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Israele: Stato divino o Bestia dell’Apocalisse? (parte II)
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E’ davvero Israele la prima Bestia di cui parla il capitolo 13 dell’Apocalisse, quella con sette teste recanti ciascuna un titolo blasfemo e dieci corna con dieci diademi? Quella che riceve la forza, il trono e la potestà dal drago, quella che «era, ma non è più, che salirà dallAbisso, ma per andare in perdizione»?

Parto da una premessa, cui ho già fatto riferimento in qualche mio precedente articolo: il Sionismo è sì un movimento politico nazionalista, formalmente laico, ma esso fonda la propria dottrina sulla mitologia religiosa della restaurazione della nazione e del sangue ebraico in Eretz Israel. In filigrana del manifesto politico del Sionismo stanno il rotolo della Torah e il Talmud, che hanno costruito e mantenuto l’identità ebraica lungo i secoli del cosiddetto Galut (esilio), con l’intento preciso di impedire l’assimilazione e poter vedere ritornare un giorno il popolo eletto a quella terra, che sola ne avrebbe consentito la rinascita come nazione, vale a dire come moderno regno di Israele.

A questo scopo il Sionismo ricostruisce mitologicamente l’identità ebraica, quale fondamento dell’identità statuale, utilizzando letteralmente la religione giudaica come instrumentum regni. Il Sionismo fu quindi un movimento rivoluzionario nel senso anglosassone del termine, forgiatore cioè di una nuova matrice di civiltà, a partire da consolidati elementi e orientamenti storici e primordiali. In questo senso il sionismo laico e ateo fa della Rivelazione biblica esattamente ciò che il nazismo fa con il mito ariano: pur non credendolo scientificamente e storicamente vero, il mito fondante diviene un ausilio del fare ed il suo linguaggio da istruttivo diviene imperativo: il mito si fa storia.

Ciò è tipico dei movimenti rivoluzionari. Il Sionismo lo fu ed ebbe un precedente che in qualche modo ne condivideva le premesse: l’idea di una Terra promessa da conquistare aveva dapprima animato seppure con sfumature diverse il fanatismo puritano dei padri pellegrini statunitensi, come successivamente animò l’Yishuv (letteralmente insediamento) dei nuovi gruppi di coloni ebrei che, a partire dalla prima aliya del 1882, saliranno con ondate successive in Eretz Israel. Lo Stato di Israele, creato dal sionismo, condivide con gli Stati Uniti alcune importanti caratteristiche:

- sono società ideologiche rivoluzionarie;
- sono società coloniali di pionieri, che sono a loro volta vere e proprie avanguardie rivoluzionarie di fanatici;
- sono società democratiche ed egualitarie, ma esclusivamente verso i cittadini colonizzatori;
- tendono alla marginalizzazione/esplusione/soppressione delle popolazioni autoctone, considerate barbare, selvagge, idolatre, inferiori;
- hanno una matrice etnico-religiosa precisa: gli USA sono essenzialmente WASP, Israele è lo Stato degli ebrei;
- sono il frutto di una ribellione contro le rispettive società e culture di provenienza. La colonizzazione puritana rappresenta una ribellione contro l’Inghilterra anglicana, quella sionista contro la passività dell’ortodossia rabbinica;
- non intendono rovesciare gli equilibri interni alle rispettive comunità di provenienza, ma sono movimenti rivoluzionari in uscita verso nuove terre;
- non recidono però le radici più profonde del loro retaggio storico e soprattutto spirituale, ma anzi lo trasformano in mitologia fondante la nuova identità collettiva;
- l’esperienza pionieristica si aggrega essenzialmente intorno al mito della terra promessa, della trasformazione del deserto in terra fertile, sicchè tanto il colono israelita dello Yishuv che il farmer americano vivono la stessa ossessione della terra data in eredità;
- non solo Israele, ma anche i cristiani puritani vivono essenzialmente attorno alla rivelazione veterotestamentaria;
- fanno della legge il fulcro della vita civile e privata dei loro membri;
- il potere giurisdizionale (l’Alta Corte in Israele, la corte suprema negli USA) acquista una rilevanza persino maggiore di quello rappresentativo e legislativo;
- ritengono soprattutto di svolgere una missione provvidenziale iscritta nella storia, il loro destino manifesto.

Il furore puritano americano e quello pionieristico sionista brandiscono il Vecchio Testamento come manifesto fondante il progetto politico di conquista della terra, realizzato con il Winchester (o i Merkavà poco importa) e annichilendo in nome di Dio gli amalechiti di turno (palestinesi o pellerossa poco importa).

La crescente potenza di queste due nazioni, nate da un pugno di pionieri, appare prodigiosa e ciò vale soprattutto per Israele: come ho già detto in un precedente articolo, se volessimo usare un paragone letterario, la nascita di Israele potrebbe quasi sembrare l’ultima grande operazione cabalistica e richiamare la leggenda del Golem, il gigante di argilla, costruito con le arti magiche della Qabbalah, nel tentativo di imitare l’azione creatrice di Dio. In effetti il Sionismo si è messo all’opera, sostituendo la propria iniziativa politica all’opera redentrice di Jahwè. Ma in quest’opera è iscritto un istinto di prevaricazione: la stessa tradizione del Golem ne è intimamente ben consapevole ed anticipa il tema dell’apprendista stregone, di chi, cioè, è in grado di evocare forze che poi non riesce più a controllare.

E’ la medesima preoccupazione che il grande studioso ebraico della Qabbalah Gershom Scholem esprime in una lettera a Franz Rosenzweig del 1926 parlando proprio del sionismo:

«Può la storia ebraica affrontare questo rientro (sionista) dentro la realtà concreta, senza distruggere se stessa con la rivendicazione messianica che questo rientro ha fatto risalire dalle profondità della sua storia?».

Altrove, riferendosi al tema della terra e al suo rapporto con la lingua (l’ebraico riportato in vita dai sionisti recuperandolo dalle profondità della storia) egli scriverà:

«La Terra è un vulcano. Essa fornisce una dimora alla lingua (...) ma quale sarà il risultato dellaggiornamento dellebraico? Labisso della lingua sacra che abbiamo impiantato nellintimo dei nostri bambini non allargherà la sua bocca? La gente qui non sa il significato di ciò che fa: pensano di aver trasformato lebraico in una lingua profana e di averlo liberato dal pungiglione apocalittico’. Ma la verità è unaltra (...) ogni parola non semplicemente creata nuova, ma presa dal tesoro vecchio e buono’, è piena fino allorlo di materiale esplosivo (...) Dio non resterà muto nella lingua in cui lo hanno scongiurato migliaia di volte di ritornare di nuovo nella nostra vita».

Dio non resta muto. Dio ha già parlato. La rinascita di Israele è (prima che un’operazione artificiale, e magica) un azzardo, un’azione prometeica, una autentica sfida al silenzio di Dio. Con un gioco di parole, sembra rivolta contro Dio stesso l’ultima rivolta giudaica e il Messia politico costruito dal Sionismo sembra volersi liberare ancora una volta, come 2000 anni fa, anzitutto da Colui, che lo dovrebbe liberare.

Ecco perchè la lettura dei passi di Apocalisse, che parlano delle due Bestie, appare alla luce di ciò, in una prospettiva sinistra ed inquietante, se in qualche modo riferita ad Israele.

L’Apocalisse è stata scritta dall’Apostolo Giovanni mentre era in esilio nell’Isola di Patmos intorno al 95 dopo Cristo, durante la persecuzione di Domiziano. Proprio per questo non infrequentemente si afferma che le visioni in esso riportate risentano di questa situazione, in cui la cristianità del tempo si trovò a patire, sicchè l’immagine della Bestia viene facilmente riferita appunto all’entità politica imperiale romana.  Ma questa interpretazione non sembra tenere conto che Giovanni è tra gli evangelisti colui che forse con maggiore insistenza denuncia il carattere satanico della fede giudaica.

Nel capitolo 8 del Vangelo da lui redatto, egli riporta uno scontro terribile di Gesù con quei Giudei che pure avevano creduto in Lui: «Non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna».

Nel capitolo 13 dell’Apocalisse è detto che la Prima Bestia sale dal mare, ha dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. Più oltre al capitolo 17 vi è una specificazione: «La Bestia che hai visto era, ma non è più, salirà dallAbisso, ma per andare in perdizione» (Apocalisse 17,8).

Sembrerebbe dunque trattarsi di un’entità che esisteva prima del 95 dopo Cristo (anno presunto di redazione dell’Apocalisse), che nel 95 dopo Cristo non esisteva più e che sarebbe dovuta ritornare successivamente, «salendo dallAbisso, ma per andare in perdizione» (Apocalisse 17,8). Se vogliamo dare un senso non solo simbolico al passo di Apocalisse 17,8, sembrerebbe di trovarsi di fronte ad una entità politica che dopo una lunga eclissi ricompare («Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo lottavo re e uno dei sette») in grado con il suo potere di sedurre gli abitanti della terra («le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. Ladorarono tutti gli abitanti della terra»).

La Bestia dell’Apocalisse è composta di pezzi di animali, anzi di fiere, descritti però in ordine inverso nella visione del capitolo 7 del Profeta Daniele, cioè un leone, un orso, una pantera o leopardo, (usati come sinonimi). Come la bestia dell’Apocalisse, anche quella della profezia di Daniele sale dal mare e come la prima ha dieci corna. Essa è «spaventevole, terribile e straordinariamente forte, dotata di grandi denti di ferro, che divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi e diversa da tutte le bestie precedenti».

Questa bestia prosegue Daniele «è un regno sulla terra che sarà diverso da tutti gli altri regni e divorerà tutta la terra, la calpesterà e la stritolerà. Anche le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; dopo di loro ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli proferirà parole contro lAltissimo, perseguiterà i santi dellAltissimo con lintento di sterminarli e penserà di mutare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, due tempi e la metà di un tempo. Si terrà quindi il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà annientato e distrutto per sempre. Poi il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dellAltissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno».

Se così è, anche la prima Bestia dell’Apocalisse rappresenta dunque un regno o comunque unentità politica. Inoltre pare che essa graviti nel bacino del Mediterraneo, giacché non si hanno notizie, né si desume dal contesto che l’autore del libro, prigioniero nell’isola di Patmos, faccia riferimento a mondi lontani o sconosciuti. Inoltre frequenti sono i riferimenti geografici che rimandano precisamente a quell’area: si parla infatti del grande fiume Eufrate, della località di Megiddo, della Città Santa, della Grande Città dove il Signore fu crocifisso (Apocalisse11,7-8).

Il fatto poi che la Bestia salga dal mare (il Mar Grande di Daniele) non può essere interpretato come  un riferimento all’Oceano, perché c’è un passo nel capitolo 17 in cui, riferendosi alla prostituta che siede sulla Bestia viene chiarito che «le acque che hai viste, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue».

Questa Bestia, dunque, sarebbe un’entità politica che esce (anzi sale) dai popoli in cui era immersa e mentre sale una delle sue teste viene «colpita a morte (forse la Shoah?), ma la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera presa dammirazione, andò dietro alla bestia e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: ‘Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?’».

Se dunque così è, vi è da domandarsi, ove il tempo cui fa riferimento l’Apocalisse fosse il nostro, a quali entità statuali, esistite prima del 95 dopo Cristo, che non esistevano più a quella data e che sarebbero rinate in un periodo successivo, potrebbe fare riferimento l’ultimo libro della Scrittura: deve trattarsi di una entità rispetto alla quale non si siano ancora compiute le profezie ivi contenute. In particolare la sua ricomparsa dai tempi di Giovanni deve essere la prima e non ce ne devono essere state altre (né, stando alla profezia, altre ve ne saranno):

Confrontando la carta geopolitica del tempo dell’Evangelista Giovanni e quella attuale occorre cercare un regno o uno Stato che dir si voglia, il quale sia esistito prima del 95 dopo Cristo, che non esisteva più a quella data e che è tornato ad esistere oggi.

Non potrebbe trattarsi di nessuna delle nazioni ad ovest della Grecia, perché nessuna era contemporaneamente esistita prima come regno e a quel tempo non più era esistente: prima di Roma l’Europa occidentale era popolata di tribù, ma non di regni. La stessa Italia (se volessimo identificarla con Roma, che ritornerà ad essere nazione nel 1861 e che con il Fascismo pretese di restaurare l’Impero «sui colli fatali di Roma»), non può essere la Bestia dell’Apocalisse, perché questa al tempo della sua redazione non era, mentre l’impero romano era e per giunta forse nel massimo del suo splendore.

La Grecia, che nel 95 dopo Cristo non era, poiché stava sotto dominazione romana, prima di allora non si era mai costituita come regno unitario, ma esisteva come somma di città-Stato, talvolta in guerra, talvolta alleate tra loro, né il regno di Filippo il Macedone e Alessandro possono essere considerati un precedente della Grecia antica, né tantomeno di quella attuale. La nazione greca moderna sarà una creazione romantica del XIX secolo.

I popoli della sponda sud del Mediterraneo avevano conosciuto prima della data del 95 dopo Cristo la potenza di Cartagine, che a quella data non era più, ma le rinate nazioni libiche, tunisine, algerine e marocchine non se ne possono certo definire eredi, essendo tutte il prodotto di divisioni territoriali arbitrarie conseguenti al dissolvimento degli imperi coloniali.

Quanto alla Turchia, i regni dell’Anatolia preesistenti alla conquista dell’impero romano, difficilmente possono essere considerati gli antesignani dell’attuale Turchia. Lo stesso dicasi del Libano: nessuno nella terra dei cedri rivendica oggi per la propria nazione una ascendenza fenicia, cultura (forse nazione?) esistente prima del 95 dopo Cristo, ma definitivamente scomparsa a quella data.

La Siria è uno Stato che in passato non ha mai avuto una dimensione di indipendenza nazionale, essendo stata nell’antichità a lungo contesa tra vari imperi: quello egizio, quello assiro e quello hittita. A partire dal 539 avanti Cristo la Siria fece parte dapprima dell’impero persiano, dopo Alessandro Magno del regno seleucide e infine con le conquiste di Pompeo (64 avanti Cristo) della provincia romana di Siria-Palestina. Il primo conato di indipendenza, posteriore (non anteriore) al 95 dopo Cristo, si ebbe tra il 266 e il 272, quando presso la città di Palmira venne fondato un regno autonomo ad opera della regina Zenobia, che peraltro venne infine sconfitta dall’imperatore Aureliano. Dunque anche la Siria, come le regioni dell’area armena, sono da escludere dal novero delle nazioni identificabili con la Bestia e così si potrebbe dire dell’Iraq e della Giordania, creature anch’esse moderne, nate dalla dissoluzione dell’impero ottomano ed anche qui dalle arbitrarie divisioni di territorio conseguenti ad essa. Non esistevano come nazioni prima del 95 dopo Cristo e al tempo della redazione dell’Apocalisse erano divise tra i possedimenti dell’impero romano e di quello dei Parti.

Infine la Persia (oggi Iran) manteneva da molti secoli e quindi anche nel 95 dopo Cristo una propria identità, identificabile allora con il regno (o impero) dei Parti, che si estendeva su di un territorio persino più vasto dei quello dell’Iran attuale. Dunque essa era stata ma ancora era al tempo della redazione dell’Apocalisse. L’Arabia, invece non era, ma neppure era stata prima di quella data, essendo un immenso deserto in cui vivevano disperse tribù proto-beduine politeiste.

Rimangono Egitto e Israele.

L’Egitto, dopo i gloriosi secoli delle grandi dinastie, cadde sotto il regno dei Tolomei, la dinastia fondata appunto da Tolomeo, uno dei diadochi di Alessandro Magno, nominato satrapo d’Egitto dopo la morte di Alessandro nel 323 avanti Cristo Esso perse definitivamente la propria indipendenza divenendo nel 30 avanti Cristo, dopo la morte di Cleopatra, provincia romana.Tale rimase anche sotto l’Impero Romano d’Oriente fino al 639, quando un imponente esercito arabo, mandato dal califfo Omar ibn al-Khattab, passò dalla Palestina in Egitto e nel 641 conquistò Alessandria. Dopo 973 anni, finiva così la dominazione greco-romana in Egitto, che, dopo altri 13 secoli di dominazione islamica, tornerà ad essere formalmente una nazione indipendente nel 1922, quando la Gran Bretagna, sollecitata dai movimenti nazionalisti, dichiarò l’indipendenza del Paese e proclamò re Fuad I, riservandosi tuttavia il diritto di intervenire negli affari esteri e nelle questioni relative alla difesa, nonchè di mantenere truppe sul territorio egiziano. La vera indipendenza venne dunque solo con il colpo di Stato del 1952, organizzato dal generale Muhammad Nagib, il quale si autoproclamò presidente della neocostituita repubblica egiziana, ma che non riuscì a esercitare un’effettiva autorità sul Paese e venne progressivamente esautorato da Gamal Abdel Nasser, membro del consiglio del comando della rivoluzione, il quale nel luglio del 1956 assunse la carica di presidente.

L’Egitto, dunque, era stato un grande impero, non era altro che una provincia romana nel 95 dopo Cristo, ma tornerà ad essere uno Stato indipendente nel corso del XX secolo. E’ dunque l’Egitto la bestia? No.

L’Apocalisse dice infatti qualcosa che non può riguardare l’Egitto: quando la Bestia, cioè il regno scomparso tornerà, sarà per l’ultima volta e per andare in perdizione. Invece già prima del 1924 l’Egitto in qualche modo aveva più volte recuperato un proprio regno: anzitutto nell’868, quando Ahmad ibn Tulun emancipò l’Egitto dalla tutela degli Abbasidi, fondando una dinastia che rimase al potere per qualche decennio. Poi quando nel 1171 Saladino, uno dei generali di Nur ad-Din, fu nominato visir dell’Egitto e vi fondò la dinastia degli Ayyubiti, restaurando l’ortodossia sunnita, riconquistando gran parte della Siria e della Palestina e facendo dell’Egitto una grande potenza militare. Infine tra il XIII e il XIV secolo, quando il regno dei Mamelucchi si estese verso nord sino ai confini con l’Asia. Inoltre nessuno dei regni dEgitto succedutisi dopo il 95 dopo Cristo, né la monarchia di re Fuad I, né tantomeno il regime di Nasser hanno voluto restaurare uno Stato egiziano, richiamandosi all’antico potere dei faraoni: le piramidi sono certo una straordinaria icona turistica di questo Stato, una ineliminabile memoria storica, ma non il suo fondamento politico-ideologico.

La bestia dell'Apocalisse
   La bestia dell'Apocalisse
Chi resta? C’è solo uno Stato che fu un regno prima del 95 dopo Cristo, non lo era più a quella data (la dominazione romana nel 70 dopo Cristo aveva schiacciato con implacabile fermezza i tentativi di rivolta giudaica, fino alla distruzione del Tempio ad opera delle legioni di Tito), ma tornerà ad esserlo 1878 anni dopo.

Quello Stato è Israele.

E’ Israele dunque la prima Bestia dell’Apocalisse? E chi è l’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello ma che parlava come un drago? Davvero potrebbero essere gli USA?

Lo vedremo la prossima volta.

(continua)

Domenico Savino

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