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Il Califfo: un altro pretesto per «vendere» l’attacco USA contro la Siria
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La raccapricciante decapitazione del giornalista James Foley? Ormai sonanti e così autorevoli le voci che sospettano il video sia un falso, che mi limito a indicarne i punti:

Qualità HD (alta definizione) delle immagini. Telecamere: ne sono state usate due, montate su treppiede; il video ha subìto un montaggio. Microfoni: in miniatura, del tipo che nei talk show vengono applicati alle cravatte dei partecipanti; nel video, ne sono stati dotati sia il carnefice, sia la vittima. Così, si odono molto bene le loro parole. Nemmeno disturbate dal vento che soffia (ci sono microfoni con riduttori dei suoni atmosferici, i radio-reporter li usano appunto per riprese nel deserto)

Il jihadista, quello con l’accento britannico, secondo i russi ha l’accento del New Jersey. Le sue scarpe sono quelle in dotazione alle truppe USA. Anche la bandoliera di ottimo cuoio grasso sembra mai usata, non è per nulla logorata, appena uscita da un ricco magazzino militare.

La tuta arancio di Foley, nuovissima, sarà prestata dal magazzino della prigione di Guantanamo. Due anni prigioniero in mano ai suoi aguzzini, Foley sembra in buona salute, né spaventato né sfinito, anzi nemmeno dimagrito. Sa di dover morire orribilmente il minuto dopo, eppure non suda né si accascia, parla con fermezza ed eccezionale dignità (an America Hero, ovviamente).

Lo sgozzamento: il video integrale è stato subito ritirato da YouTube – troppo, troppo brutto. Sicché non siamo riusciti a vederlo. Come e se è avvenuta davvero la decapitazione, non sappiamo. A Foley avranno tolto il microfonino da cravatta prima di decapitarlo?

Il discorso del boia jihadista è destinato al pubblico occidentale: niente urla coraniche, nemmeno un Allahu Akbar come fanno questi quando sgozzano qualcuno, tutte le parole sono in inglese, nessuna in arabo. In brevi ma eloquenti parole, il britannico o del New Jersey presenta lo Stato Islamico come un esercito possente, che ha attorno a sé l’adesione delle masse musulmane di tutto il mondo: «Voi non combattete più un’insurrezione – dice – siamo un’armata islamica e uno Stato che è accettato da un gran numero di musulmani nel mondo». È esattamente quel che ha già proclamato il Pentagono (il Ministro Chuck Hagel e il Generale Martin Dempsey al suo fianco): l’IS mica è fatto di scalzacani, sono dei professionisti benissimo addestrati (da chi?), super-armati (da chi?), hanno le tasche piene di dollari e non solo ammazzano i bei giornalisti americani che sembrano attori di Hollywood, ma i cristiani; anzi, che dico, sono già entrati negli Stati Uniti, attraverso la frontiera del Messico. «ISIS threatens America!», è il titolone con cui Fox News tratta il tema: «L’ISIS minaccia l’America!».



Conclusione: «Per fermare l’ISIS è cruciale bombardare la Siria», come ha detto il Generale Martin Dempsey in conferenza stampa a fianco di Hagel.

Bombardare la Siria: che combinazione. È proprio quello che volevano fare gli americani, francesi e britannici più di un anno fa, con la scusa che Assad aveva massacrato la sua stessa popolazione coi gas, e che poi non riuscirono a mettere a segno perché Assad (su consigli di Mosca) li prese in contropiede mostrandosi pronto a consegnare la sue cosiddette «armi di distruzione di massa». Quella volta, le democrazie occidentali volevano aiutare gli islamisti, che loro armavano addestravano e pagavano, a rovesciare Assad. Adesso, lo vogliono fare per fermare i medesimi islamisti; li stanno bombardando un pochino i Iraq, ma è inutile: se non li si bombarda anche in Siria (soprattutto in Siria) è impossibile vincerli.

E questo è uno scopo per cui si è dovuto inventare, pagare, armare l’ISIS: scopo felicemente raggiunto. Anche se il Governo di Assad ha diffidato gli USA di bombardare il suo suolo; non ha bisogno di essere aiutato a liberarsi dai terroristi islamici con l’accento del New Jersey (o britannico). Tuttavia la Casa Bianca non se ne dà per inteso: si ritiene in diritto di bombardare anche senza il consenso dello Stato che «aiuta». Pensate solo se lo facesse Vladimir Putin.

L’altro scopo raggiunto è che, ora, gli europei si stringono ancor più attorno agli USA e sotto il suo ombrello: i tagliagole sono fra noi! Arrivano anche dalla Libia! Bisogna armare i kurdi! (gli eroici peshmerga, così poi avranno il loro Stato smembrando l’Iraq – come da progetto Kivunim), bisogna salvare i cristiani! Gli yazidi! Anzi, se gli USA comandano, anche noi manderemo inostri soldatini in guerra in Iraq, in Siria, dovunque: è la guerra di civiltà, è la necessaria ultima crociata... Alcuni siti cattolici sono cascati, ancora una volta, nel tranello. Hanno creduto agli snuff-movies che il califfo armato dagli USA ci ha propinato. Ecco un esempio: un attacco acuto di islamofobia giudaica:

«Mentre l’odore dei cadaveri di uomini, donne e bambini sale ormai al cielo gridando vendetta al cospetto di Dio, nel deserto di Ninive decine di migliaia di cristiani sono perseguitati da integralisti islamici [qui, qui, qui, qui, ecc..] che hanno tradotto in violenza e morte il verbo del falso profeta Maometto...».

Meno male che nello stesso blog Marcello Foa, giornalista de Il Giornale, ha corretto:

«...Salvo pochi analisti davvero coraggiosi e indipendenti, nessuno racconta com’è nato l’Isis, chi l’ha voluto, chi l’ha finanziato. La risposta è sorprendente: sono gli stessi americani d’intesa con alcuni tra cui Paesi del Golfo, gli israeliani e i britannici. Già, perché l’Isis rappresenta l’evoluzione di quelle bande armate – composte da fanatici e da criminali – che gli Usa assieme agli alleati hanno appoggiato e armato nel tentativo di rovesciare il regime siriano di Assad, come noto da tempo da più fonti e che sarebbe stato confermato recentemente, tra gli altri, da Snowden, svelando documenti ufficiali dell’agenzia americana National Security Agency. In internet girano foto di John McCain che nel febbraio 2011 incontra i cosiddetti ribelli siriani – tra cui anche gli attuali leader dell’Isis – definendoli dei «moderati». Sono quei «moderati» che – preso atto dell’impossibilità di rovesciare Assad – si sono staccati dalla Siria e hanno iniziato a invadere l’Iraq, mettendo facilmente in difficoltà il governo di Bagdad e alle strette i curdi ovvero altri amici ed alleati degli americani».

Sarà appena il caso di ricordare anche che i media ci fecero raggricciare mostrando le fosse comuni coi massacrati da Gheddafi, per poi scoprire che era un cimitero, ma servì ottimamente a farci appoggiare l’intervento umanitario anglo-francese che ha fatto della Libia un caos di sangue? Troppe delle notizie, troppi video raccapriccianti emanati dalla casa di produzione Califfo & Co. andrebbero meglio soppesati. Certo quelli stanno facendo anche stragi, ma con armi americane, e contro chi? Contro gli sciiti iracheni e siriani, essenzialmente. A Mossul, hanno compiuto 1700 esecuzioni dopo aver occupato la città. Il loro nemico era il Governo di Al Maliki – guarda caso, inviso anche agli americani. Fanno esattamente il lavoro raccomandato da Israele ed Usa.

Stavolta, Washington non ha avuto difficoltà a farsi legittimare l’intervento dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La Risoluzione n.2170 condanna chiunque aiuti ed armi IS e Al-Nusra... Al che un importante politico iracheno, Ibrahim Al-Jafaari (è stato primo ministro del governo provvisorio 2005-2006), ha esclamato: «Vorrei chiedere al Consiglio di Sicurezza: chi compra il petrolio siriano all’ISIS, e come arriva in Europa?».

Bella domanda: il Califfo e i suoi super-addestrati sgozzatori, avendo messo le mani su pozzi petroliferi i Siria e in Iraq, riescono a venderli sui mercati internazionali. Ciò dà loro la disponibilità, sostiene al Jafaari, di «tre milioni di dollari al giorno». Come mai un gruppo terrorista – e finalmente riconosciuto terrorista anche dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, proprio come sostiene dall’inizio il regime di Assad che ne è aggredito – riesce a vendere liberamente il petrolio rubato?

«La Turchia è il solo Paese – dice Al-Jafaari – per cui transita il petrolio rubato a Siria e Iraq per essere venduto in Europa. Perché non prendere provvedimenti radicali contro la Turchia, membro della Nato, per far cessare questo traffico?».

Effettivamente, in forza della Risoluzione 2170, alla Turchia dovrebbe essere impedito con la forza di intrattenere i rapporti con i terroristi, terroristi come tali riconosciuti dall’ONU. «La Turchia non è forse il principale punto di passaggio per i terroristi dell’ISIS verso la Siria e l’Iraq? Perché non vietare loro i porti e gli aeroporti?».

«E perché Abu Bakr al-Baghdadi e i suoi 12 collaboratori non figurano nella lista del terrorismo internazionale? Perché non si sono bloccati i loro averi? Perché non sono deferiti alla Corte penale internazionale? Perché quella decisione avrebbe potuto essere compromettente per gli alti esponenti Usa fotografati in compagnia di Al Baghdadi?». Allusione alle famose foto dell’altro ieri in cui il senatore McCain, giunto in Siria a felicitarsi coi guerriglieri, viene ascoltato con deferenza dal futuro califfo (1)...



E ancora: «Chi fornisce a IS le carte dettagliate dei territori siriani e iracheni? Chi indica ad IS i punti forti delle strutture difensive da evitare e i punti deboli da infiltrare in entrambi i Paesi? Chi pianifica le invasioni di IS in funzione di queste informazioni? Chi, se non forze che possiedono satelliti puntati sulla regione, le agenzie d’intelligence di Usa e NATO?».

Ah, saperlo...




1) Thierry Meyssan: «Ho potuto consultare un rapporti dei servizi di informazione estera. Vi si poteva leggere che la NATO ha organizzato al Cairo, il 4 febbraio 2011, una riunione per lanciare la «primavera araba» i Libia e in Siria. Secondo tale documento, la riunione era presieduta da John McCain. Il rapporto forniva la lista dei partecipanti libici, la cui delegazione era guidata da Mahmud Jibril, numero 2 del regime (di Gheddafi) che aveva bruscamente cambiato campo per divenire il capo dell’opposizione in esilio. Mi ricordo che fra i delegati francesi presenti, il rapporto citava Bernard Henry Lévy (...) Il 16 febbraio 2011, una manifestazione esplose a Bengasi (...) dopo tre giorni di combattimenti e di atrocità, dei rivoltosi lanciarono la sollevazione della Cirenaica contro la Tripolitania, un attacco terrorista che la stampa occidentale presentò come una ‘rivoluzione democratica’ contro il regime di Muamar Gheddafi. (...) Il 22 febbraio, McCain era in Libano. Vi incontrò membri del partito Corrente del Futuro (il partito di Hariri) che incaricò della supervisione del trasferimento di armi in Siria (...) Poi, lasciata Beirut, ispezionò la frontiera siriana e scelse i villaggi, specialmente Ersal, che dovevano servire come basi arretrate per i mercenari nella futura guerra (...) Nel maggio 2013, McCain entrò illegalmente presso Idleb in Siria, via Turchia, per incontrarvi i leader della opposizione armata. Il suo viaggio non fu reso pubblico che dopo il suo ritorno a Washington. Questa penetrazione era stata organizzata dalla Syrian Emergency Task Force che, contrariamente al suo nome, è un’organizzazione sionista diretta da un impiegato palestinese dell’AIPAC (...). Un mese prima di ricevere il senatore McCain, Ibrahim al-Badri, col nome di battaglia di Abou Bakr Al-Baghdadi, creò lo Stato Islamico in Irak e Levante, pur continuando ad appartenere allo stato maggiore della «moderata» Armata Siriana Libera. Egli rivendicò l’attacco alle prigioni di Taj e Abu Ghraib in Iraq, da cui fece evadere tra 500 e mille jihadisti che si sono uniti alla sua organizzazione. Questo attacco era coordinato con altre operazioni quasi simultanee in otto altri paesi. Ogni volta, i jihadisti evasi si univano ad organizzazioni combattenti in Siria. Questo affare fu tanto strano, che l’Interpol diramò una nota e chiese l’assistenza dei 190 paesi membri».



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