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Federalismo alla siciliana
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Tutti i media accendono i riflettori sui 5.500 operai di Mirafiori che devono decidere sulle condizioni peggiorative di Marchionne, per continuare a lavorare. La FIOM incita alla rivoluzione, molti giornali di sinistra chiamaro alla rivolta sociale; dalla cosiddetta destra gran discorsi sulla produttività da recuperare, sulla necessità di sacrifici come hanno fatto i tedeschi e gli americani della Chrysler (dove i nuovi assunti accettano metà della paga).

Nessun riflettore viene acceso, nessuna polemica pubblica viene sollevata – e nessun invito alla rivolta – di fronte alla notiziola seguente: la Regione Sicilia, nella sua autonomia, ha assunto di botto a tempo indeterminato 28 mila precari. Ha pubblicato un bando per 8 mila stagisti da assumere per un anno a 500 euro al mese; sono le nuove leve in vista della stabilizzazione clientelare, ossia dell’assunzione a vita e senza concorso. Ciò, dopo che la stessa Regione ha fatto un bando per 4 mila posti negli ospedali, in contemporanea con l’esenzione del ticket sanitario per il 65% dei siciliani.

La FIOM minaccia la guerra civile per dieci minuti in meno di pausa a Mirafiori, ma non ha niente da eccepire che la Regione Sicilia abbia assunto cinque Mirafiori in un colpo solo, e quasi due Mirafiori di stagisti per giunta.

Ai lavoratori di Mirafiori si fa notare che « devono aumentare la competitività del Paese»; ma nessuno che faccia notare quanto penalizzi la «competitività del Paese» il peso di cinque Mirafiori di impiegati regionali, i cui costi gravano sui produttori e sulle loro buste paga in detrazioni fiscali.

Sì ricorda ai 5.500 operai di Mirafiori che sono in competizione con gli operai brasiliani e polacchi, che lavorano più ore e prendono di meno; nessun paragone del genere additato ai 28 mila nuovo impiegati della Sicilia; del resto, come tutti i dipendenti pubblici – dai passacarte ai governatori – sono al riparo dalla concorrenza globale, non competono con nessuno straniero.

La produttività del lavoro industriale di Mirafiori viene esaminata al microscopio e dibattuta dagli economisti; nessun esame invece sulla produttività dei 28 mila impiegati, forse perchè nessuno dubita che la loro produttività sia pari a zero. E nessun economista che sottolinei che la produttività del lavoro industriale in Italia è un concetto complessivo, in cui entra – come palla al piede il sistema-Paese: ossia il costo, sui salari dei dipendenti industriali, del clientelismo, dello spreco, delle inefficienze pubbliche, e degli ostacoli alla produzione che gli improduttivi – cinque volte più numerosi – mettono con le loro persecuzioni burocratiche, che moltiplicano per giustificare la propria esistenza stipendiale.

I cinquemila di Mirafiori sono caricati di una responsabilità grave; dalla risposta che daranno alla proposta Marchionne dipenderà non solo il loro posto, ma anche quello dei 70 mila compagni che lavorano nell’indotto. Nessuna responsabilità del genere viene gravata sui felici neo-assunti in Sicilia. E men che meno sul suo felicissimo assuntore, il governatore Lombardo. Eppure, è chiaro che la Sicilia non pagherà gli stipendi alle sue otto Mirafiori di stabilizzati, nè coprirà il ticket dei suoi milioni di esentati.

La Sicilia non esporta quasi nulla. Ha possibilità di espansione nel turismo, uccise dalla bruttura costiera delle sue casette abusive, e dei casermoni incombenti sui Templi di Agrigento. Ha un’agricoltura di qualità, eppure i formaggi che si trovano nei suoi negozi hanno la marca Galbani, e non riesce ad imporre ai mercati esteri nemmeno le sue uniche arance rosse. La Sicilia ha un reddito basso, e paga poche tasse; nemmeno lontanamente bastanti a coprire i costi delle infornate di assunzioni. Se assume spensieratamente, è perchè è sicura che il Nord continuerà a trasferire al Sud i 55 miliardi di euro l’anno in introiti fiscali che non può tenere per sè.

Magari, almeno, si potrebbe richiamare i 28 mila siciliani con posto fisso, alla loro responsabilità verso i lavoratori che producono a Torino anche per pagare i loro stipendi; sottolineare che su ogni operaio di Mirafiori pesano cinque di loro; e che magari è per questo motivo che al Nord non ci sono abbastanza soldi per pagare lavoratori produttivi quanto meritano, e la categoria deve lottare per 30 euro mensili (lorde) in più; e scontrarsi con Marchionne, «autoritario e antidemocratico», come ha detto la Camussi, la nuova capessa della CGIL. Infatti: mica tutti hanno la fortuna di dover la busta-paga a un democratico e antiautoritario come il governatore Lombardo. Però magari è per questo che in Lombardia, Piemonte e Veneto le imprese private fanno assunzioni col contagocce, attente ai costi e all’angoscioso futuro di recessione, e lesinano gli aumenti, mentre nell’isola felice si assume a migliaia, a decine di migliaia. Magari c’è una relazione.

A Mirafiori si devono accettare, se richiesto dalle necessità produttive, lavoro notturno sabato compreso, turni di dieci ore, 120 ore di straordinario l’anno (oggi sono 40), il primo giorno di malattia non pagato, tre pause durante i turni per un totale di 30 minuti. Si può chiedere ai 28 mila assunti dalla Regione un pensiero di solidarietà verso questi operai che tentano l’intentabile – e forse saranno comunque sconfitti, la Fiat andrà comunque a produrre tutto in Brasile – quando, al primo sole di marzo, sciameranno tutti alla spiaggia alle 2 (li ho visti) a lamentarsi come quella giovanissima insegnante di Messina (da me sentita) per essere stata mandata a insegnare a Lipari? A Lipari, mica alle Solovki nel Mar Bianco: ma dal tono della lamentela, pareva alle Solovki.

Macchè. Lo so, già la parola magica che giustifica le assunzioni di cinque Mirafiori di impiegatuzzi – sanatoria – induce la convinzione che sia stata risanata un’ingiustizia, che i neo-assunti ne avevano diritto, e dunque la coscienza tranquilla. E se osate paragonarli ai 5 mila di Mirafiori insinuando che rubano lo stipendio a loro, siete voi l’egoista, il leghista, quello che rifiuta solidarietà.

Perciò ritiro tutto. So che la relazione tra i 5.500 di Mirafiori che rischiano il posto se dicono no al duro Marchionne, e i 28 mila che in Sicilia non rischiamo più niente avendo il diritto acquisito, non si può stabilire. Non entra nello schema della lotta di classe che oppone sfruttati ad altri sfruttatori. Anzi, mi rallegrerò quando – causa recessione, e per rientrare dal debito pubblico colossale, ormai pari al 120% del PIL – sarà introdotta la tassa patrimoniale.

Perchè verrà, l’imposta sui patrimoni; e so già a chi la faranno pagare. Lo so da un fatto: che l’idea della patrimoniale è stata lanciata dall’ingegner Carlo De Benedeti, e la propone anche la suddetta Susanna Camusso, nuova capintesta della CGIL. Miliardario e comunista uniti nella lotta: quando si uniscono, è chiaro che faranno fuori i piccoli borghesi. Tanto più certo, perchè a teorizzarla con più precisione è Giuliano Amato, quello che ci sequestrò il denaro dei conti correnti in una notte, e lo sostituì con BOT che non avevamo il permesso di spendere (1).

Oggi, l’Amato ragiona così: la ricchezza finanziaria e immobiliare degli italiani è oltre cinque volte il PIL; il debito pubblico è solo il 120 per cento dl PIL. Basterebbe che ogni italiano – che dispone di un patrimonio medio di 135 mila euro pro-capite – desse 10 mila euro allo Stato (oltre quello che già paga di tasse, imposte e balzelli), che lo Stato userebbe per abbattere di un terzo il debito pubblico italiano – dal 120% all’80% – insomma riportarlo vicino ai limiti di Maastricht (60% del PIL) e calmare i mercati sulla nostra solvibilità. Che cosa sono, italiani, 10 mila euro a cranio, per voi che ne avete 135 mila?

Tassa eccezionale patriottica, la chiama Amato. La sinistra si entusiasma: « Colpirà solo le rendite e i grandi evasori». Ma i De Benedetti, i Della Valle e i Berlusconi, molto del patrimonio lo hanno all’estero. Restano le rendite costituite dagli interessi (quasi zero) sui nostri risparmi, su BOT che teniamo in cassetta. E sulle case. Le nostre, mica le loro.

Amato sa che 11 milioni di italiani risultano così poveri da essere esentati dall’IRPEF. Che metà della ricchezza delle famiglie, per 4.800 miliardi, è in immobili. I soli patrimoni veramente tassabili; solo che non sono liquidi: il ceto medio dovrà dunque accendere un’ipoteca per pagare la tassa patriottica? E mica per 10 mila, ma per 30 mila euro di tassa patrimoniale. Allegria.

Ma pagheremo volentieri, sapendo che ciò andrà ad abbattere il debito pubblico titanico, e quindi far pagare allo Stato meno di interessi, e quindi consentire di nuovo ai pubblici governanti di tornare a far debito aggiuntivo, con trovate come le assunzioni di cinque Mirafiori di passacarte in Sicilia. E’ bello essere patrioti.





1) L’inattuabilità pratica della tassazione patrimoniale proposta da Amato è stata messa in luce da Enrico Cisnetto, in un articolo su Wall Street Italia. Il che la dice lunga sulla fama di sottile economista del dottor Sottile.


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