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Evoluzione del dogma
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La fede della Chiesa è sempre la stessa?
Donde proviene?
E’ stata una elaborazione di poveri uomini spauriti, che, infervorati dall’esperienza (per loro) mistica di Pentecoste hanno creduto di autoconvincersi della verità delle loro speranze, frodando il mondo intero con l’annunzio della buona novella, oppiaceo consolatore di anime illuse?
O si tratta proprio della Vita divina che si effonde in comunicazione infallibile al cuore dell’uomo?
La Fede vera non può che provenire da Dio stesso.
Se Dio esiste come Dio, deve essere sicuramente vero e verace; non contraddittorio, talmente autentico da essere la Verità medesima.
sadasdasdwwwddw.jpgTale verità non si può eclissare all’ombra del pensiero umano, ma deve splendere di luce propria attraverso la ripercussione povera di strumenti indegni.
Se Dio è tale, deve esistere, e se abbiamo cognizione di questo, deve essersi rivelato.
Non foss’altro che per lo splendore della sua Gloria.
Chi è in grado di scrutare i segreti del cuore di Dio?
Interroga e risponde la Sacra Scrittura: solo il suo Spirito può sondare le profondità eccelse della sua luce.
L’uomo come può accedere a tale luce, se essa è mistero per lui; se è notte oscura, che si cela a distanza infinita, insolcabile baratro per il valico abissale che separa la creatura dal Creatore?
Deve essere ineluttabilmente Dio a rivelarsi e Lui a consentire all’uomo la sua divinizzazione progressiva.
La conoscenza del Mistero proviene sempre dalla fonte della luce, che, appunto, irradia se stessa rischiarando l’orizzonte ed ogni dove.
L’uomo riceve da Dio l’essere, la vita, l’esistenza e da Lui anche la trasformazione partecipativa all’Essere Divino, attraverso una progressiva invasione dello Spirito Santo, che, in Cristo Gesù, transustanzia e trasmuta ogni particella non solo della sua anima, ma anche del suo corpo.
Questa rivelazione e divinizzazione sono opera di Dio e consenso dell’uomo; avvengono in Gesù e solo in Lui, che riconcilia in Sé ogni cosa, del Cielo e della terra, e assume l’umanità per divinizzarla del tutto.

Questo processo di «theosis» avviene attraverso gli strumenti della fede e della conoscenza.
L’annuncio dell’amore del Padre che dona il Figlio fino alla morte di croce, risorto e vincitore della morte e di ogni male e che effonde lo Spirito Divino senza misura.
Questa evoluzione salvifica che interessa la restaurazione dell’uomo decaduto, integrato perfettamente nell’unità e pace del suo essere parte dall’annuncio missionario del santo Vangelo: la fede insegnata diviene la porta di ingresso nella vita del Cielo.
La verità che si rivela, deve poter essere conosciuta; la conoscibilità è (ordinariamente) funzionale alla salvezza, che origina dall’assenso della persona al dato rivelato.
La fede conosciuta annunziata (luce profetica) diviene fonte di vita (luce santificante), allorché si trasformi in profonda esperienza spirituale.
Il dato da credere assume veste esaustiva nel periodo apostolico per opera del Maestro, che spiega il senso delle Scritture.
Gli apostoli vivono la rivelazione divina definitiva, per impulso dello Spirito Santo, fino alla sua chiusura (la morte di San Giovanni, ultimo degli apostoli a passare alla casa del Padre).
Da quel momento in poi inizia il cosiddetto «deposito della fede».
La verità viene appunto consegnata, depositata nel grembo della Santa Chiesa, che ha l’obbligo, il compito ed il diritto di difenderla e custodirla, annunciandola fedelmente nella sua integrità.
L’unico modo di assicurare il persistere del Vero tra gli uomini, senza la presenza manifesta del Salvatore (vivo tuttavia invisibilmente), è quella di rendere «pubblico» tale detto deposito e renderne «pubblica» l’interpretazione autentica, mediante la sua divina e perenne assistenza.
La fede deve poter essere riconosciuta oggettivamente da parte di chiunque.
Il percorso esoterico, qualunque esso sia, si situa fuori dell’idea di un Dio-Verità-Rivelazione, perché presuppone l’oscuramento del dato oggetto di assenso; ma ripetiamo, Dio non può che essere la Verità e se è tale, deve poter essere evidenza palesemente indubitabile, soprattutto se si pretenda una rivelazione (come ogni religione presume vi sia, ma solo la fede cattolica arriva alla radicale conclusione di esserlo unicamente!); questo comporta un’oggettiva possibilità di riscontro del dato rivelato, che prescinda da oscuri meandri del percorso iniziatico, tipico delle conventicole esoteriche.
La Chiesa, infatti, annuncia e manifesta di essere quel che è il Vero.

Questo già basterebbe a far dubitare su una pretesa tanto eccelsa, che inevitabilmente si trova al bivio dell’assolutamente vero o dell’irrimediabilmente falso; ma il fatto che Dio sia la Verità e che Lui si riveli, rende tale pretesa necessariamente soltanto e pienamente autentica.
E’ evidente.
Se è Dio a rivelarsi che posto può avere il dubbio interpretativo?
Soltanto in relazione all’uomo (accidentalmente), ma non a Dio (sostanzialmente); ma la Fede è tutta sostanziale.
Non esistono appendici irrilevanti; la Fede è unica ed unitaria, non frazionabile.
Allora che senso ha parlare di «evoluzione del dogma»?
Il dogma è proprio esercizio in difesa della fede, che la Chiesa pone in essere per difendere l’integrità del dato rivelato, contro gli attacchi dei nemici interni o esterni.
E’ estremo tentativo, riuscito, di non razionalizzare la narrazione evangelica.
La fede cristiana è l’unica genuinamente razionale, ma è anche oltremodo metarazionale: supera la ragione, ma non la nega né la schiaccia, negandola.
Ancora il dogma è luce divina che serve ad aprire l’accesso alla vita del Cielo, annunciandone infallibilmente un asserto verissimo.
Quel che il dogma spiega, è proprio quel che realmente è.
Tuttavia l’uomo ha una comprensione - per quanto reale - limitata del Mistero, che lo trascenderà sempre e comunque.
Dire che Dio è Santissima Trinità è verissimo; ma comprenderne il senso nella sua pienezza è solo di Dio e di chi (in una certa misura, sempre limitata) partecipi di Lui (qui in vita, sotto la luce della fede) ed in Cielo, al lume della gloria.
«Impossibile ingannarsi sul pensiero di San Tommaso; il modo stesso con cui pone il problema dell’oggetto della fede indica il senso della sua risposta. Essa è duplice: l’oggetto della fede fuori di noi è la semplicità della Verità divina; l’oggetto della fede in noi è la complessità di un enunciato. L’oggetto della fede è al tempo stesso l’enunciato in quanto sfocia nella realtà, e realtà in quanto essa ci viene manifestata nell’enunciato; è ad un tempo l’enunciato a cui la fede acconsente, e la realtà su cui essa si apre acconsentendo, verso cui essa tende, in cui essa si acquieta».
‘Alcuni hanno pensato che la fede non riguardi l’enunciato, ma la realtà, non est de enunciabili sed de re ... E’ un errore, perché la fede suppone un assenso e quindi un giudizio sul vero o sul falso, non potest esse nisi de composizione, in qua verum et falsum invenitur’ » (De Veritate, qu. 14, a. 12). (1)

Quel che evolve quindi non è l’articolo di fede, ma la formale e pubblica rappresentazione della medesima Fede, senza mutamenti di sorta.
«Quanto al problema della dottrina da credere, seguendo san Tommaso, non vi è dunque progresso quanto alla ‘sostanza’, ma solo quanto alla ‘spiegazione’.
Ma tale spiegazione, questo passaggio dall’implicito all’esplicito, differisce a seconda che esso esige nuove rivelazioni, o se invece avviene per semplice chiarificazione.
‘Effettivamente, vi sono due gradi molto diversi di implicità. L’una è tanto profonda che, pur essendo in se stessa veramente oggettiva, tuttavia è come se non lo fosse affatto per la ragione umana, visto che la ragione ed i mezzi umani sono impotenti a spiegarla o a scioglierla; si richiede la rivelazione divina. E’ proprio così che il dogma della Trinità è contenuto nel dogma dell’esistenza di un Dio soprannaturale; oppure il dogma dell’Incarnazione è contenuto nel dogma di Dio rimuneratore. Queste verità che, pur essendo veramente implicite per se stesse, non lo sono per noi, ricevono il nome di dogmi fondamentali o di articoli di fede, perché non possono essere conosciuti che per mezzo di nuove rivelazioni. Ed è questa implicità che Dio ha spiegato sempre maggiormente durante 1’Antico Testamento; per cui anche se non vi è stato progresso nell’Antico Testamento quanto alla sostanza ma unicamente quanto alla spiegazione, vi fu tuttavia un progresso per via di nuovi articoli fondamentali e, conseguentemente, un progresso per via di nuove rivelazioni. Questa spiegazione ebbe fine con Gesù Cristo e gli apostoli: haec explicatio completa est per Christum’.
‘Vi è un’altra implicità che, senza contentarsi di una spiegazione di parole, non è però cosi profonda da esigere una rivelazione: la penetrazione umana congiunta alla assistenza divina è sufficiente per esplicitarla. E’ il caso del dogma circa i due intelletti e le due volontà in Gesù Cristo come conseguenza del dogma delle sue due nature perfette; oppure del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria come conseguenza del dogma della sua divina maternità. La stessa cosa avviene per tutte le verità implicite del Nuovo Testamento dopo gli apostoli’ (F. Marin-Sola, O. P., ‘L’évolution homogène du dogme catbolique’, Friburgo, 1924, t. II, pagine 40-41).
Ecco il progresso non più in ragione di nuove rivelazioni, ma per semplice chiarimento della rivelazione.» (2)

La definizione dogmatica, quindi, è sempre funzionale alla spiegazione della verità, secondo quelli che sono i ritmi ed i movimenti e la mentalità interni al tempo in cui la Chiesa si trovi ad operare.
«Bisogna parlare il linguaggio del proprio tempo? Sì, se ciò serve per risvegliare il proprio tempo al messaggio dell’eternità; no, se ciò serve per dissolvere questo messaggio nel flusso del tempo o dell’evoluzione, e cloroformizzare nell’uomo il senso dell’assoluto.
Si, se è al fine di sforzarsi attraverso il linguaggio del proprio tempo - attraverso ogni linguaggio di ogni tempo - di raggiungere in ogni uomo le zone di profondità dove gli enunciati del messaggio rivelato possono fare capire l’assoluto della loro verità, della loro esigenza, della loro promessa di liberazione.
No, se è al fine di inserire le verità divine nel contesto delle ideologie dove vive e muore lo spirito di un’epoca; o per fare del cristianesimo - dimenticando la sua trascendenza - il coronamento normale di un processo evolutivo dell’universo. ‘La filosofia è identica allo spirito dell’epoca in cui compare; non è al di sopra, essa è solo la coscienza della sostanza del suo tempo, oppure il sapere pensante di ciò che vi ha nel tempo... Un individuo non può più uscire dalla sostanza del suo tempo come non può uscire dalla propria pelle. Così dunque, dal punto di vista di sostanza, la filosofia non può superare il suo tempo’ (Hegel, ‘Storia della Filosofia’. Ecco in tutta la sua forza la definizione dello storicismo)». (3)
Impossibile presso l’uomo, non presso Dio; anzi il cattolico è chiamato proprio a tale salvifica «traslimitante» universalità.

Stefano Maria Chiari


1) Da «Il dogma, cammino della fede», («Le dogme, chemin de la Foi) del cardinale Charles Journet, A. Fayard, Parigi, 1963.
2) Opera citata.
3) Opera citata.

 

 

 
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