>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
L’Apocalisse precedente
Stampa
  Text size
Nella Russia in fiamme, dicono i giornali americani, la gente si lamenta e si irrita contro Putin e il governo, che ha fatto «troppo poco e troppo tardi», la cui protezione civile è inesistente, e non riesce a domare la catastrofe. Il New York Times ironizza sul tono «autoritario» che Putin ha voluto dare al suo Stato, e che si rivela nonostante ciò, inefficiente.

L’ironia pare fuori luogo, visto che gli Stati Uniti presunti non-autoritari sono sopraffatti da almeno tre crisi di loro fabbricazione: il collasso economico-finanziario che diventa depressione nonostante le immani iniezioni di denaro della Federal Reserve; l’impantanamento ormai decennale nelle guerre di sua scelta in Afghanistan ed Iraq; il colossale sbocco di greggio, inarrestabile per mesi, off-shore nel Golfo del Messico.

Città come Colorado Spring, per mancanza di fondi, hanno smesso di illuminare un terzo delle loro strade di notte, altre spaccano l’asfalto di strade periferiche e lo sostituiscono con ghiaia, perchè la manutenzione costa meno. «LAmerica avanza oggi sulla strada sterrata e senza luce verso il nulla», scrive Paul Krugman.

Interi Stati sono falliti. I disoccupati crescono a milioni. E se i russi sono irritati e covano la protesta, in America c’è un’aria di «panico e furore» contro la politica e la sua corrotta impotenza a risolvere i problemi. «Crisi succede a crisi, il disordine regna, il potere degli USA decade», scrive The National Review: «Quante crisi può gestire Obama? Il mondo del dopo guerra fredda è diventato un luogo caotico e ingestibile, caratterizzato dal proliferare di gruppi umani, nel mondo e nel fronte interno, sempre più rabbiosi».

Aggiungiamo gli immani smottamenti di fango in Cina con centinaia di morti e dispersi, e le orribili alluvioni del Pakistan del Kashmir e del Ladak; sette o dodici milioni di profughi aspettano soccorsi che non arriveranno, la catastrofe è troppo grande per uno Stato povero, sovraffollato, disorganizzato e in preda alla violenza. Alla BBC hanno dato la parola a un uomo di quelle zone, un pakistano colto che ha perso tutto, e in buon inglese ripete: «Salvateci. SOS, Save our Souls. Il mondo ci soccorra, SOS».

Ora, tutte queste crisi simultanee, climatiche, naturali o artificialissime come le guerre asimmetriche e le sporcizie di Wall Street, hanno una cosa in comune: sono troppo gigantesche perchè la civiltà presente le possa non si dice risolvere, ma controllare e alleviare. Di fronte alla crisi finanziaria, l’America e il mondo non sanno cosa fare, esattamente come i governanti pakistani per i loro milioni di senzatetto nati in una settimana, e i russi vittme del torrido clima: le masse umane si aspettano l’intervento pubblico, sono abituate così, «ne hanno diritto». E ancora non sanno che il soccorso non verrà, data l’ampiezza inaudita di queste catastrofi. Di qui il sentore apocalittico che coglie ad ascoltare i notiziari.

E’ già avvenuto in passato. A parte gli studiosi, pochi sanno che oltre tremila anni fa, la civiltà fu sradicata da fenomeni catastrofici che le autorità di allora non poterono controllare. Pochi sanno che nel 2000 avanti Cristo, età del Bronzo, prosperò attorno al Mediterraneo una civiltà raffinata, complessa, di Sati collegati, che conoscevano la scrittura e s’erano dotati di avanzati apparati amministrativi. Erano civiltà numerose e diverse, potenti e colte, dall’Egizia alla Assira all’impero hittita, dalle città Stato achee alla civiltà minoica a quella dei mitanni, ma che mantenevano tra loro fitti rapporti diplomatici e commerciali, e che si influenzavano vicendevolmente nell’arte e nella cultura. Persino nell’attuale Palestina sorgevano città con fortificazioni ciclopiche, le cui immani rovine – mille anni più tardi – devono aver suggerito il mito ebraico della «conquista di Canaan»: le potenti mura divelte di Meghiddo le ridusse così Giosuè, quelle di Gerico caddero al suono della tromba dei figli d’Israele, Lakish fu bruciata da noi giudei...

In realtà, sette secoli prima, quelle splendide culture – il mondo di Agamennone e di Elena di Troia, il mondo elegante dei prìncipi cretesi dipinto con vivace naturalismo – erano state ridotte a rovine fumanti da invasori, pirati e predoni la cui motivazione ed etnia resta enigmatica, nonostante la notevole documentazione lasciataci dai faraoni, dalle tavolette ugaritiche, dalle lettere diplomatiche spedite dai re hittiti.

Non si trattò dell’invasione di un’unica orda, guidata da un Attila o da un Gengis Khan dell’Età del Bronzo. Apparentemente, gli invasori furono multiformi, e la loro avanzata non fu nè strategicamente concepita, nè fulminea. Ci misero ottant’anni (dal 1220 al 1136 avanti Cristo) per distruggere e colpire. Ma alla fine, l’effetto fu quello di un bombardamento atomico.

«Verso il 1130 avanti Cristo il mondo appare tanto diverso che un abitante di Micene o di Hattusa vissuto nel 1230 avanti Cristo non lavrebbe riconosciuto», scrive l’archeologo israeliano Israel Finkelstein.

«LEgitto era una misera ombra della sua gloria passata. Hattusa (la capitale dimpero hittita in Anatolia) non esisteva più. Il mondo miceneo era una memoria sbiadita. A Cipro sera interrotto il commercio di rame. Grandi porti cananei, fra cui il grande emporio di Ugarit, erano stati ridotti in cenere. Imponenti città come Meghiddo ed Hazor erano rovine abbandonate».

L’archeologia scopre che la popolazione diminuì allora tragicamente, e l’economia, la produzione materiale, era tornata a quella dell’età della pietra.

«Limpoverimento, la mancanza di possessi materiali» di quell’epoca, scrive un altro studioso, Robert Drews con riferimento alla Grecia, «è tale che gli archeologi hanno trovato ben poco che possa illuminare quei tempi. Non furono più realizzati grandi palazzi o mura, le case erano diventate capanne, il vasellame degenera in qualità ed esecuzione, non cera più la scrittura».

E’ la descrizione del «medio-evo ellenico» – un’età oscura durata 4 secoli –, apparentemente provocato dalla calata dei Dori, un popolo di lingua greca ma primitivo calato dai Balcani, che nel mito greco è rimasto come il tragico «Ritorno degli Eraclidi», e che distrusse Micene, Tirinto, Pilo, le città achee i cui nomi sono ricordati da Omero.

Per gli egizi, i distruttori erano «popoli del mare», gente «che vive nelle barche». Il faraone Ramsete II ne ha lasciato un ricordo spaventoso e spaventato in un’iscrizione del tempio di Medinet Abu, Alto Egitto: «I Paesi stranieri hanno cospirato nelle loro isole (...). Nessuna terra sa resistere di fronte alle loro armi (...). Venivano verso lEgitto mentre davanti a loro era la fiamma. La loro confederazione era come le terre unite di filistei, tjeker, shekelesh, denyen, weshesh. Hanno messo le mani sulle terre per quanto si può andare per terra, i loro cuori sono pieni di baldanza...».

Si è voluto riconoscere nel nome shekelesh il termine «siciliani», nei denyen i Danai, o greci. Altre steli evocano i Tursha, che sarebbero i Tirreni o Etruschi, e i Shardana, i Sardi. Ma sono solo ipotesi basate sulle assonanze. Una stele di Ramses II, a Tanit, sembra evocare Sherden come una persona, un ribelle: «Sherden linsubordinato che nessuno ha mai saputo come combattere, vennero audaci nelle loro navi dal mezzo del mare, e nessuno è stato capace di affrontarli».

Nessuno sapeva come fermarli. Tra le rovine di Pilo (la città del saggio Nestore, per Omero) sono state trovate tavolette di creta, indurite per sempre dall’incendio, dove comandanti in angoscia ordinano di selezionare dalla fanteria uomini «capaci di remare» per inviarli d’urgenza nell’avamposto di Messene. Là, gli ultimi difensori avevano già fuso, per farne punte di frecce e di lance, le statuette della Potnia, la «Signora», la dea-madre del mondo egeo. Diverse città-Stato del Pelopponneso si unirono per elevare freneticamente una muraglia difensiva attaverso l’istmo di Corinto, segno che temevano insieme l’attacco dal mare e da terra. Il muro non fu completato in tempo; le rovine di Micene, che Schlieman scaverà tremila anni dopo, stanno a testimoniare che gli aggressori ebbero la meglio su una città protetta da mura ciclopiche.

Ammurabi
   Ammurabi
Le civiltà minacciate si collegarono, cercarono di aiutarsi l’un l’altra. Resta una tavoletta in cui Ammurabi, ultimo re della potente Ugarit, risponde disperato al re di Alashya (di Cipro) che gli aveva chiesto aiuto: «Le navi nemiche sono giunte, il nemico ha dato fuoco alle città e procurato distruzione e caos. Le mie truppe sono nel paese hittita, le mie barche in Licia, e il mio Paese è lasciato ai propri mezzi».

Evidentemente Ammurabi aveva già inviato rinforzi all’alleato hittita, fino al punto da sguarnire il suo territorio, non immaginando la forza del nemico. «Senza numero, innumerevoli» sono le parole che ricorrono nei documenti di Ugarit, insieme a un tragico senso di impotenza: troppo poco, troppo tardi. Poco prima, l’ultimo re hittita, Suppliluliuma II (o forse il suo successore Arnuwand) aveva chiesto ad Ammurabi un trasporto urgente di grano perchè nel nord di Hatti infuriava una carestia. Troppo tardi, l’impero hittita, che comprendeva l’Anatolia, la Siria e il Libano attuali fino al fiume Litani, sarà totalmente cancellato, e la sua lingua sarà decifrata solo a fine ‘800 grazie alle diecimila tavolette del suo archivio di Stato, scavate a Bogazkoy in Turchia.

L’invincibilità di queste torme di predoni, l’accenno alla carestia nel Paese di Hatti, e probabilmente rovesci climatici avvenuti in quel tempo, consentono di formulare l’ipotesi meno incredibile. Anzitutto, i depredatori erano armati con armi di ferro, che rendeva facile per le loro torme, benchè appiedate e poco civilizzate, di sconfiggere le aristocrazie del Bronzo, che come ricorda Omero, combattevano con carri da guerra. Fu forse la prima guerra «asimmetrica», come quella d’oggi in cui gli americani e la NATO, con tutti i loro mezzi, portaerei, missili e corazzati, non riescono a domare i guerrieri nati afghani. E’ da credere che anche i nobili sui loro carri lamentassero che le torme di sottoproletarii non combattevano «secondo le regole», da «terroristi».

Ma il ferro non spiega tutto. La fame, la voglia di preda, l’invidia di fronte all’abbondanza e al fasto delle civiltà del Bronzo (ricordate le maschere d’oro degli Atridi che Schliemann scoprì a Micene, le raffinate figure cretesi nel palazzo di Cnosso), dovette convincere molti subalterni di quelle stesse civiltà ad unirsi ai primi predatori che le spade e le lance di ferro rendevano invincibili. Erano forse «una scalcagnata confederazione di pirati, marinai senza radici, contadini spogliati delle loro proprietà spinti dalla carestia, dalla pressione demografica o dalla scarsezza di terre», ipotizza Finkelstein.



_



Probabile. Quelle antiche, raffinate società aristocratiche escludevano troppi dei loro sudditi dal comune benessere. Probabilmente, la magnificenza di Cnosso, le mura ciclopiche di Tirinto, le maschere d’oro degli Atridi a Micene, gli eserciti di Hatti e la sviluppata burocrazia di Hammurabi avevano un prezzo altissimo: in esazioni schiaccianti sui sudditi. Soggetti forse trattati come gli Spartani trattavano gli Iloti, contadini o magri allevatori ridotti alla sussistenza a cui venivano imposte corvées che li dissanguavano? E’ molto probabile che questi subalterni non si sentissero legati ai loro padroni nobilissimi da alcuna solidarietà, diremmo, nazionale o etnica. Appena la comparsa delle armi di ferro mise nelle mani di questi «estranei in patria» i mezzi per vendicarsi dei loro signori, essi si unirono ai barbari, agli invasori, ai pirati, per condividere il saccheggio.

Ma non basta. Forse c’era chi comandava questa masse urlanti con le daghe di ferro, professionisti di guerra e di comando. E’ possibile che altri aristocratici si siano uniti alle torme, contro i loro pari grado e consanguinei? Forse addirittura i figli (armati di ferro) contro i padri armati di bronzo?

Gli eroi omerici che tornarono da Troia incontrarono terribili destini. La saga di Agamennone e della sua nobile famiglia, gli Atridi, è un susseguirsi di tradimenti, adulteri, odii di donne, abominevoli azioni commesse tra consanguinei. Ulisse, tornato ad Itaca dopo lunghissimo errare, trova la sua reggia invasa dai Proci, i pretendenti alla mano di Penelope sua moglie, che nell’attesa gozzovigliano col suo vino, divorano le sue greggi e i suoi maiali, danno ordini ai suoi servi, dilapidano le sue sostanze.



apocalisse_precedente_2
I Proci



I Proci si comportano come «le genti del mare», come i saccheggiatori che hanno fatto crollare la Civiltà del Bronzo. Ma perchè nessuno li scaccia dalla casa di Odisseo? Perchè sono nobili, figli di nobili locali, e Ulisse non ha un popolo, ma solo servi capaci di mormorare e attendere il padrone. I Proci sono figli di aristocratici che infrangono le cortesie aristocratiche, l’etichetta achea. Non hanno compiuto alcuno degli atti gloriosi di cui si vantano gli eroi omerici, non sono guerrieri, vogliono impalmare Penelope per appropiarsi dell’eredità di Ulisse e così salire ai vertici sociali. Come rende chiaro Omero, essi spregiano le norme dell’esistenza ordinata; e lo fanno per partito preso. La loro è una specie di insurrezione ideologica contro i valori del mondo eroico, le ragioni della civiltà. Non a caso il loro capo si chiama Antinoo: che non significa solo lo Sragionante, il Senza-Giudizio, ma colui che è «contro la ragione» (1).

Se l’ipotesi è giusta, a far collassare le preziose civiltà del Bronzo non fu solo l’invasione esterna dei Dori e delle genti del mare; fu anche un’invasione «da dentro» la civiltà. Infinitamente più dolorosa, e che richiama fin troppo la situazione presente della civiltà occidentale.

I Proci, avessero preso il posto di Ulisse, non avrebbero saputo mantenere la civiltà di cui erano figli. I «popoli del mare» e i Dori s’impadronirono dei beni della civiltà, se ne riempirono i ventri e le barche, probabilmente convinti che la civiltà avrebbe continuato a satollarli e a dar loro il vino e l’oro nonostante tuti i saccheggi, perchè la credevano invulnerabile. Non avevano la minima idea delle virtù umane, delle risorse intellettuali e morali che richiede la manutenzione della civiltà. Non costruirono niente. Distrussero, e scomparvero nel nulla della loro violenza impulsiva e sragionante.

Ebbene: non sono così tanti dei nostri figli, che usano strumenti della civiltà, dalle auto ai cellulari ai computer e alle lavatrici, senza aver la minima idea – e nemmeno la minima curiosità – di come funzionino? Anzi: non siamo così noi?

Cinquanta giorni torridi, incendi di proporzioni inaudite, e i russi si lamentano che lo Stato non interviene. Gli americani nutrono una rabbia insieme frenetica e impotente contro i ladri di Wall Street, contro Obama che non vince le guerre e non tappa le falle della BP nel Golfo. Noi italiani siamo divisi in tutto, tranne che nel disprezzo rabbioso contro i politici, siano Berlusconi, Fini e Bossi, ma – se siete di sinistra – nutrite lo stesso rabbioso disprezzo per i capi che via via vi date: D’Alema, Prodi, Bersani, Veltroni, via tutti uno dopo l’altro consumati, nessuno è all’altezza, proviamo con la Bonino, anzi no con Niki Vendola. Gridiamo: risolvete i problemi! Subito! Dateci il lavoro! Il benessere! L’aria condizionata! L’ambulanza contro lo sballo da discoteca e da coca! Lo stipendio da primo mondo, anche se abbiamo un’istruzione da terzo mondo! Ne abbiamo diritto!

Il disprezzo è giustificato: mai le classi politiche occidentali sono state così al disotto delle sfide che devono affrontare, dei problemi ingestibili che hanno provocato, mai così cieche e corrotte, intente solo al loro vantaggio miope, di breve termine. Ma noi, non meritiamo disprezzo? Il collasso di ogni autorità dipende anche dal fatto che non riconosciamo nessuna autorità indiscutibile. La nostra impazienza sui «diritti acquisiti» rivela che non siamo coscienti di essere ormai sull’orlo del precipizio, di fronte a problemi troppo grossi perchè le risorse esistenti della civiltà attuali li possano risolvere.

Omero mette in contrasto la previdenza e saggezza di Ulisse, il suo realistico calcolo delle forze di fronte alla realtà, il suo saper trattenersi, la sua aristocratica moderazione tenace di fronte alle offese – frutto di lungo esercizio, «askesis», ascesi – con l’impulsività scervellata dei Proci, il loro deliberato cedere ai più immediati appetiti materiali. Ulisse ha uno scopo, una regola interiore, onora obblighi di una tradizione che i Proci – figli di quella tradizione – spregiano e insultano, profittando della sacra ospitalità.

La società stessa, la civiltà – con il benessere diffuso e la sicurezza generale che ha saputo dare – crea i suoi Proci, i suoi eredi viziati che non si sentono obbligati personalmente a mantenerla, a mantenerne cioè le basi – istituzionali, giuridiche, militari, economiche – che l’hanno resa possibile.

Putin non è Pietro il grande, Barak Obama non è Lincoln, Berlusconi non è Einaudi nè De Gasperi; sono tutti più piccini ed impari ai compiti giganteschi. Ma anche noi siamo più piccini, Proci della civiltà che muore non solo di aggressioni, ma di omissioni, di mancanza di una «askesis» perchè si crede che non serva più ora che c’è l’aria condizionata, il benessere, la facilità della vita e la TV.

Fra cento anni, o fra mille, gli archeologi si domanderanno che cosa ha fatto crollare questa civiltà del Bronzo Medio che è la nostra. Come mai il mondo è di colpo cambiato, le popolazioni sono tornate allo stato pastorale, s’è smesso di costruire, s’è persa la scrittura. Ogni forma d’arte e di pensiero?

Sfogliando vecchi giornali superstiti dalla catastrofe, additeranno diverse enigmatiche cause concomitanti: si parlava allora di «invasione islamica». Ma no, il grano rincarò per vastissimi incendi in Russia. Anzi no, l’Occidente combattè guerre in cui si esaurì la sua potenza e il suo prestigio. No, alle città d’America mancò l’elettricità. No, il clima cambiò e ci furono cataclismi naturali. No, quelli che avvennero furono rivolgimenti sociologici. Anzi etnici. Ci furono disordini informi, che cioè non presero la forma di rivoluzioni compiute; furono solo saccheggi di gente affamata, l’ordine pubblico fu sopraffatto, la crisi economica si aggravò perchè nessuno volle mettere in galera i malfattori finanziari e non; i malfattori avevano complici nei governi... Si metteranno in fila tante cause, e nessuna bastante a spiegare il perchè.

Maurizio Blondet




1
) Lo storico Tucidide, nella sua Guerra del Peloponneso (capitolo 1), va forse vicino alla verità quando scrive: «Nei tempi antichi gli elleni e i barbari della costa e delle isole (...) furono tentati di volgersi alla pirateria, sotto la guida dei loro capi più potenti (...). Si avventavano contro una città non protetta da mura e la depredavano, in quanto queste imprese non portavano disonore, ma anzi persino qualche gloria». La perdita della vergogna non è un carattere fatale delle nostre attuali classi dirigenti? Traggono anzi motivi di gloriarsi di atti che la generazione precedente avrebbe giudicato disonorevoli.



Home  >  Costume e Società                                                                     Back to top



La casa editrice EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.   


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità