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Petrolio all’India, per una strana via
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L’India riceverà il greggio estratto in Asia Centrale, ossia dalle repubbliche ex-sovietiche attorno al Caspio.
A guardare una carta, il percorso teoricamente più breve sarebbe un oldeotto Nord-Sud-Est, attraverso l’Afghanistan, o anche attraverso l’Iran.
Invece, Delhi otterrà il petrolio del Caspio dalla Turchia, attraverso un lungo e tortuoso percorso.

L’oleodotto usato sarà quello (fortemente voluto da Washington, per tagliare la Russia dai giacimenti del Caspio) che parte da Baku, attraversa la Georgia, e sbocca al porto turco di Ceyhan  nel Mediterraneo orientale.
Alquanto lontano dal subcontinente indiano.
Ma niente paura: da Ceyhan, le petroliere porteranno il petrolio dall’altro lato dell’ex mare nostrum, fino al porto israeliano di Ashkelon.
Qui, l’oro nero sarà versato nell’oleodotto che va da Ashkelon ad Eilat sul Mar Rosso, dopo un percorso di 254 chilometri.

Qui, altro trasbordo: petroliere in attesa caricheranno il greggio asiatico e faranno rotta verso
il golfo di Aqaba, il golfo di Aden, il Mare Arabico e - finalmente – nell’oceano Indiano.
Percorso macchinoso e lungo migliaia di chilometri più del necessario?
Forse.
Ma quando il ministro degli Esteri turco Ali Babacan, in visita a Delhi, ha avanzato questa proposta, l’India ha accettato con entusiasmo (1).

Lo Stato indiano dipende fortemente dall’estero per l’energia: importa il 70% del suo fabbisogno, e verso il 2020 dipenderà al 91%.
Oggi, il 45% delle sue forniture gli viene dai petroliferi del Golfo Arabico, Bahrain, Kuweit, Oman, Qatar, Arabia Saudita.
Se si tiene conto di altre forniture provenienti da altri Paesi del Medio Oriente, si arriva al 67% delle forniture.
Una zona di alta volatilità politica, destabilizzata dagli USA e dalla «guerra al terrorismo».

In questo contesto, l’offerta turca è apparsa come provvidenziale, perché scavalca le zone minacciate e destabilizzate.
E’ un vantaggio per la Turchia, il cui nuovissimo porto di Ceyhan, finito nel 2006 proprio come sbocco finale del greggio del Caspio dopo 1.768 chilometri dell’oleodotto che porta un milione di barili al giorno, langue alquanto (l’Europa continua a servirsi per lo più dalla Russia, attraverso le condutture del nord europeo).

E’ un vantaggio per l’India, tanto più che il greggio ad essa destinato, passando per quella via, salterà il passaggio nel canale di Suez, che non può accogliere superpetroliere e i cui noli sono carissimi.

E’ un vantaggio soprattutto per Israele.
Il suo oleodotto Ashkelon-Eilat, costruito nel 1968 per trasportare il petrolio iraniano (allora sotto lo Scià filo-americano), è da allora praticamente inutilizzato.
Una pura perdita.
Ma mentre veniva costruita la conduttura Baku-Tbilisi-Ceyhan, il porto di Eilat è stato risvegliato a nuova vita, adattato ad ospitare superpetroliere, in attesa di clienti.
Ora il grosso cliente è stato trovato.

Adesso diventa forse persino conveniente la stesura di un oleodotto sottomarino tra Turchia e Israele, da tempo progettato ma sospeso per mancanza di utilizzatori.
Israele guadagnerà notevoli royalty di passaggio, e farà concorrenza al Canale di Suez, il che non guasta.
L’India, assetata di petrolio e ansiosa per la situazione in Medio Oriente, ha cercato in ogni modo
di diversificare i suoi fornitori; ma per una ragione o per l’altra, il tentativo non è riuscito.
Verso est, ha cercato di fornirsi dal Myanmar e dal Vietnam.
Ma il progetto di un gasdotto dal Myanmar è stato bloccato dalle pretese del Bangladesh - attraverso cui la conduttura avrebbe dovuto passare: il governo di Dakka pretendeva in cambio la rimozione dei dazi delle merci bengalesi verso l’India, e inoltre royalty giudicate eccessive.

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Un altro progetto è in piedi: l’oleodotto Iran-Pakistan-India, proposto da Mosca e dalla Shanghai Cooperation Organization.
Ma ovviamente l’India ha subito forti pressioni dagli USA che osteggia questo progetto perché favorirebbe Teheran.
Del resto, anche il Pakistan (su suggerimento di Washington) ha liquidato il progetto – l’oleodotto passerebbe sul suo territorio, consentendo al Paese di guadagnare royalty - proprio chiedendo royalty esosissime.
Gli Stati Uniti per contro vedono bene un oleodotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan (TAP), ed hanno invitato Delhi ad unirsi al progetto (che costerà 4 miliardi di dollari).

Ma guarda caso: il Turkmenistan il Paese fornitore del gas, ha giustappunto deciso di aumentare le sue forniture a Gazprom, facendole salire a 50 milioni di metri cubi.
Siccome il Turkmenistan produce in tutto 60 milioni di metri cubi, per l’India ne resterebbe pochissimo.
E il TAP è diventato per nulla conveniente, sicchè sembra che il progetto sia stato cancellato.

Nella sua ricerca di altri fornitori, Delhi ha avuto una mano da Mosca, che le ha lasciato vincere una quota significativa dei giacimenti Sakhalin I; in Africa, i tentativi di diventare cliente della Nigeria sono falliti, certamente per interessamento di Pechino che in Africa è ben impiantata.
Non miglior fortuna hanno avuto altri tentativi.
In Kazakhstan l’India stava per comprare una compagnia canadese di estrazione  (PetroKAzakhstan), ma se l’è vista soffiare dalla Cina.

Ora la compagnia indiana OMEL (una joint venture del colosso indiano Mittal) sta cercando di comprare il 50% del giacimento Satpayev sul Caspio, una alleanza con la compagnia di Stato kazaka in posizione dominante.
La Tata Petrodyne (della famiglia Tata, gli Agnelli dell’India) ha acquistato la metà della Caspian Investment Resources, che apparteneva alla russa Lukoil.

Altri acquisti o tentati acquisti sono in corso, a conferma dell’interesse indiano per gli idrocarburi del Caspio (la terza riserva mondiale).
Ma poi, dal Caspio, il gas e il greggio vanno portati a destinazione; e qui sorgono le difficoltà più impreviste, in parte geografiche (il Caspio non ha sbocchi ad altri mari), ma soprattutto geopolitiche.
Alla fine, all’India non resterà che ricevere il greggio del Caspio dalla Turchia e da Israele.




1) Sudha Ramachandran, «Turkey offers oil pipe lifeline to India», Asia Times, 27 febbraio 2008.



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