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Un «regalo» di Bush ad Obama
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E’ di qualche giorno fa la notizia che la polizia di Dallas, impegnata nel servizio d’ordine durante un comizio del candidato Barak Obama, ricevette l’ordine di smettere di controllare il pubblico, che stava entrando nella Reunion Arena.
Era il 21 febbraio.
La polizia controllava le persone all’entrata dell’arena sia facendo aprire borse e borsette, sia passando i metal-detector portatili sulle tasche, per scoprire l’eventuale presenza di armi.
Poi l’ordine di smettere.

T.W. Lawrence, il vice-capo della Polizia di Dallas, che è anche il capo locale dell’Homeland Security, ha poi detto ai giornalisti di essere preoccupato che tante persone fossero lasciate entrare senza nemmeno un sommario controllo (alla fine i partecipanti venuti ad applaudire Obama sono stati 17 mila); altri poliziotti, sotto anonimato, di essere stati allarmati da quell’ordine di allentare la «security».

I giornali locali ne hanno parlato, e la notizia è stata ripresa dalla UPI (1).
Hanno riportato che a dare l’ordine di smettere i controlli era stato il «Secret Service».
Il Secret Service è la guardia pretoriana del presidente degli Stati Uniti.
Un corpo composto di agenti selezionati dell’FBI che scorta e protegge il presidente e il vice, i loro familiari, i capi di Stato in visita.
Che cosa c’entra il Secret Service, dunque, con la sicurezza di Obama, un semplice candidato?

Si apprende adesso – dal New York Times  (2) – che Barak Obama è circondato da questi agenti del presidente fin dal 3 maggio scorso, «il solo candidato che ha ricevuto una protezione così anticipata».
Anche Hillary Clinton gode bensì della protezione speciale del Secret Service, ma in quanto ex Firts lady.

All’evidente scopo di neutralizzare l’allarmante notizia del 21 e le domande che fa sorgere (Chi ha dato l’ordine di «proteggere» Obama? La Casa Bianca?), il New York Times spiega che sono stati alcuni importanti amici del candidato a fargli avere tanto importante scorta: anzitutto il «senatore Richard Durbin, democratico dell’Illinois», e «Bennie Thompson, democratico del Missisippi, nonché presidente della commissione Homeland Security».
Dunque due compagni di partito di Obama, preccupati, come tanti altri suoi amici, della sua salute.

«Siccome i suoi raduni sono aumentati a dismisura, la sua sicurezza è stata accresciuta, fino a rivaleggiare con quella di un presidente in carica».
Secondo questa versione, sono stati quei potenti amici a premere sul Secret Service perché facesse la guardia al candidato, primo candidato nero.
Ed hanno ottenuto questo beneficio.
Il New York times dice che Obama non voleva.
Ha «accettato con riluttanza» dietro le insistenze dei senatori di cui sopra.

«La sua candidatura è così rara per questo Paese e così importante», ha detto il senatore Thompson, «che l’ultima cosa che si vorrebbe è che Obama non potesse svolgere il ruolo di potenziale nominato presidenziale. Mi sono mosso per eccesso di cautela».
Un vero amico.
Evidentemente, anche Bush e Cheney pensano che Obama abbia bisogno di una protezione specialissima.
E gli hanno dato la loro, la loro stessa guardia del corpo.
Un bell’esempio di generosità super-partes.

Di sfuggita, il New York Times lascia capire che vari sostenitori di Obama hanno sollevato con lui la questione, allarmati da tanta amicizia.
Obama avrebbe risposto loro: «Ho la miglior protezione del mondo, quindi smettete di preoccuparvi».
Lascia capire che Obama è imbarazzato di questo apparato presidenziale precoce.
E che ancor più allarmata è sua moglie: «Michelle Obama, tre anni fa, disse che temeva il giorno in cui suo marito avrebbe ricevuto la protezione del Secret Service, perché ciò avrebbe significato che contro di lui pendevano gravissime minacce».
Tre anni fa, figurarsi adesso.

Adesso che il Secret Service lo «protegge» ordinando alle polizie locali di non procedere ai normali controlli, obbligatori a Dallas, specie per il primo candidato negro della storia.
Ma perché preoccuparsi?
Obama ha «la miglior security del mondo».
Quella di Cheney e Bush.
Chi oserebbe lamentarsi?
Chi farebbe uno sgarbo ai professionisti mantenendo la propria scorta di candidato, di privato, composta da militanti, che sono dilettanti?

Se il Secret Service allenta la sorveglianza ai suoi comizi, vuol dire che ha le sue ragioni.
Sono gli agenti più esperti del mondo per la protezione alla persona, sanno il fatto loro.
Con l’auricolare, l’abito blu e la pistola che rigonfia la giacca, i Ray-Ban scuri e l’aria impenetrabile, sono i protagonisti di infiniti film di Hollywood, tesi a mettere in luce non solo la loro capacità, ma anzitutto la loro eroica fedeltà al presidente.
Al presidente in carica.

In questo senso, è forse interessante apprendere il nome in codice che il Secret Service ha assegnato al suo protetto speciale, senatore Obama, per le comunicazioni tra gli agenti: «Renegade», Rinnegato.
Vorrà dire qualcosa riguardo alla natura della «missione protettiva» assegnata loro dal presidente in carica?
Il futuro ce lo dirà.





1) «Report: security relaxed at Obama speech», UPI, 21 febbraio 2008.
2) Jeff Zeleny, «In painful past, hushed worry about Obama»,  New York Times, 25 febbraio 2008.



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