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E’ arrivato Padre Pio
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Oggi non ho voglia di registrare i segni spaventosi della crisi – la mascalzonata dirigenziale della Société Genérale che si allarga come il suo buco nero mostrando come l’Europa non sarà risparmiata, la massa monetaria (M-3) che negli Stati Uniti cresce del 34% l’anno (annuncio di pari inflazione), le banche spagnole che accollano i loro prestiti dubbi alla BCE che li accetta a palate, non essendoci altro da fare.

Nonostante tutto, complice un annuncio di primavera, me ne sono andato a passeggio fra le antiche mura e i pini, per la prima volta ottimista.
Ottimista tu?
Eppure, ho la sensazione che i cielo si sia mobilitato e si stia facendo carico dell’umanità.
Il perché è presto detto: qui dove passo l’inverno, a Bagnaia, c’è stata la visita di padre Pio.
Primo segno, mercoledì, la sua gigantografia che pendeva davanti al portone della chiesa principale. E sapete tutti che ovunque compaia la faccia di padre Pio, subito si spande un’aria di allegria e si allarga il cuore: ognuno sente che il soccorso è arrivato, che lui è qui.
Non è un sentimento, è un fatto oggettivo, tant’è vero che persino Moggi tiene nel portafoglio un’immaginetta di padre Pio, e sono sicuro che questo fanno quasi tutti gli italiani.
Si potesse guardare nei portafogli o nelle borsette, si sarebbe meravigliati di quanta gente insospettabile di devozione e anche solo di onestà - giornalisti, politici ed altri pendagli da forca, veline facilissime malversatori e farabutti come siamo - tiene l’immaginetta sul corpo.
Come ultima tavola di salvezza, magari.
Ogni tanto, alla chetichella, uno la guarda e sente la faccia che gli dice: coraggio, c’è speranza persino per te, sono qua io.

Cartelli, qui a Bagnaia, spiegavano la gigantografia: sono in paese le reliquie di padre Pio, un guanto, un pannolino macchiato del suo sangue, venite a salutarlo.
Ragazzi: di norma, alle cinque del pomeriggio di un giorno feriale, in chiesa ci sono otto vecchiette che dicono il Rosario.
Stavolta, è stata una folla, donne d’ogni età ed anche uomini; una folla che è cresciuta nei giorni seguenti finchè è stato qui.
Una folla che ha detto il Rosario in coro stentoreo, che ha cantato inni che risalgono alla Madonna Pellegrina e che credevo tutti avessimo dimenticato; che ha ascoltato un prete del Norditalia e di statura gigantesca, quello che gira con le reliquie, raccontare le storiette di padre Pio che sono come i quadretti sotto le pale d’altare medievali.
Padre Pio che vede scagliarglisi contro il colossale nero Satana e Cristo gli dà il Rosario, «la tua arma».
Padre Pio perseguitato dai «buoni» che chiede a Cristo perché, e Cristo gli appare crocifisso e grondante di sangue, carne maciullata e agonizzante, e lo fissa in silenzio per sola risposta.
Padre Pio che si offre per l’umanità immeritevole, e riceve le trafitture delle stigmate.
Padre Pio che sta sulla porta del Paradiso e non ci è ancora entrato, fino a quando tutti i suoi non saranno passati.
Insomma, puro medioevo cristiano.

Quando c’è lui, nessuna crisi della fede, nessuna Chiesa ridotta al minimo, la secolarizzazione edonista di colpo evapora: ci sono, siamo, solo folle stanche, spaventate dal futuro e dalla crisi, da malattie e discordie e povertà, che chiedono una grazia, una soluzione per i loro insolubili problemi.
Qui, la folla medievale, ancorchè in giacconi di nylon e scarpe Reebock, si è messa in fila per l’Eucarestia, e poi per farsi posare sul capo il reliquiario con un pannolino di Padre Pio.
Le facce esprimevano il teso grido interiore: aiutami! Aiuta anche me!
No, non c’è crisi di fede a questo livello, se vogliamo molto basso, quando si diventa piccoli, umili e bisognosi.
Quando appare la faccia di padre Pio, non c’è incredulità, ma solo speranza, e il senso che adesso ci penserà lui, che lui guarirà, che risolverà i drammi più insolubili, perché lo ha inviato Dio, il Dio non distante, ma vicino e curvo su di noi, indaffarato ad asciugare piaghe e lacrime, a confessare e sgfridare come faceva lui a San Giovanni Rotondo.

Due giorni dopo, sulle mura, altri manifestini, piccoli e modesti.
Non la faccia di padre Pio questa volta, ma l’immaginetta del Cristo con i fasci di luce rosso-bianca che gli escono dal petto: il Cristo della Misericordia di Faustina Kovalska.
Con l’invito a partecipare al culto della Misericordia, un prete vi insegnerà a recitare la coroncina.
Stavolta meno folla e più donne, d’accordo.
Più anziani.
Ma il prete venuto da fuori, vecchissimo, malfermo e con un filo di voce, forse malato, che ha implorato: recitate la coroncina, mai come oggi il mondo ha bisogno di Misericordia.
Recitatela per il mondo intero, amate i non-amabili, perdonate gli imperdonabili, di Misericordia c’è bisogno; offrite quello che avete, la vecchiaia, la solitudine, l’abbandono.
Recitatela come ultima tavola di salvezza per voi, prima che arrivi il tempo della Giustizia: ogni peccatore incallito che la reciterà anche solo una volta, otterrà la protezione, e la Misericordia lo avvolgerà nell’ora della morte.
Ma questa non è una preghiera personale.
Non la pregate per voi, ma per il mondo intero: prima che sia troppo tardi, Gesù ci ha dato questo salvagente.
Per i tempi terribili, prima della sua venuta.
Medio evo.

Forse sapete che l’immagine di Cristo Misericordia ha lo stesso carattere della foto di padre Pio: al primo sguardo si sente che è «viva».
Che sono entrambi ancora sulla porta: e che la porta non è chiusa ancora, nemmeno per gli incalliti, nemmeno per me.
Dite pure che sono superstizioso, che il mio cristianesimo non è adulto.
Ma questo succedersi di due visite (voi direte: fatterelli da nulla), a Bagnaia dove sto, mi ha dato la convinzione che il cielo - vista la situazione - ha deciso di muoversi.
Di farsi carico del disastro in cui l’umanità s’è cacciata.
Non ho mai negato di aver bisogno di miracoli, né che la mia teologia cerca di copiare quella delle vecchiette che recitano il Rosario nei giorni feriali per i figli disoccupati e per l’indulgenza plenaria ai loro morti, non quella del cardinal Martini.
Fatto sta che, la prima volta dopo non so quanti anni, sono ottimista sui nostri destini.
Sulla mia morte e sulla solitudine che mi accompagnerà: pensaci Tu.
Il fatto è oggettivo.

Tant’è vero che due cagnetti di razza, che vedo ogni mattina portati al guinzaglio dal padrone, solitamente molto antipatici e sostenuti e che fanno finta di non sentirmi quando gli fischio, stamattina, spontaneamente, mi hanno guardato, e  scodinzolando sono saltati a leccarmi le mani. Tutti allegri, come dicessero: «Hai visto? Ce la caveremo!, lassù si sono fatti carico!».
E’ la creazione, credo, che sospira in attesa della sua liberazione.
«Per il mondo intero», come dice la coroncina.
 

 

 
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