rinascere solo dalla liturgia e dall’Eucaristia: questo lo ha detto perfino il Vaticano II, che del sacrificio eucaristico parla come di «fonte e apice di tutta la vita cristiana».

A proposito di Concilio, per rispondere a Franco Damiani: è vero che nel 1988 Ratzinger definiva «unoperazione necessaria difendere il Concilio Vaticano II nei confronti di monsignor Lefebvre, come valido e come vincolante per la Chiesa».
Ma il testo citato, cioè l’indirizzo del cardinale Ratzinger alla Conferenza Episcopale Cilena del 13 luglio 1988 deve essere riportato per intero: «Certamente cè una mentalità dalla visuale ristretta che tiene conto solo del Vaticano II e che ha provocato questa opposizione. Ci sono molte presentazioni di esso che danno limpressione che, dal Vaticano II in avanti, tutto sia stato cambiato e che ciò che lo ha preceduto non abbia valore o, nel migliore dei casi, abbia valore soltanto alla luce del Vaticano II.

Il Concilio Vaticano II non è stato trattato come una parte dellintera tradizione vivente della Chiesa, ma come una fine della Tradizione, un nuovo inizio da zero. La verità è che questo particolare Concilio non ha affatto definito alcun dogma e deliberatamente ha scelto di rimanere su un livello modesto, come concilio soltanto pastorale; ma molti la trattano come se si sia trasformato in una specie del superdogma che toglie limportanza di tutto il resto. Questa idea è resa più forte dalle cose che ora stanno accadendo. Quello che precedentemente è stato considerato il più santo - la forma in cui la liturgia è stata trasmessa - appare improvvisamente come la più proibita di tutte le cose, lunica cosa che può essere impunemente proibita».

Benedetto XVI, il Ratzinger di oggi, nella lettera che accompagna il Motu proprio non parla più ai vescovi accentuando la necessità di difendere il Concilio contro Lefebvre.

Oggi dice ai Vescovi di non ostacolare il rientro della Fraternità Sacerdotale fondata da Lefebvre: «Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente limpressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e lunità; si ha limpressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dellunità, sia reso possibile di restare in questunità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: ‘La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!’ (2 Corinti 6,11,13)».

Il Papa sta dicendo questo, anzi sta chiedendo questo non alla Fraternità Sacerdotale San Pio X,

ma a tutti i vescovi, che fin qui hanno osteggiato e ancora stanno osteggiando il ristabilimento della Messa tridentina nei suoi diritti.

Resto convinto che l’elezione a Papa del più «reazionario» tra i protagonisti del Vaticano II è il massimo che lo Spirito Santo ha potuto destare nella Chiesa e che, allo stato delle cose, cure più drastiche di quelle messe in atto da Ratzinger potrebbero forse uccidere il «malato».

In ogni caso, ammesso che ciò fosse mai possibile, qui non si tratta di fare un Congresso di Vienna della Fede: oggi si tratta di ri-convertire i battezzati.

 

Ma questo - a meno di interventi straordinari del cielo - sarà un percorso da fare un passo per volta, ricominciando da dove la demolizione è iniziata: dalla Liturgia.

Si tratta di mettersi di nuovo in ginocchio davanti al Signore e chiedere a Lui il dono della verità nei cuori, si tratta di pregare per la Chiesa, di chiedere che Lui la governi e sostenga il Suo vicario in questo tempo di prova: «Orémus pro Pontífice nostro Benedícto. Dóminus consérvet eum, et vivíficet eum, et beátum fáciat eum in terra, et non tradat eum in ánimam inimicórum eius».

I sedevacantisti ritengo sbaglino.

La Fraternità San Pio X ha fatto una cosa bellissima, prima del Motu proprio: senza cedere in nulla rispetto ai propri convincimenti, ha chiesto a tutti di recitare il Santo Rosario, per offrire un

«bouquet» spirituale al Cielo che desse al Papa la forza di compiere questo atto.

Sarò anche un illuso, ma credo che questo fatto sia stato decisivo.

Quanta forza ci sia voluta per il Papa nel promulgare il Motu proprio lo si è visto dalle resistenze che vengono prima di tutto dai vescovi; tali e tante che monsignor Albert Malcolm Ranjith Patabendige, Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si è visto costretto a rivolgere un perentorio invito a «tutti, soprattutto i Pastori, ad obbedire al Papa, che è il successore di Pietro. I vescovi, in particolare, hanno giurato fedeltà al Pontefice: siano coerenti e fedeli al loro impegno. […] Dietro queste azioni si nascondono da una parte pregiudizi di tipo ideologico e dallaltra l'orgoglio, uno dei peccati più gravi».

Anche il gravissimo problema dell’interreligiosità e dell’ecumenismo non potranno essere risolti in maniera puramente dottrinale e disciplinare o con un colpo di bacchetta magica.

Anche qui c’è di mezzo prima di tutto una dimensione soprannaturale che non ci può sfuggire, perché anche questa è una battaglia «sottile» ed anche qui le armi sono anzitutto quelle spirituali.

In ogni caso, per onor di verità, il pensiero di Ratzinger anche in materia di ecumenismo e interreligiosità va citato per intero.Per esempio solo il 31 gennaio scorso, egli ha ribadito che la «Chiesa di Cristo ha la sua sussistenza, permanenza e stabilità nella Chiesa cattolica e che pertanto lunità, lindivisibilità e lindistruttibilità della Chiesa di Cristo non vengono annullate dalle separazioni e divisioni dei cristiani».Indi ha precisato che nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture «essa non è dispensata dalla necessità dellevangelizzazione e della attività missionaria».Io credo che egli abbia ragione a coltivare il dialogo come premessa necessaria dell’annuncio e non posso che sottoscrivere il fatto che «a fronte del rischio di un persistente relativismo religioso e culturale, nel tempo del dialogo tra le religioni e le culture, la Chiesa non si dispensa dalla necessità dellevangelizzazione e dellattività missionaria verso i popoli, né cessa di chiedere agli uomini di accogliere la salvezza offerta a tutte le genti. Il riconoscimento di elementi di verità e bontà nelle religioni del mondo e della serietà dei loro sforzi religiosi, lo stesso colloquio e spirito di collaborazione con esse per la difesa e la promozione della dignità della persona e dei valori morali universali, non possono essere intesi come una limitazione del compito missionario della Chiesa, che la impegna ad annunciare incessantemente Cristo come la via, la verità e la vita».

Quanto lontano sia il sincretismo dall’idea di Ecumenismo che ha Ratzinger lo si desume dal fatto che egli ritiene addirittura che il dialogo ecumenico sia possibile solo in presenza di un’identità forte:
«Coltivare una visione teologica che ritenesse lunità e identità della Chiesa come sue doti nascoste in Cristo’, con la conseguenza che storicamente la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica, non potrebbe che generare un rallentamento e ultimamente la paralisi dellecumenismo stesso» (3).

Ribadire la Verità, che è Cristo, non significa dover presumere che essa sia immediatamente accolta.

E non è detto che sia questo il Papa chiamato a vedere il trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

Di certo questo Papa non piace al Mondo: mai tante critiche avevano travolto la Chiesa nei «trionfali» decenni di fine secolo.

E’ un buon segno, se il Mondo attacca la Chiesa.

Vuol dire che la Chiesa fa il suo mestiere.

In ogni caso,come ha evidenziato un lettore, se dobbiamo prestare fede a quello che dice monsignor Andrea Gemma, arcivescovo emerito di Isernia-Venafro, uno dei pochi prelati, se non il solo,

a praticare esorcismi, il Diavolo non sembra proprio aver gradito l’elezione di Benedetto XVI: «Esatto - dice il Prelato che dice di averlo saputo per bocca di una donna posseduta e sottoposta ad esorcismo - Me lo confermò lui stesso, il signor malefico. E questa sua espressione non mi meravigliò. Non bisogna dimenticare, infatti, che il cardinale Ratzinger ha sempre combattuto il Maligno e messo in guardia lumanità dai pericoli del Demonio» (4).

Anche sul Concilio Vaticano II Ratzinger non ha cambiato le proprie idee rispetto al 1988.

Diceva: «La verità è che questo particolare concilio non ha affatto definito alcun dogma e deliberatamente ha scelto rimanere su un livello modesto, come concilio soltanto pastorale; ma molti la trattano come se si sia trasformato in una specie di superdogma che toglie limportanza di tutto il resto. […] Tutto questo conduce tantissima gente chiedersi se la Chiesa di oggi è realmente la stessa di ieri, o se la hanno cambiata con qualcosaltro senza dirlo alla gente. La sola via nella quale il Vaticano II può essere reso plausibile è di presentarlo così come è: una parte dellininterrotta, dellunica tradizione della Chiesa e della sua fede».

Quello che Ratzinger diceva vent’anni fa, Benedetto XVI le ha ripetute nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 e ora prova ad attuarle.

Ripristinare il Vetus Ordo non è un operazione cerchiobottista, con la Messa non si scherza: il Papa lo sa e i suoi avversari pure.

Se lo ha fatto è perché sa che è l’unica medicina.

In ogni caso vale la pena di rammentare che il movimento liturgico non nasce con il Concilio, è antecedente.

 

Nessuno - ritengo - può realisticamente pensare che un Papa sconfessi il Vaticano II, se non altro per lo sconcerto che si determinerebbe tra i credenti.

C’è una sola via, che è quella di un superamento fisiologico del Vaticano II per provare a ricondurlo appunto all’interno «dellininterrotta, dellunica tradizione della Chiesa e della sua fede».

Lo stesso vale per la Messa: una sconfessione del Novus Ordo è realisticamente impraticabile, probabilmente per alcuni anni ancora.

La Chiesa, dopo quella sciagurata riforma liturgica, dovrà completare i «quarantanni nel deserto», finché la generazione che l’ha concepita non sia scomparsa.

Si tratta di operare una riforma della Riforma Bugnini, che si inserisca in quel solco che era stato già tracciato sotto il pontificato di Pio XII e che modelli la nuova forma del rito riformato a quella del Vetus Ordo, valido comunque in perpetuo.

A questo si dice che Papa Benedetto stia lavorando.

Non chiedetemi come fare, non so come fare e non spetta a me.

Io so cosa fare: pregare, perché il Signore agisca e indirizzi lui quest’opera di conversione.

E questa non riguarda solo la gerarchia della Chiesa, riguarda anche i nostri cuori.

Pregate tutte le sere per la Chiesa, per il vostro vescovo (specie se è uno di quelli più restii ad accogliere ciò che il Papa chiede), pregate per il vostro parroco, pregate per i vostri fratelli,

pregate per i vostri nemici.

Offrite al Signore il vostro dolore per quanto la Chiesa è costretta a sopportare, offritelo in riparazione delle colpe e dei peccati commessi, affinché coloro che errano siano richiamati penitenti al Suo Cuore divino.

Testimoniamo con la nostra vita il dono di Grazia che ci è stato concesso, in modo che risplenda sul nostro volto, troppo spesso rabbuiato, la gioia della salvezza che Gesù ci ha guadagnato con il Suo sangue prezioso.

E tutte le sere pregate perché egli voglia concedere sante vocazioni sacerdotali e una fedele corrispondenza e fedeltà ai chiamati.

E ovunque ci sia, nei limiti delle vostre possibilità frequentate i centri di Messa dove si celebra con il Vetus Ordo: è l’unico modo per ringraziare il Signore di questo dono, per alimentare la vostra anima e sostenere il Papa nella sua scelta.

E inoltre mobilitiamoci e chiediamo in ogni Diocesi che essa venga celebrata.

 

Per rispondere ancora a Franco Damiani riguardo all’ecumenismo, già Ratzinger diceva: «Lidea che tutte le religioni sono - a prenderle sul serio - soltanto i simboli di ciò che essenzialmente è incomprensibile, sta guadagnando terreno velocemente in teologia e già ha penetrato la pratica liturgica. Quando le cose giungono a questo punto, la fede è lasciata alle spalle, perché la fede realmente consiste nellaffidarsi alla verità per quanto è conosciuta. Dunque, in questa materia, ci sono tutte le ragioni per ritornar sulla retta via. Se ancora una volta riusciremo a evidenziare e vivere la pienezza della religione cattolica circa a questi punti, possiamo sperare che lo scisma di Lefebvre non sia di lunga durata».

La visita del Papa alla Moschea Blu - l’ho già ricordato - non può essere disgiunta da ciò che egli disse nell’omelia pronunciata durante la celebrazione eucaristica nella cattedrale dello Spirito Santo ad Istanbul il 1° dicembre 2006: «Le vostre comunità conoscono lumile cammino di accompagnamento di ogni giorno con quelli che non condividono la nostra fede ma che dichiarano di avere la fede di Abramo e che adorano con noi il Dio uno e misericordioso(Lumen gentium, numero16). Sapete bene che la Chiesa non vuole imporre nulla a nessuno, e che chiede semplicemente di poter vivere liberamente per rivelare Colui che essa non può nascondere, Cristo Gesù che ci ha amati fino alla fine sulla Croce e che ci ha dato il suo Spirito, presenza viva di Dio in mezzo a noi e nel più profondo di noi stessi».

Il senso di quel viaggio lo aveva anticipato il 3 novembre 2006 nel discorso tenuto alla Pontificia Università Gregoriana, poco prima di partire per la Turchia: «Oggi non si può non tener conto del confronto con la cultura secolare, che in molte parti del mondo tende sempre più non solo a negare ogni segno della presenza di Dio nella vita della società e del singolo, ma con vari mezzi, che disorientano e offuscano la retta coscienza delluomo, cerca di corrodere la sua capacità di mettersi in ascolto di Dio. Non si può prescindere, poi, dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisca il contenuto essenziale della fede cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini (confronta At 4,12) e nella Chiesa sacramento necessario di salvezza per tutta l'umanità».

Perfino riguardo all’ebraismo dobbiamo ricordare le parole dell’Udienza Generale, pronunciate in piazza San Pietro, il 15 marzo 2006: «Tramontato da tempo il sistema delle dodici tribù, la speranza dIsraele ne attendeva la ricostituzione come segno dellavvento del tempo escatologico (si pensi alla conclusione del libro di Ezechiele: 37, 15-19; 39, 23-29; 40-48). Scegliendo i Dodici, introducendoli ad una comunione di vita con sé e rendendoli partecipi della sua missione di annuncio del Regno in parole ed opere (confronta Marco 6, 7-13; Matteo 10, 5-8; Luca 9, 1-6; Luca 6, 13), Gesù vuol dire che è arrivato il tempo definitivo in cui si costituisce di nuovo il popolo di Dio, il popolo delle dodici tribù, che diventa adesso un popolo universale, la sua Chiesa. Con la loro stessa esistenza i Dodici - chiamati da provenienze diverse - diventano un appello a tutto Israele perché si converta e si lasci raccogliere nellalleanza nuova, pieno e perfetto compimento di quella antica».

 

Franco Damiani l’ho appena conosciuto, ma a sufficienza per percepire nel suo sguardo la sofferenza di chi ha pagato di persona.

La sua testimonianza è limpida perché disinteressata, animata solo dalla passione - proprio nel senso di patire - per il Signore.

Nel suo patire non vorrei scordasse di offrirla di cuore al Signore per il ristabilimento pieno del dogma di Fede così spesso minacciato, ricordando che la Speranza non è vana, perché il Signore non abbandonerà la Sua Chiesa.

Non si limiterà a restaurare il dogma della Fede, lo renderà finalmente di nuovo amato dal Suo popolo.

Per fare ciò ha chiesto, chiede e chiederà il nostro sacrificio, da unire al Suo, da versare nel calice eucaristico, perché in unione col Suo diventi offerta.

Non mi illudo, non confido negli uomini: come dice la scrittura: «Maledetto luomo che confida nelluomo».

Io confido nel Figlio dell’Uomo, Lui l’ha promesso.

La nostra speranza non andrà delusa: non prevalebunt.

Una cosa infine mi rallegra nell’intervento di Franco Damiani: dandomi affettuosamente del cattolico ingenuo esclude categoricamente che io sia un «cattolico adulto».

Di questo gli sono sinceramente grato.

Domenico Savino


Note

1) Sulla vicenda di Franco Damiani confronta Libero - 16 dicembre 2004 - Professore cacciato perché crede alla storicità dei Vangeli - PALAZZOLO SUL BRENTA (PD) - Dopo la parola

«peccato», c’è un'altra espressione che, se pronunciata pubblicamente, può costare caro: «storicità dei Vangeli». Ne sa qualcosa Franco Damiani, bandito dal Liceo scientifico di Palazzolo sul Brenta (Padova), dove insegnava latino, storia e italiano. Cosa che ora gli è vietata da un provvedimento del direttore scolastico del Veneto, Carmela Palumbo. Damiani non è sconosciuto ai lettori di Libero, grazie ad alcuni articoli che a lui dedicò Renato Farina: nell’ottobre 2000 il professore fu oggetto di una pesante contestazione guidata dai centri sociali di Venezia, che ne chiesero l’allontanamento dall'insegnamento nella sua ex scuola, l’Istituto turistico di Mestre. Era colpevole di aver proposto in classe, accanto alle tesi «ufficiali», alcune letture cosiddette revisioniste su certi episodi del ‘900, dall’olocausto (che comunque Damiani non ha mai negato) alla Resistenza. Lo stesso docente finì oggetto di un’interrogazione parlamentare nella quale sei diessini, tra cui Furio Colombo, Pietro Folena e Beppe Giulietti, lo definirono «apertamente filonazista».

Meno di un anno dopo lo stesso Colombo, diventato direttore dell’Unità, lo attaccò duramente nel corso di una trasmissione su Radio 3 e sulla «fascia rossa» del suo quotidiano. Una commissione scagionò completamente Damiani, peraltro sempre difeso a spada tratta dai suoi stessi alunni: oggi la storia si ripete, con conseguenze decisamente più gravi. Prima ancora del professore, nel 2004 a Palazzolo arriva la sua fama, tanto che il presidente del comitato genitori della scuola già in giugno paventa al provveditore agli studi «gravi conseguenze» in vista del suo arrivo, pur non avendolo (tuttora) mai conosciuto. In una delle prime lezioni nella II C, Damiani ha l’ardire di osservare che, per la Chiesa, la storicità dei vangeli non è in discussione. Si badi: non ha imposto agli studenti il riconoscimento dai Vangeli come documento storico, ha fatto presente che la dottrina cattolica non affida il giudizio sulla storicità all’interpretazione del fedele, ma la propone come suo contenuto fondante. Per spiegarsi, Damiani dice che «un ebreo può contestarne la storicità, un cattolico no».

In classe si accende una salutare discussione: è dopo che scoppia il finimondo. Il giorno successivo i genitori si riuniscono d’urgenza, accusano Damiani di razzismo e proselitismo e minacciano: entro l’ 8 ottobre o se ne va lui, o gli alunni. Il 1° ottobre Damiani è assente per un convegno extrascolastico: una nuova assemblea di classe provoca una contestazione d’addebito da parte del dirigente scolastico, dottor Cerchiaro. Al suo ritorno, Damiani tenta di spiegare le sue posizioni in classe, ma gli studenti a partire dalla data prevista abbandonano l’aula all’arrivo del docente. La scena surreale si ripete per 50 giorni, accompagnata da ripetute lettere anonime e nuove accuse.

Nel frattempo si apre un’ispezione, ma, prima che questa abbia un esito ufficiale, arriva la sospensione firmata dalla Palumbo, disposta «in relazione alla gravissima situazione di disagio creata dal professore». Da allora (27 novembre) Damiani è a casa senza lavoro, con un assegno pari alla metà del suo regolare stipendio. «I ragazzi sono oggetto di una polemica strumentale e politica di cui sono le prime vittime, visto che hanno perso quasi due mesi di lezione», dice Damiani. «Si è instaurato un clima per cui si preferisce, per quieto vivere, sacrificare la libertà di insegnamento, ossia lorigine stessa della scuola».

di MARTINO CERVO

Una più ampia ricostruzione della vicenda è disponibile al seguente indirizzo: http://antikomunista.splinder.com/archive/2004-12

2) J. Ratzinger, «La mia vita - Ricordi (1927-1977)», Edizioni San Paolo, 1997, L’inizio del Concilio e il trasferimento a Münster (pagine 86-88).

3) http://www.zenit.org/article-13357?l=italian

4) http://www.papanews.it/dettaglio_interviste.asp?IdNews=4952

 
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