>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
Idioti vs Lungimiranti
Stampa
  Text size
Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, nega esista la deflazione in Europa. Qualche giorno fa ha concesso una intervista comune – come fanno le persone importanti, o che si danno importanza – a tre quotidiani primari dei Paesi meridionali, Le Figaro, El Pais e Repubblica per impartire la seguente lezione a noi inferiori che imploriamo un allentamento monetario, almeno che la BCE obbedisca al suo steso mandato creando un’inflazione del 2%: «Dobbiamo saper distinguere fra una deflazione perniciosa e dei tassi d’interesse negativi che durano qualche mese».

È una di quelle frasi celebri che passano alla storia come prova della cecità idiota di chi le ha pronunciate. Avrà il suo posto nella storia del cretinismo accanto a quella dell’economista di grido Irving Fisher nel 1929: «Il mercato azionario ha raggiunto un altipiano permanente» (poche ore dopo, i corsi di Wall Street s’inabissarono nel Grand Crack), e a quella del generale Foch, stratega e comandante di corpo d’armata, agli allievi della scuola di guerra francese nel 1911: «Gli aerei sono dei giocattoli interessanti, ma di nessuna utilità militare».

Nei giorni in cui Weidman pontificava per ammaestrarci, i prezzi dell’energia e dei metalli precipitavano, i «mercati», nel panico, hanno abbandonato l’Europa non credendo più che qui ripartiranno i consumi e l’inflazione, hanno sottratto liquidità al nostro debito pubblico, ed hanno fatto crollare tutte le borse nostre, la contrazione globale in atto da mesi ha preso vigore con l’implosione della Russia e la sua scomparsa come importatore (di merci tedesche fra l’altro); il contagio russo si comunica alle banche francesi esposte per 50,6 miliardi verso Mosca, le italiane, esposte per 26 miliardi, e le tedesche per 21: crediti quasi certamente inesigibili, ormai. E persino la Cina accusa un serio rallentamento.

GIORNALISTI. Bankitalia ha comunicato che le entrate tributarie sono diminuite: ad ottobre 2,7% su base annua, nonostante l’inasprimento fiscale mostruoso messo in atto dal Governo Renzi. «Bisogna intensificare la lotta all’evasione», commenta severo il giornalista che tiene la rassegna stampa mattutina su Rai3, tale Jacoboni. Quest’anima candida non è ancora arrivata a capire che quando l’economia generale arretra, rimpicciolisce, diminuisce, c’è effettivamente il rischio che le entrate del Fisco flettano, visto che sono un prelievo percentuale sull’economia. Non ha la minima idea della celebre «Curva di Laffer»: la nozione che esiste un punto dell’aumento delle tasse superato il quale, per quanto lo Stato tassatore sprema e giri la torchia, il gettito cala; anzi, più aumenta la pressione, e più cala. E che quando uno Stato spreme fino a superare il punto massimo della curva di Laffer, è una tragedia che sta avvenendo. No, per Iacoboni, e tanti come lui, la causa è una sola e semplicissima: l’evasore fiscale che nasconde i suoi redditi, occulta le ricchezze che produce. Un problema che si rivolve con la persecuzione penale, aumentando le pene all’evasore.

CULLA DEL DIRITTO. Anche sullo scandalo romano «Mafia Capitale», è tutto un gran proporre nei talk show: aumentare le pene. Lo chiedono a gran voce giornalisti del PD, e soprattutto deputati del PD, sapendo benissimo che le leggi che dovrebbero punire esistono, ma non vengono – semplicemente – applicate da chi dovrebbe. Ci sono leggi che prescrivono al Comune di fare un concorso pubblico per appaltare a ditte un compito o una funzione; a Roma, chi violava queste norme non erano il nero carminati e il rosso Buzzi; no, erano funzionari e politici del municipio, che non sarebbe difficile identificare e punire con le pene vigenti, magari licenziare.

Uno o più deputatini del M5S, frementi d’indignazione, ha proclamato: «Basta con la presunzione d’innocenza!». Profondissimi conoscitori del diritto, ne propongono la versione sovietica; promuovono il passo avanti decisivo della nostra civiltà – già sull’orlo del baratro. Sanno di interpretare gli istinti manettari di una gran parte della popolazione italiota che si ritiene progressista e illuminata: rovesciare l’onere della prova, sicché a dimostrare d’essere innocente sia l’accusato, e non che il procuratore debba perdere tempo a cercare le prove della colpevolezza di colui che accusa. Ciò che fa paura, è che una parte non piccola della magistratura vedrebbe molto bene questa innovazione. Già la procura romana ha intercettato i colloqui degli imputati di «Mafia Capitale» con i loro avvocati: ai pubblici ministeri italiani il diritto alla difesa è sempre apparso un intralcio, un po’ losco, alla giustizia, che li costringe a faticare di più. Sarebbe così facile se non ci fossero gli avvocati, fare il giudice! (i penalisti di Roma sono scesi in agitazione per questo sopruso inqualificabile, da giustizia turca o da Kgb) (1). Quanto all’eliminazione della presunzione di innocenza, se ben ricordo, la propose lo stesso Ingroia proprio per gli evasori: lui voleva che i magistrati si sentissero liberi, senza prove, di accusare chiunque — anche te e me di nascondere al Fisco, che so, due milioni di euro; adesso affannatevi voi a dimostrare a lui, magistrato, che non li avete da nessuna parte. Il magistrato vi sospetta comunque, e il sospetto basta a condannarvi. Il paradiso della giustizia.

GLI STUPEFATTI. Grande, scandalizzato stupore ha suscitato nei giornalisti, nei politici, nei partecipanti dei talk show, il fatto che i dirigenti di una cooperativa fatta esclusivamente di ex detenuti e galeotti, al telefono, parlino da delinquenti, col gergo della malavita, che si comportino da delinquenti e galeotti, e che abbiano amici della ndrangheta e della banda della Magliana. Ma la cooperativa Eriches 29 di Buzzi questo è: delinquenti usciti dalla galera. Per principio, associa ex-detenuti, pregiudicati. E proprio per questo era preferita dal Comune per gli appalti e le commesse: perché si trattava di aiutare il «percorso di riabilitazione» di questi malviventi; le burocrazie sono altruiste e vogliono contribuire al percorso di redenzione degli sciagurati. Le cooperative di onesti e competenti non sono nemmeno prese in considerazione: i soci non essendo bisognosi di redenzione, non avranno incarichi lucrosi.

Non è che Buzzi nasconda nulla. Nel primo interrogatorio spiega che per alloggiare 150 sfrattati («emergenza abitativa») «il nostro compenso è 24 euro a persona al giorno, iva inclusa. Annualmente sono 4 milioni e mezzo l’anno. Il nostro utile è il 20 per cento lordo». Un milioncino di utile, diciamo. Poi dava mazzette ai politici e ai funzionari.

Ma scusate, non è «normale»? I galeotti-coop ricevevano compensi così alti perché era sottinteso che poi si dovevano «ricordare» di chi gli ha dato gli appalti. Senza concorso? Ma ecco che Buzzi spiega il perché: «La Eriches ha vinto le gare di appalto, e i relativi contratti sono ancora in vigore, in regime di proroga, perché il Comune non può indire ulteriori gare d’appalto, perché non riesce ad approvare in tempo utile i bilanci preventivi». Ma chi è qui il delinquente, pardon? Chi sono gli inadempienti che vengono meno ai loro precisi obblighi istituzionali? Quelli che violano leggi esplicite e chiare sugli appalti e sui bilanci? Temo che lo stupore degli stupefatti mediatici serva a nascondere il piccolo particolare: l’associazione a delinquere è la pubblica amministrazione, altro che El Cecato.

Berlusconi sul Quirinale


Renzi ha detto a Prodi: «Il candidato più autorevole sei tu, ma Berlusconi ha espresso un veto nei tuoi confronti». Dio sa se qui si arde di simpatia per Romano Prodi. Ma il Cavaliere – la cui lungimiranza è proverbiale – ha capito che tutte le altre alternative sono peggiori? Con i voti dei grillini o di SEL in soccorso, il PD può insediare al Quirinale la Finocchiaro, la Rosi Bindi, o la Boldrini. Anzi, sembra che il favorito su cui possono convergere i voti dei renziani e degli anti-renziani nel partito sia Bersani.

Bersani. L’uomo che al Governo ha messo la forza elettorale del PD al servizio del governo di Monti, ossia delle banche straniere, dei poteri forti e delle eurocrazie. Tra parentesi: senza che la Camusso scatenasse mai uno sciopero, aizzasse alla lotta di classe, accendesse la protesta di piazza. Quando Monti stroncò le pensioni, distrusse l’economia, e sbatté gli esodati al freddo e senza un soldo, la sinistra del PD si adeguò senza un mormorio, senza un sospiro, anzi contenti: perché? La presenza di Bersani era la garanzia che quel che si faceva era «di sinistra»? È la stessa sinistra pavloviana, lo stesso sindacato, che oggi contro il governo PD di Renzi, che fa un po’ meno male di Monti, scatena lo sciopero generale e minaccia la scissione — per salvaguardare privilegi incancreniti (2). Quindi, su Bersani possono davvero convergere i voti delle «sinistre» sciolte e a pacchetti, e davvero rischiamo di ritrovarcelo al Quirinale: ad ossequiare i poteri forti bancari, europei, tedeschi.

Al confronto, comincio a pensare che Prodi sia il male minore. Sì, è quello che ci ha portato dentro l’euro, con un cambio assurdo per giunta; ma è anche quello che ha espresso, negli ultimi tempi, qualche critica pertinente alla UE, alle sue norme «stupide», all’austerità ordinata da Berlino. È uno sperimentato marpione, un volpone che conosce gli apparati dello Stato – cosa ormai rarissima fra i «giovani», e i partitanti in genere, che sono alla mercé dei grand commis più pagati del pianeta – e quelli dell’eurocrazia. L’età, le sconfitte subite e l’esperienza lo rendono più indipendente di quanto sia stato in passato.

Obtorto collo, bisogna riconoscere che è il meno peggio, data la situazione reale. Non siete d’accordo? Immaginate allora Rosi Bindi al Quirinale. Oppure Bersani (brivido di schifo come quando si vomita). Siamo realisti. Berlusca non ha i voti – avendo dilapidato il credito che aveva presso un elettorato maggioritario nel Paese – per imporre un candidato; mentre il PD può. Chi vorrebbe, se ha messo il veto su Prodi? Su quale nome farebbe convergere i voti suoi e del PD? Ho paura di scriverlo: Massimo D’Alema. O Giuliano Amato (burp, urto di vomito).

No, meglio Prodi (brivido di schifo, come quando si vomita). Aridatece er Mortadella. Al confronto...

Pechino cambia strategia

Di fronte al pressapochismo, l’improvvisazione e la miopia europea (occidentale), l’analista economico francese Charles Gave rileva il mutamento di rotta che la classe dirigente sta imprimendo alla Cina. Questa nomenklatura ha molte e gravi magagne. Però ha analizzato freddamente il modello economico globale attuale, ed ha visto che non è sostenibile. Da una parte, il costo del lavoro in Cina aumenta, e siccome il 50% dell’export cinese è prodotto da imprese americane o europee che producono in Cina, è vicino il momento in cui parte di queste industrie si ri-localizzeranno in USA o Europa. D’altro canto, la domanda di merci cinesi da USA ed UE calerà ineluttabilmente, perché in Occidente le classi medie sono impoverite dalle politiche economiche vigenti. Vendere a genti in via di impoverimento non è un buona idea di marketing.

Come conseguenza, tenere svalutata la moneta nazionale non serve più. La nomenklatura cinese ha dunque preso la decisione: trasformare la moneta nazionale in una valuta forte, e fare della Cina la grande esportatrice sì, ma di capitali.

Può farlo – anzi già lo fa, comprando persino in Italia imprese e partecipazioni – perché a causa della politica di cambio precedente, dispone di enormi riserve valutarie, investite in buoni del Tesoro USA o obbligazioni europee (che non rendono più praticamente nulla). La Cina ha troppo risparmio, e dunque l’esportazione di capitale è perfino una necessità. Ma la destinazione primaria del capitale cinese sarà l’Asia. Tutti i Paesi asiatici soffrono del fatto che tutte le transazioni fra loro devono essere saldate in dollari USA. Se arrivavano troppi dollari, c’era il boom; se erano pochi, il crack.

Oggi, la Cina può rivolgersi alle Banche Centrali asiatiche – poniamo, all’Indonesia – facendo questo discorso: «Voi avete un grosso deficit estero perché crescete rapidamente e fate spese in infrastrutture. Ragion per cui siete costretti a raffrenare la vostra economia interna mantenendo tassi d’interesse troppo elevati. Io, la Cina, mi offro a finanziare il vostro deficit esterno mettendo il mio bilancio come garanzia, e vi offro tutti i crediti di cui avrete bisogno per acquistare tutti i beni strumentali che vi servono — beni che, naturalmente, comprerete in Cina». A questi Paesi, la Cina presterà in yuan e accetterà di farsi pagare in yuan, oppure addirittura in moneta locale (a questo mirano gli accordi di swap con le Banche Centrali). Il finanziamento in dollari è sempre stato a breve termine; in yuan o in moneta nazionale, la Cina lo rende a lungo termine (è qualcosa di simile a quel che gli USA fecero col piamo Marshall, ma più in grande). Le crisi delle bilance dei pagamenti che avevano devastato l’Asia nel 1997 non si instaureranno più. La crescita dei Paesi asiatici non sarà più ostacolata dalla dipendenza dal dollaro. Una crescita della vastissima area più forte e stabile di oggi, dovrebbe compensare il calo dell’export cinese verso l’Occidente immiserito.

Naturalmente la dirigenza cinese dovrà favorire la specializzazione dei Paesi che finanzia nel settore dove ha un vantaggio comparativo (esempio: la Thailandia che è il più efficace produttore di riso del mondo, lo fornirà ai cinesi). Ciò comporta la creazione, apertura e il potenziamento di sistemi di comunicazione: porti, ferrovie, telecomunicazioni avanzate... Il regime cinese sta offrendo a tutti i Paesi della antica Via della Seta di finanziare tutte queste infrastrutture gigantesche, di cui Pechino diventerà lo hub, ossia il centro e l’irraggiatore. Il maggio scorso si è avuta notizia di un titanico progetto per unire la Cina al Canada (e in prospettiva l’America del Nord) con una linea di treni ad alta velocità che passerebbero per un tunnel da scavare sotto lo stretto di Bering dopo aver percorso parte della Siberia: 13 mila chilometri di ferrovia a 350 all’ora. E un altro progetto prevede di unire la madrepatria a Taiwan con un tunnel sottomarino.

No, sono sogni assurdi. Pechino sta creando l’equivalente della Banca Mondiale per il finanziamenti dei progetti, e di un analogo del Fondo Monetario per finanziare i deficit esterni; per giunta, offrendo a tutti i Paesi della zona che lo desiderano, di farne parte. Il che significa la perdita della presa sull’area da parte di Usa ed Europa, che agiscono per mezzo del FMI e della Banca Mondiale che loro controllano (il capo del FMI è sempre un uomo bianco occidentale, per la precisione un francese). Oltre alle ferrovie veloci, la strategia cinese contempla il finanziamento di autostrade verso Singapore e attraverso la Russia, dighe, centrali nucleari in Mongolia e Kazakhstan, oleodotti tra la Siberia e la Cina, aeroporti un po’ dappertutto con hotel e business centers da far sorgere con l’eccedenza di risparmio cinese. Il che rende la nomenklatura di Pechino alquanto più lungimirante della tirchia Germania, che le sue eccedenze di risparmio se le tiene strette a tal punto, da far cadere l’Europa nella depressione storica che ci travaglia — e segare il ramo su cui siede.

Superfluo domandare quali aziende costruiranno tutte queste infrastrutture: saranno cinesi. Va anche notato che la strategia cinese qui delineata mira ad aprire la via commerciale di terra, e non di mare. La Via della Seta, che fu la più antica arteria di commercio del mondo, era stata poi obliterata dalla nascita delle numerose frontiere e dallo sviluppo della marineria spagnola, portoghese, poi britannica ed olandese, ed oggi americana. Commerciare per via di terra, nella heartland tanto temuta dai britannici perché irraggiungibile dalle loro flotte, sottrae la presa degli anglo-americani sui mari.

Pechino sta approntando le procedure per divenire un esportatore di capitale a moneta forte. Le sue autorità hanno firmato con Londra e con la Svizzera degli accordi di internazionalizzazione della valuta cinese, già emissioni di obbligazioni in yuan sono avvenute alla City. Segnali ben precisi dicono che la nomenklatura si appresta, con lenta prudenza, a rendere la valuta nazionale pienamente convertibile. Da pochi giorni è consentito agli abitanti di Shanghai di acquistare liberamente attivi alla borsa di Hong Kong: siccome ad Hong Kong non vigono i controlli sui capitali che sono applicati nel resto della Cina, vuol dire che per gli abitanti di Shanghai il controllo di capitali sarà di fatto inesistente. Per ora Shanghai, che è comunque la potente locomotiva economica: poi le altre città? A questo punto, Hong Kong può diventare la rivale primaria di Wall Street, la colossale piazza finanziaria delle operazioni in yuan ormai convertibile.

Il progetto è audace e il successo non è garantito. Tentare la metamorfosi della Cina da manifattura esportatrice di merci a esportatrice di capitali con tutto quel che segue – da moneta debole a moneta forte, dall’abbandono delle attività industriali a scarso valore aggiunto a centrale finanziaria e strategica, dalle masse poco istruite alla creazione di una élite intellettuale superiore – comporta un salto culturale enorme, enormi sfide: anche se università di eccellenza e Centrali di sviluppo di tecnologia sono già a portata di mano con l’’integrazione con Taiwan.

L’instaurazione dello stato di diritto è una sfida ancora maggiore, ed una rivoluzione culturale da togliere il fiato: ma va segnalato il fatto che per la prima volta, le autorità cinesi usano il termine («stato di diritto») nei loro discorsi ufficiali, il che indica perlomeno una decisa volontà politica. La dirigenza cinese conosce la propria storia: per quasi un millennio l’Impero di Mezzo ha pesato per il 20% del prodotto lordo global, poi è crollato di fronte all’emergere anglo-americano; il presidente Mao ha provocato le rovine comuniste che hanno fatto precipitare la Cina a solo il 5% del Pil mondiale. Ma è stata una parentesi breve in rapporto alla storia. Adesso la Cina è torbata a rappresentare il 14%. È chiaro che la dirigenza ritiene che il ritorno al 20 sia a portata delle possibilità — e delle ambizioni cinesi, che sono immense.

Il Giappone ha capito, e sta cercando furiosamente di svalutare per entrare nella zona economica cinese in fieri come riserva di alte tecnologie per l’Asia. Washington certamente non lascerà nulla d’intentato – nemmeno i peggiori giochi sporchi, come il «terrorismo islamico» uiguro ed altro che la fantasia USA è in grado di inventare – per mandare a monte la strategia cinese, che dopo l’espansione in africa minaccia anche il cortile di casa (Canada e Sudamerica). Per intanto, però, Washington ha commesso un errore, ed ha fatto un regalo insperato a Pechino: ha obbligato la Russia di Putin (3) a gettarsi nelle braccia dei cinesi. Per una vendetta idiota e miope, per spandere la NATO fino all’inutile Ucraina e strappare dall’Europa la Russia che vi si stava integrando, ha favorito e reso salda l’alleanza fra le due potenze che controllano le vastissime terre asiatiche, un’estensione di sette fusi orari con i suoi miliardi di abitanti e le sue risorse — la Heartland temutissima dall’impero marittimo britannico, dove le portaerei non giungono. Per indebolire e rovinare il nemico dell’America ha reso più forte il gigantesco nemico di domani. Una cecità geopolitica simile non s’è mai vista nella storia.

A Pechino esiste una classe dallo sguardo lungo, che ha chiaro l’interesse nazionale e pare capace di decisioni audaci e lungimiranti, che in un regime pluralistico sono semplicemente impossibili. Noi abbiamo la demokràzia eurocratica che rende impossibile ogni decisione storica, classi vili e sceme che aborrono qualunque audacia, e (a Washington) audaci di cortissime vedute, avventuristi ebbri di risolvere tutti i problemi con il superiore volume di fuoco di cui dispongono.

Chi vincerà?




1) Ecco uno stralcio della protesta degli avvocati. «La denuncia della Camera Penale di Roma - La Camera Penale di Roma ha denunciato già all’indomani della esecuzione di custodia cautelare relativa a “mafia Capitale”, l’illegittima spettacolarizzazione e diffusione di atti di indagine, la deliberata ricerca di una sponda mediatica tesa a creare consenso popolare, la pilotata fuoriuscita quotidiana di parti di informative di polizia giudiziaria che raggiungono lo scopo della preventiva distruzione della immagine degli indagati, prima – ed a prescindere – dallo sviluppo del processo. (...) I circuiti investigativi e gli “ambienti” giudiziari diffondono la notizia di nuove iniziative, di clamorosi sviluppi e – addirittura – di nuove operazioni verso questo o quell’ambiente, politico, imprenditoriale, professionale, creando un effetto annuncio che appare in perfetta ed insanabile antitesi con le caratteristiche proprie di una indagine giudiziaria. Come avviene da anni, l’informazione non solo non controlla il potere giudiziario, ma se ne fa strumento, ed in cambio utilizza atti che non sarebbero pubblicabili se la magistratura stessa esercitasse quel controllo di legalità, che pubblicamente rivendica, ma che sistematicamente dimentica quando è necessario creare e mantenere consenso attorno ad una indagine. La diffusione delle notizie finisce per travolgere anche persone che non sono oggetto dell’accertamento, ovvero che sono citate solo occasionalmente nelle carte. Gli atti vengono commentati nei talk show in tempo reale (...) Le conversazioni registrate, che ovviamente ancora non sono state verificate dai difensori, sono diffuse ad arte senza nessuna reale garanzia di completezza. (...) La verità è che l’azione giudiziaria cerca il consenso per intercettare gli umori della pubblica opinione, soprattutto ora che l’obiettivo dichiarato è quello di esportare il modello di indagine sulla criminalità organizzata a qualsiasi altro fenomeno di rilievo penale ed in qualsivoglia contesto; (...) invocando (da parte dei procuratori) una copertura legislativa ex post. (...) In questa indagine, come da anni avviene nei distretti dove il doppio binario è la regola, l’esplicazione del mandato difensivo e gli stessi contatti tra clienti ed avvocati sono monitorati e citati nelle informative, i dialoghi telefonici sono ascoltati, i difensori sono identificati nelle relazioni di polizia giudiziaria: tutto ciò non solo nei casi in cui si ipotizza la violazione della legge da parte di qualche avvocato, ma anche quando appare evidente che gli avvocati si limitano ad esplicare il loro mandato! In questa indagine, un avvocato è stato pedinato, benché nulla sul suo conto fosse minimamente ipotizzabile: una iniziativa di gravità inaudita, sulla quale non può calare il silenzio. Tutto ciò avviene perché l’area di riservatezza e di inviolabilità della difesa è ormai, nella prassi, ritenuta inaccettabile, tanto più quando i reati in esame trascendono all’empireo mediatico della «eccezionalità». (...) Sempre più frequente è il posizionamento di microspie negli studi legali, che dovrebbe essere invece, per definizione, fatto eccezionale proprio per l’ineluttabile captazione di conversazioni coperte dal segreto, che riguardano, inevitabilmente, anche fatti e assistiti dell’avvocato estranei alla indagine. Gli esiti inquisitori di indagini protratte per anni, compendiate in migliaia di atti che solo gli inquirenti possono governare in sede cautelare, sono subito raccolti dalla politica che, per l’ennesima volta, dimostra di non voler governare la legalità, pronta come è a licenziare provvedimenti legislativi di segno repressivo solo per accontentare gli umori pubblici, e magari allontanare sospetti di connivenza. Con la scarsa lungimiranza che la classe politica dimostra da decenni, si cede immediatamente alla richiesta di norme repressive, sull’altare di un simbolismo penale, feroce negli effetti contingenti ma di nessuna efficacia deterrente».
2) Ovviamente Renzi si guarda bene dal formulare e far approvare la semplice norma che toglierebbe ai sindacati il loro potere indebito: «Chiunque riceva denaro pubblico o dal pubblico, deve renderne conto pubblicando i bilanci». Ciò distruggerebbe anche il malaffare delle cooperative (che godono di privilegi insensati in termini fiscali e di obblighi contabili) e dei partiti. Chissà se è questo il motivo per cui tale riforma, non si fa.
3) Mosca s’è messa nei guai per aver voluto seguire le regole della finanza occidentale, svenandosi per «sostenere il rublo» acquistandolo sui «mercati» (che nel frattempo lo svendono). La cosa da fare, come consiglia l’economista Sapir, è introdurre il controllo dei capitali. La Cina mantiene il controllo sui capitali e controlla il tasso di cambio sulla sua moneta. Sapir ritiene che la crisi russa, dovuta sicuramente a speculazione finanziaria ostile, possa risolversi al principio del 2015, quando il petrolio dovrà risalire — altrimenti la finanza USA, che ha prestato agli estrattori di shale oil, comincerà a vedere l’abisso. Si tratta di reggere fino a febbraio.



L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità