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L’avventurismo USA-EU ci porta alla guerra
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Fra le immagini che vengono dall’Ucraina, una mi spaventa di più. No, non è la gigantografia della Timoshenko (già fischiata dalla piazza), e nemmeno la grande scritta – in inglese per la CNN ed Al Jazira (i 5 miliardi della Nuland bene spesi).

No, sono il gran crocifisso di là, e ancor più l’immensa immagine del Cristo Misericordia, l’immagine carissima rivelata a santa Faustina Kovalska, assunta come simbolo di parte. E la scritta («Confido in te») in caratteri latini e non cirillici.

Ora, ciò che proprio manca all’Ucraina, sarebbe unire ai conflitti che la travagliano e la spaccano anche la ferita aperta religiosa: cattolici contro ortodossi, una guerra di religione. Le centrali occidentaliste possono ottenerla facilmente, aizzando gruppuscoli fanatici filo-polacchi come hanno già risvegliato le covate neonaziste... e i neocon giudeo-americani al comando della crisi hanno una solida esperienza in questo campo. Abbiamo ben visto come hanno ravvivato la fitna, la frattura tra sciiti e sunniti in ogni Paese islamico in cui hanno «espanso la democrazia», in esecuzione delle «direttive» israeliane, scritte 30 e più anni fa sulla rivista ebraica Kivunim (che significa appunto «direttive»). Quelli sono capaci di tutto.

Lo dicono i commenti dei grandi media americani e britannici (quelli italiani, ovviamente seguono), dei governanti di Londra, di portavoce della Nomenklatura eurocratica da Bruxelles: nemmeno una briciola di resipiscenza, non un granello di ammissione che con profferte di integrazione all’Europa, hanno acceso una miccia incontrollabile in un Paese storicamente fratturato e piagato, provocato Mosca con intromissioni e ingerenze intollerabili; no, è tutta colpa di Putin, è aggressivo e brutale: «La Russia minaccia guerra» urlano i giornali della superpotenza che è in guerra da un decennio in Afghanistan, Iraq, e una dozzina di altri teatri con operazioni coperte; , «Abbracciamo il popolo ucraino» (George Osborne, il ministro britannico); Washington e Londra E Bruxelles promettono «assistenza finanziaria» (a vanvera) al nuovo ordine di Kiev che ancora non si sa quale sia; Catherine Ashton vola a Kiev a riprendere, anzi accelerare «l’integrazione alla UE» (una integrazione che, non era mai stata fatta balenare prima, ed è impossibile).

Insomma, è sentimento anglo-americano di impeccabilità e infallibilità al suo diapason. La convinzione che la propria superiorità morale e storica, dia il diritto di ficcare il naso , o gli stivali, in zone di storica instabilità dovunque nel mondo; che la «buona causa» del mercato-democrazia consenta qualunque immoralità e irresponsabilità, e destabilizzazione in casa d’altri. Con in più il permanente, ostinato rifiuto di riconoscere che Mosca abbia una legittima pretesa sulla questione, una legittima zona d’influenza o persino un legittimo diritto di avere una posizione sulla destabilizzazione ucraina... Tutto ciò è delirante, e porta ad un solo esito: la guerra. La guerra del Bene contro il Male (Assoluto), sia chiaro.

Così, Obama si è detto «sbalordito», stunned, quando Vladimir Putin gli ha telefonato, spiegandogli che per difendere i diritti della popolazione russofona della Crimea e dell’Ucraina orientale (dove la gente si sta mobilitando, preparandosi al peggio) è pronto a mobilitare 250 mila uomini, che ha dato ordini ai generali di rafforzare la prontezza ed ha effettivamente mandato un mezzo da sbarco con 200 uomini.

Ma come mai, si domanda lo sbalordito: come mai Putin è così aggressivo? È geloso della democrazia a Kiev? Ovviamente dimenticando che qualche mese fa, quando l’eurocrazia e gli USA promettevano a Yanukovitch i grandi vantaggi in denaro del cambiare campo, Putin propose un accordo tripartito, in modo – disse – da dare all’Ucraina l’opportunità di avvicinarsi all’Europa senza bisogno di uscire dalla Unione Eurasiatica, il mercato comune gestito da Mosca: e Bruxelles, dura, nemmeno rispose a Putin, ma disse all’ucraino che doveva scegliere: di qua o di là.

Un atteggiamento ingiurioso che la UE (chissà poi chi) ha replicato adesso: riconoscendo immediatamente come legittimo il «governo» che ha preso il potere a Kiev nel disordine, e il suo presidente ad interim, tale Oleksandr Turchynov. Unilateralmente, e in gran fretta. Ciò spiega la frase del moderato Medvedev, che i giornali nostrani riportano con sdegno, come prova della brutalità russa: «Trattare gli uomini mascherati e brandenti kalashnikov che circolano per Kiev come un governo... la legittimità di tali corpi di governo è francamente dubbia».

È la voce della ragione, date le circostanze. Ma no, Susan Rice, la consigliera della sicurezza nazionale di Obama, dirama una intimazione: La Russia non usi la forza in Ucraina. Al che, il portavoce di Lavrov (Esteri) ha replicato: «Buon consiglio, la Rice lo dia alla sua amministrazione, per i casi delle truppe americane spedite in tanti posti del mondo, dovunque gli Usa credono che le norme della democrazia occidentale sono in pericolo». (Good advice, wrong address: Russia responds to Susan Rice ‘no tanks to Ukraine’ warning)

I sordi non vogliono sentire. Anzi, si critica Mosca perché ha detto di voler sospendere il prestito (15 miliardi di dollari) che aveva concesso a Yanukovitch in cambio delle promesse (mai veramente concretate) della UE a cui rinunciava. A dicembre, la Russia ha comprato tre miliardi di dollari del debito pubblico ucraino, notoriamente non tanto solido: nessuno in Occidente è disposto a riconoscere che Mosca incorrerà in gravi perdite. No, si critica il fatto che Mosca vuol rallentare le importazioni di generi alimentari, che sono gran parte del suo interscambio con l’Ucraina (questa esporta in Russia il 25% della sua produzione). L’impeccabile Occidente sembra aspettarsi che sia Mosca a finanziare il cambiamento di campo ucraino? (Russia suspends loans to Ukraine during governmental chaos)

«La comunità occidentale intervenga col libretto degli assegni», sbraita Osborne (cancelliere dello Scacchiere, ossia ministro economico. che la verità la conosce: gli assegni sono a vuoto). Certo, come no. Il Ministro ad interim Kolobov ha gridato che in Ucraina è imminente la bancarotta ed ha bisogno subito subito di 35 miliardi di dollari. L’Europa, prima, aveva offerto a Yanukovitch... 160 milioni (milioni) per cinque anni.

Rehn e Barroso, i provocatori

Adesso Olli Rehn fa balenare al neo-Governo ucraino (che ancora non esiste né è stato eletto) che, se firma subito subito l’adesione alla UE, ciò «consentirebbe a Kiev di ricevere subito 2 miliardi di euro e l’ingresso in un mercato di 500 milioni di consumatori». Anche se in realtà l’Ucraina, spiegano gli analisti, oggi non ha molto da vendere. E benché Karel De Gucht, commissario europeo al Commercio, abbia sottolineato che «l’accordo non significa l’ingresso nell’Ue».

Irresponsabili, che eccitano speranze infondate ad una piazza rovente con promesse campate in aria, che tutti sanno vane. Ma come ha detto il ben noto Olli Rehn, al G20 di Sidney, «è importante per l’Europa indicare una chiara prospettiva europea per il popolo ucraino, che ha mostrato il proprio impegno per i valori del Vecchio Continente».

«Speriamo che la Russia lavori assieme a noi», dice adesso Barroso: dopo tante provocazioni, fatti compiuti unilaterali, senza mai non dico consultare, ma avvertire Mosca , ecco Barroso: non si sa se lo possieda più la malafede, oppure l’idiozia.

Ed oggi, il Fondo Monetario Internazionale ripete che è prontissimo ad aiutare la nuova Ucraina a modo suo, purché si sottoponga alle dolorose misure di austerità, ricette di risanamento, svendita di beni pubblici, privatizzazioni, che già aveva proposto a Yanukovitch, onde rendere il Paese «competitivo sui mercati mondiali».

Tutto ciò mentre il Governo ad interim e il Parlamento ad interim, che obbedisce a quelli mascherati col kalashnikov, sta arrestando ex Ministri, sancendo il divieto della lingua russa, mentre nel Nord russofono a gente pesta le minoranze che cercano di scendere in piazza a in sostegno degli eurofili di Kiev, e Mosca estende la cittadinanza a tutti gli ucraini che abbiano un avo russo...

E a Kiev, la folla «vede troppe facce familiari rientrare nel Parlamento dopo al rivoluzione», ammette un inviato del New York Times. (Ukrainian Protesters See Too Many Familiar Faces in Parliament After Revolution)

La piazza ha fischiato la Timoshenko ben ricordando che questa non è meno corrotta di Yanukovitch. La piazza si stupisce e ruggisce: «Di nuovo vediamo arrivare queste Mercedes e BMW con dentro i deputati che si suppone ci rappresentino. Non li vogliamo più vedere»: il trasformismo fulmineo dei parlamentari voltagabbana li scandalizza e li disorienta. Si vede proprio che sono nuovi nella «democrazia». Dovevano chiedere a noi italiani, potevano informarli sulle solite facce che ci vediamo sopra da 50 anni, Amato, Napolitano, Prodi, e che il voltagabbanismo, della democrazia, è il corollario, come la corruzione (del resto, Yanukjovitch è un prodotto della democrazia, l’hanno votato). Vorrebbero mandare al Governo, senza mediazioni, gli «eroi di piazza Maidan», cosa non poi tanto facile (ma è l’utopia della Rete alla Grillo che ben conosciamo), urlano che il Parlamento deve aumentare le pensioni, trovar lavoro ai disoccupati, riaprire gli ospedali privatizzati, che la «politica» risolva i problemi di tutti e di ciascuno, e intanto ecco le immagini del Cristo cattolico usate come segnale di identità: non è una «rivoluzione» ma un forum del web, pieno di trolls, provocatori, agenti stranieri e tizi che brandiscono il kalashnikov e sull’orlo del precipizio, della disperazione e della fame.

Ma da Londra, i circoli globalisti guardano a tutto ciò con euforia: anche una guerra civile tipo Siria non deve spaventare, perché – scrive sull’Independent Andrew Wilson, docente di studi ucraini all’University College de Londres e autore di un libro esaltante la Ukraine’s Orange Revolution, l’avvento della democrazia in Ucraina susciterà una «evoluzione democratica» in Russia, un «effetto domino» che sarà la rovina per Putin... (Why a new Ukraine is the Kremlin's worst nightmare)

Dunque il senso di tutte l’ingerenza, la provocazione e le promesse vane, è sempre quello: rovesciare Putin, umiliare la Russia, farle male... È l’avventurismo totale, unito al trotzkismo nichilistico della rivoluzione (democratica) permanente che ossessiona i neocon americani, in una mescola delirante; e tutto sulla pelle degli ucraini, pedine e stracci del «grande gioco» britannico.

Un lettore che abita a Varsavia mi cita un passo di Roman Dmowski. Padre del realismo politico polacco e fautore di un orientamento geopolitico filorusso, nel 1931 scrisse parole profetiche «... non esiste forza umana capace di impedire che un’Ucraina staccata dalla Russia, e trasformata in Stato indipendente, diventi un assembramento di affaristi da tutto il mondo, banditi e organizzatori di ogni sorta di prostituzione [...]. L’Ucraina diverrebbe un ascesso nel cuore dell’Europa, il cui vicinato sarebbe per noi polacchi funesto. Per una nazione come la nostra è meglio avere come vicino uno Stato potente, persino ostile, che un bordello internazionale. Quelli che sognano la creazione di una nazione ucraina culturale, sana e forte, che si sviluppi in un proprio complesso statale, si convincerebbero ben presto di avere, invece del proprio Stato, un mercato internazionale, e invece di un sano sviluppo, un rapido avanzamento della dissoluzione e della corruzione».

Quando si dice una profezia azzeccata. E anche noi italiani avremmo da meditare: se l’Ucraina non è mai stata veramente indipendente, mai unita e unitaria, sempre sotto qualche dominio, influenza o soggezione straniera, c’è qualche profondo motivo. L’incapacità di quel popolo all’autogoverno ce lo fa, tristemente, vicino. E le piazza Maidan, come le piazzali Loreto, non bastano a costruire un popolo.

Morire per Kiev?

Ora, la convinzione occidentalista di essere impeccabile, di non aver sbagliato mai nulla, la sua offensiva contro Mosca che non vuol riconoscere come tale, forse costringerà Putin – per farsi prendere sul serio – a mobilitare non battaglioni ma reparti e divisioni, richiamare forze più decisive, prendere decisioni militari; a cui risponderanno le decisioni militari in crescendo dell’unica superpotenza rimasta: si entra in quel genere di corridoio senza uscite laterali, che già nel 1914 portò l’Europa dritta nel carnaio della grande guerra, ed ancor oggi gli storici se ne chiedono perché fu inevitabile.





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