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USA: transizione in pericolo?
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L’ammiraglio Michael Mullen è da sette mesi, e lo sarà per due anni, il presidente degli Stati Maggiori riuniti, insomma il militare più alto in grado. Ha rilasciato al Washington Post una dichiarazione enigmatica, ma di inaudita gravità (1). L’ammiraglio s’è detto convinto che la transizione tra la presidenza Bush e la prossima sarà «extraordinarily challenging», straordinariamente impegnativa perchè avverrà mentre il Paese ha in corso due guerre, e rappresenterà per l’America un «periodo di vulnerabilità».

E poi: «Saremo messi alla prova... Mi preparo alla prova (che attende) questo Paese, ed ho una parte a questo riguardo, certamente nel consigliare il nuovo presidente, chiunque sarà».

Mullen ha precisato: spero che «Il cambiamento dei leader politicamente nominati avvenga ad un ritmo da tempo di guerra, non da tempo di pace: penso sia importante avere più dirigenti possibili nelle loro posizioni il più rapidamente possibile, come si deve in tempo di guerra». Che cosa teme?

Mullen accenna all’Iran: «che è sempre lì. Dobbiamo essere forti e in atteggiamento di deterrenza, non essere prevedibili». Ma, come nota il sito Dedefensa - che, unico, ha rilevato come di estrema importanza questa intervista - Mullen, come il ministro della Difesa Gates, è tra gli oppositori di un attacco all’Iran. Sembra che con la sua frase  intenda piuttosto avvertire Teheran di non tentare mosse azzardate durante il passaggio dei poteri presidenziali.

«L’ammiraglio - scrive il sito belga - parla come se ad essere in crisi fosse Washington, non la situazione con l’Iran, o l’Iraq o l’Afghanistan... parla come un generale turco alla vigilia delle elezioni presidenziali in Turchia: avverte tutti, anche il proprio potere politico, della sua intenzione di vegliare sul processo politico in USA». Quale crisi intravede l’ammiraglio?

Sullo sfondo c’è, come ha detto Vincent Cannistraro ex analista CIA, che «Cheney è convinto che questa amministrazione deve attaccare l’Iran prima di lasciare la carica. Gates (il ministro al Pentagono) echeggia questa retorica pubblicamente ma non appoggia la posizione di Cheney».

C’è anche la crisi economica americana, che può  collassare nella nuova Grande Depressione come dopo il 1929, facendo eclissare l’America dalla scena politica mondiale almeno per un decennio.

Ma  c’è anche questa suicida campagna elettorale dei due candidati democratici: Hillary e Obama si dilaniano, e rischiano di regalare la vittoria al candidato repubblicano Jonh McCain, nonostante i repubblicani siano visti bene, nel sondaggi, solo dal 27% degli elettori (un abisso di proporzioni storiche) e il 73% ritenga che Bush abbia guidato il Paese «sulla via sbagliata».

Per questo - e la sua mossa sottolinea la gravità della crisi - Joe Andrew, un super-delegato democratico e pezzo grosso del partito, ha abbandonato clamorosamente Hillary Clinton per passare con Obama: «McCain, senza fare nulla, è oggi competitivo di fronte ad entrambi i nostri candidati», ha detto Andrew: «Un voto per Hillary Clinton è un voto che continua questo processo (di erosione), e un voto che continua questo processo è un voto che aiuta John McCain» (2).

Abbastanza chiaramente, il pericolo denunciato qui è una crisi istituzionale: il potere attuale è completamente screditato, anzi esploso fra tentazioni di colpi di coda e manovre dietro le quinte per frenare l’ultima pazzia di Bush-Cheney, l’attacco all’Iran. Gli americani vogliono chiaramente un democratico alla Casa Bianca; se nonostante ciò vincesse ancora una volta un repubblicano, c’è da temere una reazione dell’opinione pubblica?

A questo proposito, Dedefensa  dà rilievo al sospetto di Lech Biegalski (3), un ex esponente di Solidarnosc in Polonia che, al contrario dei suoi compagni di allora, non si è accasato nel conformismo liberal-americanista. Biegalski, diventato canadese, continua ad essere un dissidente anche contro il «nuovo ordine mondiale» che vede avviato a tappe forzate dopo l’11 settembre.

Ora, sul suo sito Canada Watch, egli nota con quanta voluttà i grandi media USA - a cominciare dalla CNN - mandano e rimandano le dichiarazioni incendiarie (e in gran parte veritiere) del «reverendo» Wright, il consigliere spirituale di Obama, associandolo al preteso radicalismo nascosto di Obama. Perchè tanto soffiare sul fuoco?

«Il reverendo Wright sta radicalizzando la comunità afro-americana? Barak Obama viene sostenuto (dai media) per la stessa ragione» e infine la domanda centrale: «Qualcuno, che controlla la CNN, sta usando queste persone come strumento per innescare una  rivoluzione controllata?». E come esempio di rivoluzione innescata ad arte, Biegalski offre proprio la sua versione della rivoluzione di Solidarnosc.

Il movimento sindacale emerse nel 1980. Ma «La rivoluzione-Solidarnosc cominciò in realtà nel 1976, quando undici persone, quasi tutti ebrei, crearono il KOR, un comitato di difesa dei lavoratori perseguitato dopo le proteste operaie di Radom e Lublino. Gli attivisti del KOR vennero arrestati e interrogati più volte, ma ogni volta rilasciati senza danno. Un regime che aveva uccisi  milioni di persone, di colpo diventava tollerante. Quando Solidarnosc nacque nel 1980, i membri del KOR divennero i cosiddetti esperti, consiglieri del comitato iniziale di Solidarnosc e poi del Comitato Nazionale. Nel nuovo sistema capitalista, molti membri del KOR sono divenuti senatori ed hanno avuto posti di responsabilità».

Già. Chi ricorda questi 11 «quasi tutti ebrei», che trasformarono Solidarnosc da sindacato in movimento rivoluzionario? A fianco dell’elettricista cattolico Lech Walesa si vedevano allora, come esperti e consiglieri, l’ebreo Bronislav Geremek (già capo della Gioventù Staliniana, a suo tempo scelto per pronunciare l’elogio funebre di Stalin), Jecek Kuron, Adam Michniz, la cui madre era un dirigente del PC polacco con il compito di controllare la conformità ideologica dei libri di testo.

Tutti figli di altississimi nomenklaturisti del Partito, usciti «da sinistra», su posizioni trotzkiste,  negli anni dopo il 1967, quando la vittoria di Israele nella guerra dei Sei Giorni cominciò ad alienare gli ebrei polacchi dal regime (di cui erano parte), perchè la nuova patria stava vincendo, e con essa era scoccata una nuova fase della storia.

Biegalski si ricorda, e lo dice: Solidarnosc fu una rivoluzione controllata, in cui il movimento cattolico polacco fu strumentalizzato, come massa d’urto. Del resto lo stesso Adam Michniz spiegò che lo scopo del KOR (trotzkista) «era di coinvolgerei cattolici e la Chiesa nel conflitto fra gli operai e il regime» (4).

«Se sindacati e lavoratori hanno potuto essere usati come cappello», si domanda Biegalski, «perchè non le chiese e le minoranze visibili», come il reverendo Wright ed  i neri americani?

«Il livello di opposizione dell’opinione pubblica (verso il mondo globalizzato, il nuovo ordine globale) rende la sua imposizione difficile. Ma le rivoluzioni impongono un nuovo ordine, perchè non il nuovo ordine mondiale? Il capo futuro emergerà, quando il popolo sarà pronto».

E’ questo che prevede (o sa) l’ammmiraglio Mullen? La rivolta di una popolazione immiserita, assediata dai debiti, che spinta ad una rivoluzione sia pur «controllata» rende però per lungo tempo «vulnerabili» gli Stati Uniti?».

«Questo Paese sarà messo alla prova, ed io ho un ruolo a questo riguardo», dice l’ammiraglio.
E «non c’è riunione e briefing» in cui lui e i suoi gallonati colleghi «non pensino continuamente come le decisioni militari prese oggi giocheranno sotto una nuova amministrazione». E, aggiunge, «i comandanti USA nelle regioni oltremare, come anche i capi dei diversi servizi, hanno discussioni simili».

E queste parole le dice, si noti, in «una riunione coi direttori e i reporter del Washington Post»,
il giornale principe dell’establishment: non un’intervista casuale, ma una specie di consiglio d’emergenza per la gestione mediatica della crisi. Dove l’ammiraglio assicura che i militari «offriranno una influenza stabilizzatrice» nel «passaggio tra le due amministrazioni».

Una grave crisi in America - qualunque forma prenderà, di rivoluzione o di governo militare stabilizzatore di transizione - è dunque imminente?

Dedefensa segnala la cecità dei grandi media e delle elites di governo europee davanti a questi dati; nessuno ha rilevato le parole dell’ammiraglio Mullen. E’ una specie di paralisi del pensiero, di fronte all’eventualità impensabile, il crollo degli Stati Uniti e del sistema che ha imposto al mondo.

Questa paralisi europea «lascia il campo libero all’America. Ancor ieri, essa assicurava la potenza americana. Oggi è piuttosto il contrario, e può essere la rivincita della storia. L’assenza di freno contro la sua azione, la sua politica e le sue tendenze, specialmente da parte degli ‘amici’ ed altri servitori europei, lascia ormai l’America correre su una china di catastrofe» (5).




1) Ann Scott Tyson, «Mullen cites Us ‘vulbnerability’: transition to the new president in wartime concerns the Joint Chief of Staff», Washington Post, 1 maggio 2008.
2) Tim Reid, «Super-delegate: A vote for Hillary Clinton is a vote for McCain», Times, 2 maggio 2008.
3) «La psychologie du complot et l’avancement de la crise», Dedefensa, 5 maggio 2008.
4) Maurizio Blondet, «Cronache dell’Anticristo», Effedieffe, 2001. Alle pagine da 105 a 125 ho narrato qui la storia dei trotzkisti ebrei che hanno fatto cadere il regime comunista polacco capeggiando Solidarnos.
5) «Les USA, notre aveuglement et notre fascination», Dedefensa, 5 maggio 2008. Il sito mette in rilievo il carattere «escatologico» della crisi americana. «Notre refus d’apprécier le destin catastrophique de l’Amérique est aussi le refus d’une pensée eschatologique qui, seule, aujourd’hui, pourrait nous donner l’audace de penser la crise du monde qui est la crise de notre civilisation (la crise des USA, c’est déjà tout cela)». E si rifiuta di rispondere alla domanda  «che cosa accadrà dopo», perchè «Il est aujourd’hui impossible de penser un ‘après’ d’une crise d’effondrement des USA... Si les USA s’enfoncent dans une immense crise s’apparentant à un effondrement, c’est un événement eschatologique pour le système mondial. Tout sera changé et plus rien ne sera pareil à ce qui précéda, et nous entrons dans l’inconnu. Le futur est ainsi décrit d’un mot (‘inconnu’) et vouloir faire une prévision relève non pas de la gageure mais de la gratuité futile et nécessairement (même si involontairement) trompeuse. La pensée eschatologique permet d’apprécier cette probabilité sans la soumettre au crédit incertain d’une prévision».


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