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Il Sabato: istruzioni per l’uso
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Talmud /9
Le minuziose regole su quel che è permesso fare o non fare il Sabato (quando non si deve «lavorare») occupano nel Talmud immensi ed intricati labirinti, in cui la mente si perde. Si può cercare di facilitarsi il compito consultanto il Schuhlan Aruch, il digesto ordinato (e abbreviato) delle leggi ebraiche, compilato dal celebre talmudista Yosef Karo nel 1563, e pubblicato a Venezia due anni dopo: il tema del Sabato occupa anche lì oltre 80 pagine.

Sono infatti 39 le azioni proibite o melakhah: arare, seminare, fare il raccolto, legare i covoni, trebbiare, separare la pula, selezionare, macinare, setacciare, impastare, infornare, tosare, lavare la lana, battere la lana, apprettare, filare, tessere, fare due nodi (uno si può), tessere due fili, separare due fili, legare, slegare, cucire, strappare, mettere finimenti, macellare, scuoiare, colorare (il pellame), raschiare il cuoio, segnare il pellame, tagliare il pellame, scrivere due o più lettere dell’alfabeto, cancellare due lettere, edificare, demolire, spegnere un fuoco, accendere un fuoco, dare la finitura a un oggetto, portare un oggetto da una spazio privato a uno spazio pubblico, o per oltre quattro cubiti nello spazio pubblico.

Ma da questi 39 atti vietati il sabato ne derivano numerosi altri per estensione. Per esempio «separare la pula» e «selezionare» comprende ogni azione intesa a separare le sostanze commestibili dalle incommestibili. Filtrare acqua per renderla potabile, oppure togliere le spine dal pesce che si sta mangiando, ricadono in queste proibizioni. Accendere o spegnere un interruttore è «accendere un fuoco», quindi vietato: è una delle proibizioni più seguite nell’odierno Israele (non è vietato però accendere i motori dei caccia bombardieri per lanciare bombe al fosforo su Gaza: l’Operazione Piombo Fuso fu scatenata di Sabato); generalmente la tecnologia moderna risolve il problema con dei timer che accendono le luci al tramonto di venerdì e le spengono la notte dopo, senza intervento umano. Similmente, gli ascensori sono fatti funzionare in modo che si fermino ad ogni piano il Sabato, esimendo il pio giudeo dal «lavoro» di premere un pulsante. Avviare un’auto è vietato, ovviamente, rientrando nell’azione di «accendere un fuoco».

Perciò gli ebrei che possono permetterselo assoldano uno «shabbos goy», un servo goy, per fare i lavori che al giudeo sono vietati il Sabato: tradizionalmente, lo shabbos goy accendeva le stufe nelle case ebraiche. Oggi si usano dei palestinesi, impuri sub-umani che però settimanalmente diventano utili.

Vi sono eccezioni: cose vietate diventano meno severamente vietate, insomma fattibili, purchè l’azione vietata venga fatta in una maniera che sarebbe considerata anormale nei giorni feriali. Esempio: per alcuni rabbini, si può scrivere, purchè si usi la mano non-dominante. Per esempio si può scrivere con la sinistra se non si è mancini. Se si è mancini, ci si sforzi di scrivere con la destra.

Non si schiacciano pidocchi

Il Sabato, ordina il trattato Shabbath 19 a, «non si devono frugare i propri abiti alla ricerca di pidocchi o cimici»... ma alcuni rabbini «hanno insegnato: se uno fruga i suoi vestiti (il Sabato), può gettarlo via (il pidocchio), ma non ucciderlo». Però «Rabbah li uccideva, e rabbi Sheshet li uccideva. Raba li gettava in un catino d’acqua». Rabbi Nahman diceva alle figlie: «Ammazzateli e fatemi sentire lo scricchiolio di quegli odiosi». Sicchè l’importante questione resta indecisa.

La porta di casa

Una ancor più importante questione è diffusamente discussa: come trattare, il Sabato, la porta di casa? Come si ricorderà, una dele azioni vietate o melakah è «portare un oggetto dallo spazio privato allo spazio pubblico», e in generale portare l’oggetto da una categoria di proprietà ad un’altra. Ora, la porta di casa vostra è – talmudicamente – «nè pubblica nè privata»: la parte che dà sul marciapiede è pubblica, sul lato che guarda l’interno della casa è privato. Sicchè se il pio ebreo, di Sabato, inserisce la chiave nella serratura e spalanca la porta per entrare in casa, inevitabilmente porta l’oggetto dalla parte «nè pubblica nè privata» alla zona privata dentro casa. Sacrilegio! È uno dei casi in cui l’uso di uno Shabbos Goy è caldamente consigliato: lui può dissacrare il Sabato. Altrimenti il pio ebreo resterebbe fuori all’addiaccio.

Atti sessuali sono lavoro


Molte lunghe pagine del trattato Ketuboth sono dedicate a discutere il seguente tema: si può sverginare la mogliettina, di Sabato? «È vietato fare un’apertura il Sabato», è la regola generale. Ma ci sono diverse interessanti eccezioni. «L’atto è compiuto per vedere se ella è vergine?», è una domanda che viene discussa parecchio. Infine, ancor più estesamente è la questione del sanguinamento della signora kosher: perchè può passare come l’intenzione, da parte del marito, di «ferire la donna», e provocare una ferita non è mai un «lavoro», dunque il Sabato si può.
Cominciamo a capire come mai i pii coloni pestino e sparino ai palestinesi anche nel sacro giorno.


Se il maritino è in ansia, ritenendo il coito un dovere (mitzvah) da compiere, può farlo il Sabato.


Il Ketuboth 6b tratta lo spinoso caso in cui la moglie, benchè vergine, non sanguini nel rapporto. En passant, i rabbini – per associazione di idee – decidono il caso dell’incidere un ascesso il Sabato: è vietatissimo. Ma «se per far uscire il pus» (e perchè sennò tagliare un ascesso?), allora si è esenti da colpa.


Il Ketuboth 10 b narra di «uno che andò dal rabban Gamaliele figlio del Rabbi e disse: Maestro, ho avuto un rapporto (con la mia sposa) e non ho trovato sangue. Lei disse: Maestro, io sono ancora vergine. Allora egli disse: portatemi due serve, una che è vergine e una che ha avuto un rapporto con l’uomo. Gli portarono (le due donne) ed egli le pose su una botte di vino. In quella che non era più vergine l’odore del vino passò (si sentì dalla bocca della donna, dal fiato, ndr), nella vergine l’odore non passò. Egli poi pose quella (ossia la giovane moglie) sul barile di vino, e l’odore non passò. Gamaliele disse dunque al marito: sii contento ...!».


Se si è ebrei, è normale estasiarsi davanti a storie come queste, in cui vedono la prova della eccezionale sottigliezza talmudica, e lodare la raffinatissima intelligenza del Rabban Gamaliele. Un goy, essendo un bruto, stupirà delle strane conoscenze anatomiche dei Savi Anziani di Sion – convinti che una donna non vergine ha un’apertura da «laggiù» fino alla bocca, un budello da cui passa l’odore del vino – le considererà demenziali, lussuriose asinerie.

Un’altra prova delle precise e profondissime conoscenze anatomo-fisiologiche conservate nel Talmud, questo scrigno di tutte le scienze oltrechè di tutte le moralità, è nel Trattato Yebamoth 12b. Si parla della contraccezione permessa (inutile ricordare che la Bibbia la vieta in ogni caso, vedasi il peccato di Onan): possono usare un assorbente (pessario) per prevenire il concepimento, decretano i rabbini, «tre categorie di donne: una minorenne, una donna incinta e una donna allattante».

La donna incinta, «perchè può provocare la degenerazione del suo feto in un sandal», e un sandal è, spiega la nota, «un pesce piatto». La donna allattante, perchè «potrebbe dover svezzare il suo bambino prematuramente, causando la sua morte», per il secondo concepimento che potrebbe aver luogo: i rabbini non sanno che una donna durante l’allattamento è sterile, e un secondo concepimento non può avvenire – fatto noto anche ai bantu.

Ma la grande discussione rabbinica sorge sulla donna minorenne. Fino a che età una donna è minorenne? Quando dunque può adottare la contraccezione, perchè altrimenti «il concepimento potrebbe avere conseguenze mortali»?

Decretano i rabbini: «Dall’età di undici anni e un giorno fino all’età di 12 anni e un giorno», perchè al disotto di quell’età il concepimeno non avviene, e al disopra il concepimento avviene senza rischi, essendo la dodicenne- e-un-giorno donna ormai matura. Rabbi Giuda però è di diverso parere: «Una ragazza può esercitare il diritto al rifiuto (all’atto maritale) finchè il nero non predomini».

Due note spiegano il criptico decreto: «Il nero» allude al pelo pubico. E che debba «predominare», significa che per il suddetto rabbi «la comparsa di due peli pubici che i Rabbi considerano un marchio definito di pubertà non è vista come prova conclusiva».


L’equazione «Due peli pubici eguale pubertà» è ripetutamente sancita e confermata nel Ketuboth 36 a, in Baba Bathra 156 a, Nel Niddah 52 a. Ci limitiamo a riportare l’inizio della Mishnah di quest’ultimo trattato:

«Se ad una ragazza sono cresciuti due peli nel pube, ella può fare halizah o contrarre matrimonio di levirato (1), ed è sotto obbligo di adempiere a tutti i comandamenti enumerati nella Torah.
Similmente un ragazzo, se ha già due peli pubici, è sotto obbligo di adempiere a tutti i comandamenti nella Torah (...). Una ragazza a cui sono cresciuti due peli non può esercitare il diritto al Mi’un (rifiutarsi all’atto coniugale). ...».

«Allora che si esegua un esame del pube della ragazza», grida un rabbino ingolosito, proponendosi per l’esame (Yebamoth 13 a). Ma «c’è la possibilità che (i due peli) siano caduti», vuoi per focosi atti sessuali compiuti dalla dodicenne (più un giorno) o «per il travaglio del parto». E giù sottigliezze rabbiniche.

Ora, quando una ragazzina diventa donna? Non solo Ippocrate e Galeno, ma già il dottor Sinhue l’Egiziano che praticò la medicina nel 1800 avanti Cristo, potevano rispondere: quando ha le prime mestruazioni. Ma i rabbini so-tutto devono contare i peli del pube della ragazzina medesima. Roba da idioti oscurantisti. O da viscidi porcelloni.

(Continua)

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1) Si tratta dell’obbligo per i fratelli di sposare la moglie di un uomo morto senza figli. La halizah è il rituale con cui la vedova accetta di sposare il fratello del defunto.


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