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E’ caduto l’aeromobile. Dei sindacati.
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Rottura. Alitalia al fallimento? No, purtroppo è tutta una finta. Raffaele Bonanni (CISL) è già lì che chiede a Prodi di «convincere Spinettà (il capo di Air France) a tornare al tavolo». E’ stata tutta una sceneggiata, organizzata fra Prodi, Padoa Schioppa e forse sindacati, per spaventare i dipendenti di Alitalia, vedere il bluff di Berlusconi e infine dare Alitalia a quella compagnia cui volevano darla dal principio, Air France.

Spinettà tornerà (fa anche rima), i sindacati andranno al «tavolo» col cappello in mano, il corso tosto porrà le condizioni sue, e ai dipendenti del mostro buro-alato i sindacati diranno: «Più di così non potevamo fare». Un bel pezzo di teatro, con tanto di colpo di scena e spavento in sala, per far capire che non c’è alternativa, men che meno esiste la cordata del Salame. Il quale, ancora la mattina dopo la rottura diceva che i capitalisti «fanno la fila» per entrare nella sua cordata: vero Salame che non capisce i giochi, e che ormai ogni volta che parla, si spara sull’alluce.

Prodi, il vero vincitore, si prende il lusso di dire ai sindacati che hanno commesso «un grave errore» e che devono «assumersene la responsabilità». Ah, se non fosse una sceneggiata! Se fosse realtà! Allora la parola «responsabilità» avrebbe il suo peso: e un Paese responsabile decreterebbe la disfatta dei sindacati organizzati. In un Paese energico, la triplice non si riprenderebbe più da una battaglia così mal condotta e così malamente persa.

Un po’ come accadde ai tempi di Ronald Reagan, quando il braccio di ferro dei controllori di volo americani, tirato fino alla sfida, stroncò la forza sindacale in USA per generazioni. I nostri sindacati lo meritano, molto più di quelli americani. Abituati a mezzo secolo di co-gestione torbida e illegale del governo e delle imprese (la famosa «concertazione»), hanno perso la capacità della trattativa sindacale a favore dei lavoratori.

Un po’ come il glorioso Tsahal, a forza di sparare su inermi ragazzini e contadini a Gaza, non sa più fare la guerra contro un nemico ben armato e ben organizzato (Hezbollah), i sindacati - corpi non eletti da nessuno - hanno fatto di tutto, meno che la difesa dei salari: e infatti abbiamo i salari più bassi d’Europa grazie a loro.

Anzi, con la loro «moderazione» rivolta esclusivamente verso le «grandi imprese» (FIAT) che hanno co-gestito, hanno alla fine reso sempre meno competitive le grandi imprese stesse. Verso le piccole, invece, faccia feroce, insieme ai governi con cui hanno co-governato in piena irresponsabilità legale e politica.

Lì, si impongono «792 adempimenti per ogni busta paga», come è stato detto al convegno dell’API (piccola industria). Lì, la pressione fiscale è del 49,31%, che sale al 52,48% se la piccola azienda osa distribuire metà degli utili ai soci (contro il 27% il Germania, il 19% in  Svizzera). Lì, appena apri la società neonata, devi già pagare le tasse sui profitti non ancora realizzati e che forse mai si realizzeranno (nel Canton Grigioni, i primi anni sono in esenzione fiscale totale). Lì, si applicano i contratti nazionali stilati con le grosse, lì si moltiplicano i regolamenti, le irruzioni della Finanza, i ritardi nei rimborsi IVA: con il deliberato scopo di strangolare e distruggere - eppure i sindacati dovrebbero sapere che è la piccola impresa a impiegare più lavoratori, non le grandi.

Ma le grandi si chiamano FIAT, Telecom, Alitalia, e davanti al loro peso «politico» i sindacati sono tutti moine e buone maniere. Ci hanno provato anche con Air France. Si sono presentati al tavolo come se gli azionisti fossero loro; e infatti in Italia sono abituati così. Volevano insegnare a quello, un corso tosto di successo stellare, come si fa l’imprenditore. Soprattutto, volevano salvare i privilegiati di Alitalia, come sempre hanno fatto: i sindacati proteggono i super-stipendi, mica gli operai della Thyssen. Manco si sono accorti che ormai il corpo sociale dei lavoratori, quando ha la fortuna di avere un posto fisso, ha un salario a forfait: ossia comprensivo di straordinari, sabati lavorati, reperibilità eccetera. Se ne sono accorti i sindacati?

Un lettore, ingegnere bresciano, è in queste condizioni: «La mia paga oraria è sui 12 euro l’ora», quanto si paga a Milano una colf. Ci sono aziende nel Nord che si servono di extracomunitari riuniti in cooperative di facchinaggio, e poi li impiegano come operai di montaggio o tecnici di macchine utentisili. Non dovrebbero occuparsene i sindacati? Il lettore ingegnere conclude: «Ormai l’essere umano è considerato meno dell’oggetto stesso che produce», in Italia.

E’ una frase da sfruttato dell’Ottocento, ed è la realtà in aziendine che non ce la fanno più a sostenere la concorrenza, che non fanno ricerca e sviluppo… ma se occorrono 792 adempimenti per una busta-paga, se ci si vede prelevare da Visco il 49-53% del profitto, tutta la ricerca e sviluppo è dedicato a quello. Non dovrebbero occuparsene i sindacati? Macchè.

Loro si impegnano allo stremo per salvare gli stipendioni dei piloti di Alitalia. Già avevano ottenuto, per quei piloti d’oro in sovrappiù, che fossero messi in pensione anticipata per dieci anni (diconsi dieci) con l’80% dello stipendio, che è enorme rispetto ai piloti esteri; Spinettà ci aggiungeva il 20%, sicchè quelli se ne stavano a casa per 10 anni (dieci) col 100% della paga. E quelli non hanno accettato.

Non è che i piloti facciano fatica a trovarsi un altro lavoro. Ho visto americani, licenziati dalle compagnie USA per ridimensionamento, ai comandi di C-130 da trasporto in Africa, di aeroplanini in Sudamerica, in Kazakhstan, dove capitava: incazzatissimi, ma lo facevano. Mica pensavano, cinquantenni, di aver diritto di non lavorare più col 100% del salario.

E questo non è il risultato dell’ignavia della triplice sindacale; è il risultato della co-gestione sindacale dell’economia; loro si sentono in dovere di dare una mano ai padroni, di fare la «moderazione salariale», se i padroni sono grossi. E’ per colpa dei sindacati se abbiamo certi padroni e dirigenti.

Come Riccardo Ruggiero, amministratore delegato di Telecom, che ha guidato così bene che gli utili sono calati 18%, ma lui s’è intascato i normali 17 milioni di euro, e si è perfino raddoppiato il bonus per le «buone performances aziendali», 3,7 milioni in più. Lì c’era il campo per una bella lotta sindacale. Non l’hanno fatta.

Nemmeno hanno detto bah quando Alessandro Profumo s’è aumentato l’emolumento in un anno
del 39% (9,4 milioni di euro), la Giulia Ligresti se l’è aumentato del 29% (4,4 milioni di euro) benchè gli utili dell’impero Ligresti siano calati del 30%, lo Zunino di Risanamento si è aumentato lo stipendio del 15% (4,5 milioni) mentre il suo gruppo, strapieni di subprime, ha chiuso il bilancio con 100 milioni di passivo, e le azioni sono crollate del 60%.

Nell’insieme, i 50 primi dirigenti delle imprese quotate in borsa si sono intascati 300 milioni (a testa 12 miliardi di vecchie lire), benchè le rispettive aziende calino, com’è logico in un Paese in declino. Certi padroni - incapaci quanto scandalosamente ricchi - esistono perché esistono certi sindacati. Se l’Italia fosse un Paese energico, li prenderebbe a colpi di pietre, li fischierebbe, li lincerebbe.

Invece eccolì lì, da Santoro, da Ballarò (come si chiama il tizio, quello che sembra il fidanzato di Barbie?), eccoli lì sul palco dei comizi, eccoli persino spremere una lacrima e una protesta per «le morti sul lavoro». Tre sindacati che ci costano almeno mille milioni di euro l’anno, in prelievo para-fiscale sui salari e sulle pensioni.


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