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Buchanan contro le spie di Israele
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«Non fate caso all’agente del Mossad sulla linea»: così il titolo di un articolo apparso su «American Conservative», la rivista fondata da Pat Buchanan (1). L’autore Philip Giraldi, un ex alto funzionario della CIA, ha il coraggio di affrontare il tema più tabù della politica americana: le attività spionistiche di Israele ai danni del suo grande alleato americano.

Giraldi comincia col ricordare il caso del traditore Jonathan Pollard, un ufficiale ebreo della Marina USA con accesso a dati di intelligence, messo in galera a vita nel 1986 per aver passato ai suoi padroni sionisti 360 metri cubi di materiale segreto (Pollard ha ricevuto la cittadinanza israeliana ed è l’oggetto di periodiche campagne della lobby che reclamano la sua liberazione).

Giraldi racconta che, in quell’occasione, gli USA «trattarono un accordo con Israele, un gentleman agreement per cui le due nazioni s’impegnavano a non spiare sul territorio dell’altra senza consenso» (sic). Israele non ha mai onorato l’impegno, scrive  l’ex dirigente CIA.

Anzi: «David Szady, il vicedirettore del controspionaggio dell’FBI fu così irritato dal livello dello spionaggio israeliano negli anni ‘90 che telefonò all’ambasciata israeliana, ufficio dell’Istituto centrale di intelligence e attvità speciali del Mossad), e disse: «Piantatela». Sic.

Perchè rivangare il caso Pollard? Perchè, spiega Giraldi, il nome è ridiventato d’attualità il 22 aprile scorso, quando un ex ingegnere della US Army per gli armamenti, Ben-Ami Kadish (immaginate la sua etnia), è stato arrestato perchè passava segreti militari alla sua vera patria.

Ebbene: Kadish era «gestito» da Yosef Yagur, il capostazione del Mossad che «gestì» per anni Pollard, sotto la copertura di «attachè» scientifico al consolato israeliano di New York. Ovviamente Yagur se l’è svignata mentre il suo agente Pollard finiva in prigione; ma evidentemente, da Israele, continua a manovrare agenti ebrei in America. L’arresto di Kadish «ha ravvivato i sospetti che agenti siano ancora operativi in USA, specie Mega». Già, l’agente Mega.

Questo nome (meglio, pseudonimo) saltò fuori nel 1997 da una telefonata, intercettata dalla National Security Agency (NSA), fra un addetto dell’ambasciata israeliana a Washington e Daniel Yatom, il capo del Mossad di allora. L’addetto chiedeva al capo-spia il permesso di «andare da Mega» onde ottenere una copia di una lettera riservata che l’allora segretario di Stato, Warren Christopher, aveva mandato ad Arafat (allora ancora capo dell’OLP) assicurandolo della immancabile realizzazione di un ritiro degli israeliani da Hebron, che era stato negoziato dagli USA. Yatom, il capo del Mossad, al telefono rimproverò l’addetto d’ambasciata: «Non è questo il genere di cose per cui usiamo Mega» (2).

Non ci voleva molto a capire che gli israeliani avevano una loro spia al massimo livello del governo USA, una spia capace di curiosare tra le carte del ministro degli Esetri americano, una spia dotata di «clearance», ossia autorizzazione a visionare documenti segreti. Una spia così importante, da non essere usata dal Mossad per il genere di cose come rubacchiare documenti top secret.

Per cosa era usato, se non per spingere le soluzioni volute da Israele ai più elevati livelli decisionali? Ma chi era Mega?

Il primo sospetto era Martin Indyk, nel ‘93 elevato a membro del Consiglio di Sicurezza Nazionale del neonato governo Clinton, e nel ‘97 assistente segretario di Stato per il Medio Oriente. Già docente al Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies all’università di Tel Aviv (praticamente un’alta scuola di spionaggio), nel 1988 Indyk - cittadino britannico, abitante in Australia - era diventato direttore dell’AIPAC, il potente braccio politico della lobby ebraica in USA, come «direttore delle ricerche», ossia delle schedature e dello spionaggio che l’AIPAC pratica contro presunti nemici di Israele in USA.

Un altro sospetto era Leon Fuerth, consigliere della sicurezza nazionale del vicepresidente Al Gore, già sospettato nel ‘98 di aver passato documenti riservati direttamente a Benjamin Netanyahu, il capo del Likud.

Un altro era Rihard Clarke, altro membro del National Security Council di Clinton che già nel 1992 era stato licenziato dal dipartimento di Stato perchè accusato dal direttore generale di detto dipartimento di aver nascosto agli americani - che gli pagavano lo stipendio - una grossa vendita di armi illegali di Israele alla Cina.

Insomma c’era solo l’imbarazzo della scelta: Clinton si era attorniato - o era stato circondato - da notorii traditori per Sion.

Gordon Thomas, giornalista britannico con molte entrature negli ambienti militari inglesi, scrisse nel suo libro «Gideon’s Spies» (1999) che tutto l’affare di sesso con Monica Lewinsky era stato orchestrati dal Mossad per incastrare Clinton e fargli abbandonare la ricerca di «Mega». Del resto, i roventi cinguettii fra il presidente e la Lewinsky erano facilmente intercettati dalla Amdocs, la ditta israeliana (il cui nome è emerso per certi coinvolgimenti nell’11 settembre) che s’è aggiudicata la fatturazione delle bollette telefoniche in USA, e il compito delle intercettazioni giudiziarie (non male, come osservatorio per spie straniere).

Fatto sta che Mega non è stato mai trovato. O meglio, mai cercato. E Israele, dice Giraldi, «continua a condurre operazioni di intelligence in USA». Di vario tipo: furto di segreti e tecnologie, disinformazione, influenza. Grazie al reclutamento di «ebrei americani».

A dire il vero, aggiunge, «Israele non ha un vero bisogno di agenti d’influenza, dato che le sue spie, diplomatici e politici, hanno già il più ampio accesso ai decisori politici. E’ stato già riferito che al Pentagono, sotto Paul Wolfowitz (il viceministro ebreo sotto Rumsfeld) e Doug Feith (il secondo viceministro, ebreo) ci fu ben poca cura di controllare i visitatori israeliani. Entrambi inoltre in passato furono sotto inchiesta per aver passato informazioni segrete a Israele. Quanto all’ambasciata israeliana, ha un eccellente accesso ai media. Quando vuole piantare della propaganda o passare storie che rendano l’opinione pubblica favorevole ad Israele, il Mossad generalmente si rivolge alla stampa britannica. Il Times di Rupert Murdoch (ebreo australiano, ndr) e il Daily Telegraph, già proprietà di Conrad Black, tipicamente pubblicano articoli la cui origine è in fonti del governo israeliano. Questi articoli sono di regola ripresi dai media negli Stati Uniti».

Praticamente «ogni ente statale che si occupa di sicurezza», continua Giraldi, «conferma la realtà dello spionaggio israeliano, anche se non è denunciato spesso, perchè i funzionari dell’FBI sanno che fare indagini su questi delitti non favorisce la loro carriera. Ma Israele appare con rilievo nel rapporto annuale dell’FBI titolato ‘Foreign Economic Collection and Industrial Espionage’. Nel rapporto 2005 si legge: ‘Israele mantiene un attivo programma per raccogliere informazioni brevettate negli Stati Uniti. Queste attività sono dirette in modo primario ad ottenere informazioni su sistemi militari e applicazioni computeristiche avanzate, utilizzabili nella notevole industria militare israeliana’. Aggiunge che gli israeliani assoldano spie, usano metodi elettronici e compiono intrusioni in computer a questo scopo».

Quando, volente o nolente, l’FBI  dovette arrestare la spia Pollard (troppo plateale era il suo spionaggio), il governo sionista protestò che il suo americano traditore, in fondo, aveva fornito informazioni che servivano a difendere Israele, l’Agnello perennemente minacciato.

Non è vero, dice Giraldi: spesso gli israeliani prendono le informazioni e se le rivendono ai nemici potenziali degli USA. «Molti alti funzionari dell’intelligence sono convinti che l’Unione Sovietica accettò di espatriare decine di migliaia di ebrei russi da rilocare in Israele (accadde sotto Gorbaciov, ndr) in cambio di informazioni rubate di altissimo valore. Nel 1996, l’Office of Naval Investigations ha appurato che Israele aveva passato tecnologia militare delicatissima alla Cina. Nel 2000, Israele ha tentato di vendere alla Cina il sofisticato aereo da ricognizione avanzata Phalcon, che è basata su tecnologia USA e che Israele fabbrica su licenza. Nel 2005 l’FBI ha sottolineato che questi furti erodono il vantaggio militare americano, in quanto potenze straniere ottengono costosissime tecnologie che sono costate anni (e miliardi) per svilupparle».

Insomma si tratta di un’alleanza a senso unico: l’America è alleata di Israele, ma Israele tratta l’America come un nemico.

Nel 1996, dieci anni dopo il caso Pollard, il servizio investigativo del Pentagono ha dovuto avvisare le ditte a contratto per la Difesa di stare attente allo spionaggio israeliano. Il rapporto citava furti di tecnologia segreta da una ditta di ottica militare dell’Illinois, e il furto di apparecchi di prova per radar. Tutto ciò, diceva il Pentagono, «piazzando individui di nazionalità israeliana dentro industrie-chiave».

L’Anti Defamation League inscenò una tale campagna contro il Pentagono («antisemita!»), che il ministero dovette ritirare il rapporto e scusarsi, dicendo che il linguaggio offensivo era dovuto ad un «addetto di basso livello», e promettendo di non farlo più. Ma poi, toccò all’Ufficio di Contabilità Generale (omologo alla Corte dei Conti) denunciare fatti commessi da cittadini israeliani residenti in USA: furti di tecnologie per la manifattura di canne d’artiglieria, progetti aerospaziali, telemetria missilistica, materiale per la copertura di missili rientranti nell’atmosfera, comunicazioni, avionica.
Insomma un saccheggio a cui gli USA si espongono senza difesa.

Ma la parte più interessante dell’articolo di Philip Giraldi comincia ora: l’agente della CIA parla degli «studenti d’arte israeliani» beccati in 125 casi, nel giugno 2001 - pochi mesi prima dell’11 settembre - a penetrare «in edifici federali da entrate posteriori o dai parcheggi sotterranei», spesso «con mappe dettagliate dell’edificio in mano», con la scusa di vendere al personale americano certi dipinti da poco prezzo, che sostenevano fatti da loro. «E molti degli arrestati, si scoprì, avevano ricevuto addestramento in spionaggo militare, sorveglianza e intercettazione elettronica, o nel genio esplosivi». Insomma, proprio quelli che vengono definiti (da Introvigne ad esempio) una fantasia paranoica dei complottisti.

Invece, conferma Giraldi evidentemente su informazioni interne della CIA, esistevano. Anzi, «erano organizzati in cellule di 8-10 membri che viaggiavano in furgoni, in cui nascondevano apparecchi elettronici. Molti di questi studenti erano in grado di pagare biglietti aerei costosi saltando da un aereo all’altro; due di loro volarono nello stesso giorno da Amburgo a Miami, da Miami a Chicago e infine a Toronto, spendendo ciascuno 15 mila dollari in biglietti». Nonostante questo, «dei 140 studenti arrestati, i più sono stati espulsi per violazioni sull’immigrazione. Alcuni sono stati semplicemente lasciati liberi», dice Giraldi.

Ma non basta: il funzionario della CIA ci conferma anche i sospetti sugli «israeliani danzanti», visti dalla cameriera messicana a festeggiare, l’11 settembre, l’incendio delle Torri.

 uesti facchini, ci racconta Giraldi, lavoravano per la «Urban Moving Systems di Weekhawken, New Jersey, che era composta quasi solo da isrealiani, parecchi dei quali appena usciti dalla Israeli Defense Forces». Secondo il funzionario della CIA, i cinque facchini della Urban Moving Systems furono addirittura «fotografati» mentre festeggiavano l’attentato. E questo «16 minuti dopo che il primo aerei aveva colpito la Torre, quando nessuno sapeva ancora che si trattava di un attentato e si pensava ad un orribile incidente. Il proprietario della compagnia di traslochi, Dominik Suter, è stato sottoposto a interrogatorio dall’FBI, poi è scappato in Israele. Da allora rifiuta di rispondere a domande».

Giraldi si domanda «se i traslocatori e gli studenti d’arte avessero messo insieme abbastanza informazioni da poter prevedere l’11 Settembre». La risposta, ammette, «resta sepolta negli archivi dello spionaggio a Tel Aviv. Ma certo la vicinanza di entrambi i gruppi a 15 dei dirottatori (arabi) ad Hollywood di Florida e a cinque altri nel New Jersey è suggestiva».
Come si vede, Giraldi è cauto nell’ipotesi. Ma aggiunge: «E’ certo che la Urban Moving era impegnata in operazioni di raccolta d’informazioni contro arabi abitanti negli USA, probabilmente con l’uso di sorveglianza elettronica, telefoni ed altre comunicazioni. Quando furono arrestati, i cinque israeliani (i ‘danzanti’, ndr) che lavoravano per la Urban Moving erano in possesso di passaporti multipli e circa 5 mila dollari in contanti. Furono trattenuti per 71 giorni,  fallirono una quantità di esami al poligrafo (la macchina della verità), e alla fine furono lasciati tornare in Israele dopo che Tel Aviv ammise che essi erano del Mossad e si scusò».

Dunque, anche secondo Giraldi (ossia la CIA) il Mossad ammise che erano uomini suoi. Naturalmente, spiavano sì, ma «contro gli arabi». Proprio nei mesi prima dell’11 settembre. E non erano riusciti a sapere nulla del mega-attentato che i 15 dirottatori «arabi» preparavano. Begli agenti ha, questo Mossad.

Di nuovo Giraldi: «Tra i 55 e i 95 altri israeliani furono fermati nelle settimane seguenti all’11 settembre, e alcuni erano personale militare in servizio attivo». Ma perchè allora non si osa denunciarli?

«L’FBI fu sottoposto a intense pressioni, da parte di numerosi membri del Congresso e da vari gruppi filo-israeliani, perchè rilasciasse gli arrestati. L’ordine di liberarli venne dal giudice Michael Mukasey, oggi attorney general degli Stati Uniti»: quel che si dice una bella carriera.

«Secondo una fonte, l’ordine di mettere termine all’inchiesta sarebbe venuto dalla Casa Bianca. Anche se l’inchiesta avrebbe potuto andare molto più a fondo, l’FBI identificò due dei facchini di Weehawken come funzionari dello spionaggio israeliano e confermò che la Urban Moving era una facciata del Mossad intesa a ‘spiare arabi locali’».

Philip Giraldi ricorda altri casi sospetti riguardanti «camion per traslochi isrealiani». Uno «è accaduto nel Tennessee, vicino alla fabbrica Nuclear Fuel Services», che produce combustibile nucleare per le centrali.  «Il furgone fu inseguito dallo sceriffo locale per tre miglia, avendo rifiutato di rallentare. I due isrealiani a bordo, che gettarono dal finestrino un flacone contenente un accelerante» (una sostanza incendiaria), erano in possesso di carte d’identità militari israeliane e falsi documenti americani. Il secondo incidente riguarda due traslocatori che cercarono di entrare nella base sottomarini di King Bay in Georgia, dove stanno otto sommergibili nucleari Trident, ma sono stati arrestati quando i cani fiutarono droghe nel loro furgone. Anche questi avevano carte d’identità militari e falsi documenti. Non c’è stato alcun seguito, a parte un rapporto dell’FBI alle autorità federali». Non basta.

Giraldi non manca di ricordare due aziende telefoniche che vennero alla ribalta sui media - brevemente - dopo l’11 settembre. «Due compagnie israeliane, la Amdoc e la Comverse Infosys, entrambe con sede centrale in Israele, hanno una notevole attività in USA. La Amdocs, che ha contratti con le 25 maggiori compagnie telefoniche americane, le quali nell’insieme gestiscono il 90% di tutte le chiamate, fattura tutte le chiamate in entrate e in uscita nel sistema. Non registra le conversazioni, ma la fatturazione dà modo di rilevare dei ‘patterns’, la famosa ‘traffic analysis’,  molto utili per dare indicazioni all’intelligence. Nel 1999 la National Security Agency ha segnalato che i dati sulle chiamate fatte in USA finivano in Israele. La Amdocs ha anche una apparente relazione con alcuni degli studenti d’arte arrestati nel 2001. Diversi di loro ricevevano pagamenti da un diretore della Amdocs».

Dunque un’altra conferma delle «voci dei complottisti», che indicano la Amdocs come un evidente centro di spionaggio. E la Comverse Infosys?

«Essa fornisce apparecchiature da intercettazione ad enti di polizia e giudiziari negli USA, ed ha anche grossi contratti con il governo israeliano, che paga il 50% dei costi di ricerca e sviluppo dell’azienda. Poichè le apparecchiature da intercettazione sono inserite nelle reti delle compagnie telefoniche, non possono essere rilevate, le chiamate sono intercettate, registrate, conservate e trasmesse agli inquirenti dalla Comverse, che sostiene di occuparsi solo della gestione degli apparecchi. Molti esperti credono che è relativamente facile creare cosiddette ‘uscite posteriori’ (back doors), attraverso le quali la registrazione può essere mandato ad un’altra parte, sconosciuta alle autorità giudiziarie autorizzate ad ascoltarle. E gli apparecchi della Comverse non sono mai stati ispezionati dall’FBI o dal NSA onde appurare se le informazionic che raccoglie possono essere ‘soffiate’; ciò perchè altissimi dirigenti del governo bloccano queste indagini».

Giraldi prosegue ricordando una infinità di altri casi: fra cui quello di Larry Franklin, analista del Pentagono, arrestato nel 2004 mentre passava documenti segreti a due capintesta dell’AIPAC, American Israeli Public Affair Committee, la lobby temutissima dai deputati e senatori. Franklin ha ammesso di essere colpevole e sta scontando 12 anni, mentre i due ebrei - Steve Rosen e Keith Weissman - sono ancora liberi e belli, e sempre pronti a fare lezioni e pressioni sul Congresso. Rimandiamo i più curiosi  all’originale.

Quanto a noi, ci chiediamo come mai la rivista di Pat Buchanan ha deciso di rivangare la storia delle spie ebraiche (e di quelle che si muovevano sullo sfondo dell’11 settembre) dando a queste l’autorevolezza di un ex alto funzionario della CIA, molto noto e stimato come Giraldi; un ex ma sempre con molti amici nella Company, e in generale nella «intelligence community», un gruppo umano molto unito, dove agenti in servizio e a riposo continuano a vedersi e parlarsi.

Forse la tempistica non è senza relazione con una dichiarazione del senatore Joe Lieberman, noto ebreo neocon e vicino a McCain, rilasciata alla CBS News: Lieberman ha «previsto» che gli USA subiranno un altro attentato nel primo anno di presidenza del nuovo presidente.

«I nostri nemici metteranno alla prova il nuovo presidente presto», ha detto, «ricordate che il camion-bomba al World Trade Center del 1991 accadde durante il primo anno di presidenza Clinton. E l’11 settembre è accaduto nel primo anno di presidenza Bush» (3).

Forse la «intelligence community» ha mandato un messaggio al suo alleato. Che in napoletano potrebbe suonare: attenti, accà nisciuno è fesso.




1) Philip Giraldi, «The Spy who loves US - Pay no mind of the Mossad agent on the line», American Conservative, 2 giugno 2008.
2) Jeffrey Steinberg, «Israeli spies: Mega was not an agent, Mega was the boss», EIR, 31 agosto 2001.
3) «Lieberman: US will be attacked in 2009», Globalresearch, 30 giugno 2008.


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