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La filosofia dell’Occidente: dall’aristotelismo al cretinismo
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Giorni fa un comico americano, John Stewart, metteva a confronto due affermazioni fatte da Bush nello stesso giorno:
1) «Abbiamo fatto bene ad invadere l’Iraq, perché ciò ha indebolito il terrorismo».
2) «Facciamo bene a tenere le truppe in Iraq, perché il terrorismo là è più forte che mai. Se non li teniamo a bada là, vengono ad aggredirci qua, come fecero l’11 settembre».
Stewart, con finta apprensione, domandava: «Come possono coesistere queste due frasi? Ho il cervello in fiamme».
E chiedeva lumi ad un illuminato, vagamente, orientale, indù, e guru di nome Mandvi.
Il quale - come certi giornalisti neocon - vede in Bush un bodhisattva, e risponde serafico: «Ciò che per te sono contraddizioni, per il presidente sono i due lati della stessa realtà».
La scenetta è più seria di quanto sembra.
La nuova cultura occidentale egemone ha messo in soffitta l’aristotelico principio di non contraddizione, che per millenni ha retto la cultura occidentale precedente.
Lo si constata in tutto.
I poteri forti che hanno voluto imporci la globalizzazione dell’economia senza dazi né confini, ci promettevano che - fra gli altri benefici - la globalizzazione avrebbe reso impossibili le guerre.
Ciò perché, essendo ogni Paese dipendente da tutti gli altri per le importazioni e le esportazioni, l’interdipendenza avrebbe fatto sì che se un Paese avesse dichiarato guerra ad un altro, sarebbe venuto a mancare di materie prime o beni forniti da quel Paese.

Ciò che vediamo è l’esatto contrario: l’Occidente è in guerra in Afghanistan da sei anni, in Iraq da quattro, e minaccia guerra all’Iran.
Il Libano è stato devastato da una guerra-lampo.
I palestinesi disarmati vengono massacrati con armi da guerra strapotenti.
Ci sono guerre in Darfur, in Somalia, in Etiopia.
Stato di guerra in varie zone dell’Asia centrale.
C’è una corsa mondiale agli armamenti che sta succhiando risorse immense, molte volte maggiori del grande riarmo che avvenne negli anni ‘30, prima della seconda guerra mondiale.
Mai viste tante  guerre e conflitti da quando è in vigore il libero commercio mondiale, che doveva renderle impossibili e per nulla convenienti.
La globalizzazione, ci hanno detto, avrebbe aumentato il benessere generale dei sei miliardi di uomini perché la concorrenza a livello mondiale avrebbe prodotto  un cale generale dei prezzi,  avrebbe reso «più efficiente» l’economia.
Il risultato è sotto i nostri occhi: impoverimento ad occidente, sfruttamento ad oriente, rincari generalizzati.
In più, frodi finanziarie enormi (Enron, Parlamat, bond argentini) che non sarebbero state possibili senza la globalizzazione, e che - lungi  dal rendere più efficiente l’economia - hanno rappresentato distruzioni insensate di capitali e di ricchezza reale.
Ma con ciò, resta vietato (ed opera di marginali) criticare la globalizzazione: se la realtà soffoca sotto il sistema di commercio mondiale, tanto peggio per la realtà.
La teoria è giusta, è la realtà ad essere sbagliata.
E l’Unione Europea?

Come un robot cieco ad ogni argomento, ha inglobato decine di paesi dell’Est, senza un almeno esame previo sui sentimenti europeisti di questi Paesi.
Sicchè oggi la Polonia s’impegna a continuare in Europa il conflitto che la oppose alla Germania nel 1939, e i lettoni e lituani si prendono le loro rivincite su Mosca, come fosse ancora la capitale sovietica che li invase, e trascinano tutti noi nelle loro beghe pericolose e anti-storiche.
Abbiamo dati ai rumeni la carta d’identità europea: senza un minimo pensiero che tra i rumeni ci sono ben due milioni di zingari, del tipo più famelico e disonesto, che stanno sciamando allegramente - ormai non più extracomuniutari - nella ricca Europa dell’ovest dedicandosi a traffici di bambini, spaccio, furti in villa con la lena di stakanovisti elettrizzati da sistemi penali e giudiziari super-garantisti,c he li difendono anziché punirli.
E tutto ciò è passato senza una minima seria discussione pubblica.
Si può essere più cretini?
E vogliono metterci a carico anche la Turchia…
Sulla scienza occidentale - o ciò che passa sotto questo nome - si possono fare considerazioni analoghe.
Mai come oggi la scienza vive di miti irrazionalisti.
Un esempio è l’evoluzionismo, che continua ad evolvere per sfuggire alle smentite inflittegli dalla paleontologia e della biologia molecolare, e viene creduto come un dogma di cui un giorno, i nostri posteri tornati aristotelici, rideranno.
Ma sarebbe troppo lungo approfondire qui l’argomento.
E il «riscaldamento globale»?
Che dire di questo mito, l’incubo preferito dai media?
La tesi vincente è che a provocare il riscaldamento globale non sono fatti naturali e astronomici, bensì l’industrializzazione umana.
Facciamo per un attimo tacere le due opposte tesi, e domandiamoci: anche se fosse vera la seconda (causa umana del problema) pensiamo davvero che ci si possa fare qualcosa?
Siamo pronti come umanità a rinunciare ai trasporti, al riscaldamento, alla catena del freddo, e tornare ai cavalli e agli asini?

Cito a caso alcune delle ultime proposte che ho trovato seriamente esposte sui media:
1) la ministra Turco consiglia di togliersi la cravatta in ufficio, così da risparmiare sull’aria condizionata.
2) La Monsanto propone di modificare geneticamente il mangime animale, onde ridurre le flatulenze (buccali ed anali) delle mucche e dei ruminanti in genere, considerate una della grandi cause dell’effetto-serra.
3) Famosi ecologisti invitano ad usare la bicicletta e a non fare il bagno né a cambiarsi le mutande. 4) Ditte specializzate propongono l’installazione di mulini a otto pale, del tipo olandese, a quanto pare più efficienti delle fantascientifiche turbine a vento che bruttano il paesaggio.
5) Interi governi puntano sul «bio-carburante», da ricavare con distillazioni (consumatrici di energia petrolifera) da cereali, granturchi, soya.
Naturalmente, tutti  poi sono massicciamente contro il nucleare come fonte d’energia.
Per via delle scorie e dei pericoli di fughe radioattive (avete visto la centrale giapponese…). L’argomento può apparire razionale.
A patto che si dimentichi che da anni, in Iraq e in Afghanistan, e prima ancora in Kossovo, le armate americane hanno sparso milioni di quintali di uranio impoverito, che ci sta già tutti avvelenando, che si accumula nelle ossa e provoca malformazioni genetiche in tragico aumento. Questo piccolo dettaglio è infatti volonterosamente dimenticato da tutti i media, rispettosi dei proiettili made in USA più che del principio di non-contraddizione.
Lasciamo perdere il resto.
Come l’abuso di antibiotici (la grande scoperta medica del secolo scorso) che ha portato all’emergere di batteri resistenti e invincibili: un pericolo mortale, che ci riporta all’epoca delle grandi epidemie.
E che la scienza non sa come affrontare, se non adottando dosi sempre più forti di vari antibiotici scelti fra i più letali, che porteranno ineluttabilmente alla nascita di super-batteri ancora più spaventosi.
Dov’è finito il pensiero scientifico occidentale?

La cosa ricorda la storiella del meccanico negro (storiella sudafricana) che cerca di aggiustare un’auto battendo martellate sul motore.
Siccome l’auto non si avvia, dice: «Ci vuole un martello più grosso».
In qualche modo, i sofisticatissimi genetisti che studiano e brevettano il DNA, e presumono di «mappare il genoma umano», sono esattamente quel negro: infatti hanno gettato via la maggior percentuale di Dna (il DNA silente) catalogandola «spazzatura evolutiva».
Mai l’Occidente è stato peggio informato che nei nostri decenni di massima espansione delle «comunicazioni»: tali comunicazioni sono al 90% pubblicità, propaganda, consigli per gli acquisti,  gossip su Paris Hilton.
I TG vendono il pubblico (ossia noi) ai pubblicitari; i giornali economici ci vendono agli speculatori e alle loro truffe (di cui garantiscono la solida rispettabilità).
Tutta la cosiddetta «informazione» è fornita allo scopo generale di ingannare, addormentare, cullare in illusioni  o spaventare con falsi allarmi (secondo convenga ai poteri e alle lobby) il pubblico «informato».
E la democrazia, corona del pensiero politico occidentale, dopo la quale - ci era stato detto - «la storia è finita» avendo raggiunto il suo culmine?
Nessuna monarchia né dittatura ha mai tassato il popolo quanto la vigente democrazia.
Nessuna forma di governo autoritario o monarchico è mai stata tanto prona alle lobby, a danno degli amministrati sudditi.
Mai siamo così schiavi (del fisco, dei politici, delle burocrazie) come da quando siamo cittadini sovrani.
Mai nessuna corte di Versilles è stata così ricca come la corte di Mastella o di Napolitano.
La democrazia che doveva mettere il potere nelle mani del popolo sovrano, ha messo al servizio del popolo il potere burocratico e istituzionale, parassitario.

I cittadini liberi vengono di fatto trattati come schiavi: viene loro sottratto il 60% di ciò che guadagnano col sudore della fronte, vengono tartassati e angariati, sospettati e controllati in ogni modo.
Non è un caso che il trionfo della democrazia coincida in Europa con il più tragico calo demografico mai visto nella storia: anche gli schiavi a Roma non facevano figli.
Anche le leonesse in gabbia negli zoo.
La denatalità è una conseguenza diretta della cattività.
E ci chiamiamo «liberi».
Liberi di votare un deputato che ha cambiato sesso e non si presenta nemmeno col suo nome, ma con quello di prostituto: Luxuria.
La lussuria ha rappresentanza politica, i disoccupati e tartassati  no.
Chi ammette che la democrazia è un po’in crisi, avanza una proposta che ritiene un toccasana: estendere il diritto di voto ai sedicenni (così un certo Alessandro Rosina sul sito «LaVoce.info», dell’economista di regime Tito Boeri).
Il ragionamento (diciamo così) di Rosina è: in Italia i vecchi sono la maggioranza, e dunque impongono scelte a loro favore, a scapito dei giovani.
Facciamo votare i sedicenni, e questi imporranno le necessarie «riforme sulle pensioni»… i sedicenni nostrani: psichicamente infantili, irresponsabili, demenziali fornicatori da internet e da telefonino.
Immaturi da discoteca, presuntuosi guidatori di auto di papà che si spiaccicano contro gli alberi ogni sabato sera.
Le vittime più indifese della pubblicità e dei persuasori occulti.
Ignoranti e semi-analfabeti.


Privi di ogni senso del futuro: questi dovrebbero, grazie al diritto di voto, tramutarsi per incanto in pensosi cittadini capaci di valutare il loro interesse, come classe, nella riforma di pensioni a cui non sono nemmeno in grado di pensare - come anche il sottoscritto, a 16 anni, non ci pensava affatto.
Ciò che viene presentato come l’estensione e il risanamento della democrazia è invece proprio la sua banalizzazione e ridicolizzazione finale.
La cittadinanza (e dunque il voto) dovrebbero al contrario essere sempre più riservati ai degni - come un grande onore - e ai responsabili, per esempio a chi lavora, a chi ha più lauree, a chi ha più di un figlio, a chi ha un’impresa con lavoratori alle sue dipendenze e dunque è più interessato alla stabilità e al futuro.
Ma non se ne può parlare: si viene accusati di passatismo.
Rosina di Tito Boeri liquida le obiezioni sul voto ai sedicenni come «non convincenti», senza discussione.
Presume che i giovani siano maturi esseri umani: un dogma dell’illuminismo ridotto ad absurdum, a cui dobbiamo per esempio la richiesta di legalizzare le droghe («Ciascuno è libero di disporre di sé come crede»), ma anche la lotta al fumo di sigaretta.
Dal razionalismo al cretinismo.
Fuga dal principio di non contraddizione.
Rifiuto della realtà in nome di teorie.
Ebbene: c’è un metodo in questa follia.
Il cretinismo onnipervadente non è casuale.
E’ il risultato della parabola del pensiero occidentale da Platone in giù.
Anzi è la filosofia del potere: la filosofia cretinista.
Come spiegarlo?

Ron Suskind, giornalista del Wall Street Journal, ha riferito di un suo colloquio con un alto personaggio della Casa Bianca (di cui non ha fatto il nome).
Di fronte alle sue obiezioni sul disastro della guerra in Iraq, l’importante anonimo personaggio gli ha risposto: «la gente come voi fa parte del gruppo dei ‘basati sulla realtà’ (reality-based community): voi credete che la soluzione emerga dal giudizioso studio della realtà discernibile. Ma il mondo non funziona più così. Oggi siamo un impero, e quindi con la nostra azione creiamo la nostra realtà. E mentre voi studiate questa nuova realtà, giudiziosamente come siete soliti fare, noi agiamo di nuovo, creando una nuova realtà. Noi siamo gli attori della storia, mentre voi siete condannati a studiare ciò che noi facciamo».
Ecco dunque la dottrina interna oggi dominante alla Casa Bianca: non ci serve studiare la realtà, perché abbiamo il potere di crearla.
Vi dice niente questa dottrina?
Potrebbe averla enunciata un neocon importante, ossia uno di quegli ebrei che oggi consigliano Bush, e che sono stati in passato trotzkisti.
Infatti, quella così espressa è la dottrina di Marx nel modo più brutale: «Basta interpretare il mondo, è tempo di cambiarlo!», proclamò il grande Karl con Engels.
Trozky ne ricavò la necessità della «rivoluzione permanente».
I marxisti si dedicarono a cambiare la realtà abolendo la proprietà dei mezzi di produzione.
Siccome la cosa non funzionò, instaurarono il Terrore, la dittatura del proletariato: tanto peggio per la realtà, la realtà è «nemica», bisogna piegarla a forza di Gulag.
Così sarebbe nato l’uomo nuovo, senza individualità né bisogni individuali, rotella perfetta che avrebbe preso il posto assegnatogli nella macchina ideologica, dalla infallibile teoria scientifica.
Se la realtà resisteva, tanto peggio per essa.
La realtà è sabotatrice per definizione.
Ora, però, anche Marx non dice queste cose di testa sua.
E’ uno degli eredi del più «grande» filosofo occidentale, il vero autore del rigetto del principio di «non contraddizione»: Hegel.
Hegel è il primo ad affermare che la verità è il prodotto del pensiero umano.
I greci, Aristotile e Platone e Socrate prima, affermavano il contrario esatto: la verità «è», oggettivamente.
C’è anche se nessuno la pensa.
Così per esempio, i tre angoli di un qualunque triangolo fanno la somma di 180 gradi, anche prima che gli esseri umani venissero ad esistenza e studiassero i triangolo scoprendone questa eccitatante proprietà.
Ecco perché i dialoghi di Platone sono pieni di entusiastiche considerazioni sulla geometria: perché vi vedevano la verità oggettiva, che traspariva, e che il pensiero doveva solo «scoprire», non «produrre».
Da parecchi secoli questo viene chiamato «realismo ingenuo».
La credenza che esista «la cosa in sé», la realtà fuori di noi, fu negata da principio da Kant: magari esiste, disse, ma è inconoscibile.
Tutto ciò che possiamo conoscere sono i nostri pensieri e le nostre percezioni (interiori) sulla «realtà».
Hegel fece il fatale passo ulteriore.

Essendo inconoscibile la cosa in sé, tanto vale eliminarla dall’orizzonte.
La sola realtà è il nostro pensiero, ancorchè sia un pensiero collettivo e sviluppantesi nella storia, fino alla conquista faticosa della piena auto-coscienza - ciò che chiamava (fatale imbroglio) lo Spirito.
E’ il pensiero che produce la verità, a forza di tesi-antitesi-sintesi.
Dunque, facile dedurne il corollario: l’uomo «crea» la realtà a suo arbitrio.
Basta che la teoria sia «scientifica», e la realtà si piegherà ad essa come molle creta.
Anzi, nemmeno bisogna poi tanto sprecarsi: con la forza armata della teoria infallibile, si può costringere la realtà a diventare come la vogliamo.
Sì, già sento l’obiezione degli «idealisti hegeliani» che ancora sono la grossa parte dei pensatori occidentali: ma davvero pensi che esista una realtà fuori dalle nostre percezioni?
L’argomento di Kant pare loro invincibile: ciò che «vediamo» non sono che certe reazioni elettrochimiche sul nostro nervo ottico; ciò che «tocchiamo» non sono altro che sensazioni tattili nervose, e che il nostro cervello «interpreta» ed elabora.
Tutto ciò che «avviene», avviene al nostro interno.
Non riesci a provare che esista la «cosa in sé» fuori di te.
Non mi farò trascinare in una discussione del genere.
Per un motivo preciso: non sono un filosofo.
Sono solo un povero giornalista.
Ma il fatto è che, come giornalista di una certa età, ho visto i risultati della filosofia hegeliana in tutte le sue incarnazioni e variazioni: invariabilmente, la convinzione che a produrre la realtà sia il pensiero ha portato a Gulag, campi di sterminio, oppressioni, genocidi inauditi.
E tutta una quantità di orribili menzogne sull’uomo e sul mondo, propaganda politica o commerciale, totalitarismo ideologico.
Da Marx fino a Bush, sempre lo stesso frutto.

Bush ha ri-legittimato la tortura, la guerra perpetua, l’incarcerazione senza processo dei bei tempi del KGB: è lo spirito hegeliano che progredisce.
Mai una volta che l’hegelismo abbia dato un frutto buono, favorevole alla vita umana.
E ci è stato detto: «Dai frutti li riconoscerete. Può un albero buono dare frutti cattivi?».
Per prudenza politica e umana, preferisco troncare l’impossibile sfida con Kant e dire: no, la realtà non si riduce al mio pensiero e alla produzione interiore.
E’ la normale prudenza a cui si attiene anche il più convinto idealista hegeliano quando attraversa la strada.
Quella BMW che è passata col rosso e mi sta piombando addosso a tutta velocità (guidata da un cocainomane albanese) è certamente una proiezione del mio «io».
Se mi colpisse, il dolore che sentirei sarebbe ancora una produzione del mio «io», una sensazione tutta chiusa in me, per quante fratture costali e femorali possa provocarmi.
Sicuramente è così.
L’hegelismo è scientifico e infallibile.
La «cosa in sé» non esiste.
Tuttavia, sarà meglio che mi scansi, finchè sono in tempo (ah, il problema del Tempo…!).
Insomma, ciò che propongo in via non filosofica, ma giornalisticamente provvisoria, è che restiamo «realisti ingenui», che ci comportiamo come ci dice la nostra esperienza vitale: che ci troviamo qui, gettati nella realtà come un naufrago fra le onde, e che stiamo dibattendoci per non affogare.
Perché per quanto ci sforziamo, la realtà (o la «circostanza», ciò che ci troviamo attorno) non scompare.
Non se ne va.
E’ li che ci urta come angolo del tavolo in cui pestiamo il ginocchio, come tegola fortuita che ci cade sul capo, come una cartella esattoriale di Visco.
Come BMW guidata da cocainomane ubriaco.
Tutta questa realtà, in larga misura sgradevole e spesso pericolosa, la sto forse «producendo» io? No, altrimenti la produrrei a me benigna e favorevole.

Infatti lo posso fare: posso fare un aereo, una macchina che mi allevi la fatica.
Ma anche per questo, devo basarmi sulla realtà, scoprirne le leggi, combinarle da accorto artigiano perché giochino a mio vantaggio.
E ciò vale a massima ragione per la civiltà.
E’ l’artefatto più complesso e delicato.
Bisognoso di continua manutenzione, che consiste anzitutto nello studiarla nel suo sviluppo storico.
Solo così è possibile il progresso: recuperando continuamente ciò che i nostri antenati ci hanno lasciato, ossia la «tradizione».
Per secoli, con errori e deviazioni, siamo stati una «reality-based community».
Ci siamo attenuti al principio di non contraddizione.
Al principio di realtà.
Non ci siamo illusi, come il neocon della Casa Bianca, che «siamo un impero, e dunque creiamo la realtà». 
Forse ha ragione Hegel.
Ma dati i risultati sulla dolente carne umana, conviene dar ragione ad Aristotile.
E ad un «realista ingenuo» fa un po’ specie questa tremenda parabola del superiore pensiero occidentale: dal realismo al razionalismo illuminista, dall’hegelismo al sovietismo, e infine al suo ultimo esito: il cretinismo globalizzato totale.

Il cretinismo come deliberato processo filosofico: quello che ci sta uccidendo tutti con uranio impoverito e denatalità, con coca e febbri del sabato sera.
La forma liberista del cretinismo trotzkista non pare più benigna del maoismo o del pol-pottismo. Non solo, è ancora più stupida, e fonte di stupidità, di ogni altra forma passata di hegelismo.
E a questo proposito, Sanfratello mi ricorda un proverbio medievale francese: «Le sot est la monture du diable».
Lo sciocco è la cavalcatura del diavolo.
Oggi il male radicale, anticristico, galoppa non già a cavallo di Stalin o Mao (che avevano una loro fosca grandezza, e in ogni caso erano difficili da contrastare), ma dei rincretiniti dalla «società del benessere» che produce malessere.
E’ un diavolo che cavalca Bush jr, Odifreddi, Magdi Allam e l’infinita schiera degli «informati» su Paris Hilton: non può essere che un diavolo stupido, infinitamente cretino.
Ma non meno feroce e sanguinario.
Il suo nome è Legione, perché sono in tantissimi.

 
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