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Le trame di Berlino in Asia
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A Seoul c’è un tedesco, di nome Walter Klitz, che vi abita dal 2002. E’ indicato come «una delle poche personalità internazionali che hanno il permesso di entrata nella Repubblica Democratica Popolare», e dove «mantiene stabili rapporti operativi con i decisori della Corea del Nord».

Herr Klitz non si muove come un solitario avventuriero. A Seoul, è il rappresentante della Fondazione Friedrich Naumann, una fondazione culturale germanica con un’immagine liberal (è collegata col Freie Demokratische Partei (FDP), membro della coalizione del governo Merkel) (1) ed ha varie sedi nel mondo, fra cui Gerusalemme. Nel corso di una delle sue visite a Pyongyang in aprile, Klitz s’è sentito dire da un alto responsabile del partito unico al potere in Nord Corea che il socialismo coreano non può sopravvivere isolato e che dunque il regime più stupido della storia, fondato dal Grande Leader Kim Il Sung, sta per adottare una strategia per aprirsi al mondo.

Subito trasmessa alla Cancelleria, l’indiscrezione ha suscitato fremiti di soddisfazione in Germania. Hartmut Koschyk (CSU), segretario di Stato nel ministero delle Finanze, ha dichiarato che «i giorni del regime sono contati» e che questo apre «nuove possibilità per iniziative tedesche».

Koschyk , che da anni presiede il Gruppo parlamentare tedesco-coreano, ha raccomandato a Berlino di rispettare al massimo, in questo delicato momento di transizione, la situazione interna del regime comunista asiatico, insomma di non far nulla per irritare la casta militare nord-coreana. La Germania gode là di buona reputazione, e non è il caso di rovinarsela con moralismi declaratori.

Il fatto è che Kim Jong-Un, il terzo figlio del regnante dittatore Kim Jong-Il (Caro Leader) a sua volta succeduto a Kim Il-Sung (Grande Leader) ma gravemente malato, viene sottoposto in questi mesi dai generali nord-coreani ad una eccezionale accelerazione di carriera: ufficialmente proclamato Brillante Compagno, poi a settembre nominato generale dell’esercito, membro del Comitato Centrale del Partito e vicepresidente della Commissione Militare: è evidente che lo stanno preparando alla successione, terzo della dinastia. Ora, il Brillante Compagno ha studiato per anni in Svizzera, a Berna (dove l'85% della popolazione è tedesco) ma anche nella stessa Svizzera tedesca, sicchè parla correntemente il tedesco (oltre che inglese e francese) e pare un ammiratore del sistema germanico. Ma non è solo. Secondo Klitz, dietro di lui (è nato nel 1983) starebbe per andare al potere una giovane generazione di figli di papà «che hanno vissuto a lungo allestero e hanno contatti internazionali». Questa generazione «avrà il permesso di conformare la politica del Paese», ed è accreditata dell’intenzione di «aprire il Paese al mondo».

La Germania è già profondamente impegnata in relazioni economiche, ma anche in settori più delicati, con Pyongyang. E’ stata una ditta germanica a collegare il Paese ad internet nel 2004, un’applicazione che interessava i militari, non certo desiderosi di espandere la libertà d’informazione. Proprio per questo, la ditta tedesca non ha ottenuto dagli USA (che ha decretato l’embargo contro il regime dei Kim, come ritorsione per i suoi programmi atomici) le necessarie licenze di esportazione delle tecnologie di sicurezza e filtraggio: le tecnologia sono dua use, usabili per scopi civili e bellici. Il divieto è stato eluso prontamente situando il server principale e i suoi sistemi di criptazione in Germania; lì il regime nord-coreano immagazzina i suoi dati sensibili (notevole prova di fiducia, per una dittatura paranoica quanto a segretezza) come un proxy, e riceve i contenuti che il regime vuol rendere disponibili all’interno del Paese.

A Berlino ci si rallegra anche dei successi del Brasile come partner commerciale del regime nord-coreano. Il Brasile infatti è diventato il terzo Paese per gli scambi commerciali con la Corea del Nord, dopo Cina e Sud-Corea. E il Brasile ha un programma nucleare – si sospetta di tipo militare – che sta attuando con assistenza tedesca.

A quanto sostiene il ben informato sito German-Foreign-Policy il governo di Berlino intende offrirsi al regime in via di sperata apertura come esperto in riunificazioni. Il successo della riunificazione fra le due Germanie sarebbe effettivamente considerato con attenzione da Pyongyang, la cui nuova generazione evidentemente non esclude la fusione con la Corea del Sud.

Un’altra fondazione culturale tedesca, stavolta emanazione del partito CSU, la Hanns Seidel Stiftung, ha messo in opera apertamente un Progetto di Riunificazione Coreana appunto basato sull’esperienza germanica, con numerosi incontri con la controparte sud-coreana. Più recentemente il presidente della Fondazione Konrad Adenauer (CDU, ossia democristiana) è stato in visita a Seoul ed ha avuto frra l’altro colloqui con il ministro della Riunificazione, un ministero del genere esistendo nella Corea del Sud.

Non è chiaro fino a che punto questo grande gioco tedesco in Asia avvenga con il beneplacito di Washington, o sia una silenziosa preparazione al tramonto della potenza egemone americana nel Pacifico. E la Cina, cosa pensa delle attività germaniche nel cortile di casa?

In un articolo apparso nell’autunno 2006 su China Security, il professor Shen Dingli, direttore dell’Institute of International Studies alla Fudan-University a Shanghai, ha esplicitamente avvertito che la Cina Popolare è impegnata a mantenere la sovranità e l’integrità territoriale della Corea del Nord, in quanto la considera il suo cuscinetto strategico che la separa dai quasi 30 mila soldati americani e loro armamenti presenti nella Corea del Sud. Truppe che oggi inchiodate su e dalla linea d’armistizio della guerra di Corea degli anni ‘50, e dal programma nucleare nord-coreano, non sono disponibili per altre attività, per esempio a Taiwan.

«La firma di un accordo con gli Stati Unitirinuncia alle armi nucleari in cambio di amiciziain cui la Corea del Nord seguirebbe la via della Libia» è un’eventualità che il professor giudicava infausta. Ma questo era nel 2006.

D’altra parte, Berlino è la forza trainante dietro il recente accordo di libero commercio fra la UE e la Corea del Sud, da cui gli industriali tedeschi si aspettano una crescita del volume di scambi di Seoul con l’Europa, o meglio con la Germania (la FIAT ha tutto da perdere dalla concorrenza con le economiche auto coreane, e la manifattura italiana in genere non guadagnerà nulla dall’irruzione di prodotti coreani, simili per livello a quelli nostrani).

La collaborazione nell’armamento fra Germania e Corea del Sud è già notevole: nel 2008 quest’ultima risultava al sesto posto nella lista dell’export militare germanico, e probabilmente al terzo posto fra i Paesi non-NATO che chiedono armi germaniche: sottomarini, parti per carri armati e sistemi anti-missile.

Un altro accordo di libero scambio fra UE ed India è fortemente caldeggiato dai tedeschi: la Germania è già fra i maggiori investitori diretti in India (3,5 miliardi di dollari) ed ha un interscambio in rapida crescita (da 5 miliardi di euro a 13 fra il 2003 e il 2009, con 3 miliardi a vantaggio dei tedeschi) ma la Confindustria germanica vuole aumentare molto l’export col continente indiano (fino a 20 miliardi) che resta comunque sette volte inferiore agli scambi commerciali che la Germania intrattiene con la Cina (92 miliardi di euro). Curiosamente, a fare lobby contro questo accordo di free trade è Medecins sans Frontieres, perchè l’India sarebbe costretta ad accettare le norme sulla proprietà intellettuale e specie sui brevetti di medicinali vigenti in UE, e ciò distruggerebbe la produzione di farmaci generici e copiati, a basso costo, che l’India produce e che le organizzazioni sanitarie comprano, per esempio, per curare con poca spesa i malati di AIDS nel Terzo Mondo. Anche nell’interno della federazione indiana vi sono resistenze all’abolizione dei dazi doganali che tale accordo implicherebbe, e che metterebbe nelle mani degli stranieri la pesca e le industrie estrattive. Già un gigante della grande distribuzione tedesco, Metro Co., ha suscitato proteste con la sua penetrazione nel mercato indiano.

Anche all’India la Thyssen Krupp Marine Systems vuol vendere i suoi sommergibili, e la Krauss-Maffei i suoi cingolati, mentre il gruppo franco-tedesco EADS sta concorrendo ferocemente (contro Russia e Svezia) per vendere caccia a Delhi, che ne vuol comprare 126: e lo Stato federale spalleggia attivamente la sua industria militare nella conquista di mercati asiatici, sapendo che la dovrà lasciare a corto di fondi per i tagli alle forze armate germaniche indotti dalla crisi. Apparentemente indifferente agli allarmi che questo attivismo può suscitare a Pechino.

Ma il segnale che la Germania sta ormai rivaleggiando con la Cina (non solo come esportatore mondiale) è dato ancor più chiaramente da una grandiosa iniziativa economico-politica fortemente voluta dalla Confindustria germanica (BDI) e appoggiata dal governo: la strategia per le risorse naturali. La Cina si sta accaparrando materie prime energetiche e minerarie e terreni agricoli in Africa e America Latina. Le industrie tedesche vogliono fare lo stesso con urgenza - in vista di un futuro di scarsità che «rischia di mettere in pericolo i fondamenti della nostra intera industria», ha detto Volker Perthes, direttore dell’Istituto Germanico per gli Affari di Sicurezza Nazionale (SWP).

La BDI ha indetto il 26 ottobre scorso un congresso sulle risorse naturali a cui hanno partecipato i ministri competenti. La strategia lì indicata è adottata dal governo federale: si tratta di stabilire partnership stabili con una serie di Paesi ricchi di minerali e di altre risorse, con cui irrobustire gli scambi economici e di tecnologie e di assistenza, per assicurarsi un accesso alle materie prime continuo e sicuro.

Accordi di natura politica: non a caso, accanto ai ministri dello Sviluppo e quelli economici, anche il ministro degli Esteri era al congresso degli industriali. Col Sud Africa, primo nella lista, Berlino ha già stabilito relazioni, ma col secondo Paese a cui mira in Africa, lo Zimbabwe, ha pessimi rapporti, dato il giudizio sul dittatore locale che la Germania condivide con inglesi e americani. Anche con il terzo Paese fornitore indicato dagli industriali, la Repubblica Democratica del Congo, la Germania non ha fino ad oggi quasi alcun rapporto. In Asia, il primo Paese con cui allacciare una stabile partnership per le risorse naurali è ovviamente la Cina (per le essenziali terre rare); Ucraina, Russia e Kazakhstan hanno già stabili relazioni economiche con Berlino, così come Cile e Brasile in Sudamerica.

Non è chiaro se questa iniziativa possa portare a una competizione senza quartiere - e a una rotta di collisione - della Germania (e dell’Europa, che è al seguito di Berlino) con la Cina per le materie prime. Ad ogni buon conto, Berlino sta manipolando il World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) il gendarme del libero mercato globale, perchè imponga ai Paesi ricchi di materie prime il divieto di legare la fornitura di tali materie a qualche restrizione politica o strategica (quello che recentemente ha fatto la Cina sull’export di terre rare, di cui ha il quasi- monopolio) (2): ogni risorsa deve essere assolutamente accessibile al «libero mercato e mai soggetta a limitazioni sotto nessuna circostanza. E’ chiaramente la Cina ad essere presa di mira da questo progetto (Struggle for Natural Resources).

Ma non è chiaro se in questo grande gioco la Repubblica Federale Tedesca non si comporti già come potenza post-europea, lasciandosi dietro i soci della cosiddetta Unione Europea.

E’ chiaro invece il fatto che agisce in base a visioni di lungo respiro, in vista del futuro e dell’interesse nazionale. E che, quando è in gioco l’interesse nazionale, Confindustria, governo, partiti agiscono come un tutt’uno. E le fondazioni culturali dei partiti operano come enti del governo. Niente di simile, insomma, ad ItalianiEuropei di D’Alema o a FareFuturo di Fini, ma è anche vero che al loro governo non c’è uno statista che occupa il tempo con Lele Mora, Emilio Fede e ragazzine da letto (Fondazione Tre Procellini?) o a cercare di imporre un lodo Alfano dietro l’altro.

Là, il futuro se lo fanno, e non lo dicono.



1) Il FDP è diretto da Guido Westerwelle, ed ovviamente è per i diritti degli omosessuali, le privatizzazioni, il taglio dello Stato previdenziale e la imposizione fiscale non-progressiva sugli alti rediti.
2)
Nuovi siti di terre rare sono stati identificati  in Mongolia, Africa e Groenlandia. Ma occorreranno «una decina danni prima di portarli ai mercati in volumi adeguati», s’è detto al Congresso tedesco sulle Risorse.


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