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Sul MALE presente e sul BENE futuro (Parte III)
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L’albero della conoscenza del bene e del male è la «novità» della Creazione che, come opera di Dio, è essenzialmente buona.
Era la «novità» relativa alla «super creazione» dell’essere capace di conoscere ed agire liberamente per partecipare al potere creatore nell’armonia della Verità di Dio fattoSi padre dell’uomo.
L’essere umano, però, invece della stupefazione di fronte a questo «miracolo» creativo, per cui riceveva la libertà ad immagine e somiglianza di quella divina, reagì con la ribellione generata dall’altra novità derivata dalla sua libertà: la sete di potere e l’orgoglio, per cui la creatura si volle emancipata dal Creatore.
Ecco che il primo e maggior peccato dell’uomo libero era ed è il rifiuto dello stupore di fronte all’amore immenso e gratuito del Creatore; rifiuto dell’amore e della fiducia filiale che invece di arricchire, apriva una falla nella creazione perfetta con la libertà all’amore imperfetto, la cui conseguenza è lo sconfinato rischio del male.

Nel regno animale non esiste la libertà e quindi nemmeno il male.
Il cervello animale è comandato dall’istinto di sopravvivenza: codice scritto nell’anima animale.
L’essere umano, invece, poiché creato libero, dispone di un codice fisiologico minimo, ma «tabula rasa» per l’uso del cervello.
E’ quindi nato apprendista e la Rivelazione del Padre divino è il suo abbecedario per un’infinita capacità di conoscenza.
Infinita sì, perché anche se il cervello umano è simile a quello animale, serve ad operazioni molto diverse e infinitamente superiori.
Perciò, ad essere in causa di fronte al bene e al male sono l’intelligenza e la volontà libere dell’uomo; vettori della libertà, «nuovissimo valore» del Creato, perché estraneo al mondo materiale.
Vani sono i ragionamenti evoluzionisti sull’organismo animale dell’uomo.
Nella sfera materiale tutto è assimilabile anche a livello di DNA.
A questa luce, dire che l’uomo è 98% scimmia è tanto sciocco quanto prendere la percentuale d’acqua o di carbonio negli organismi viventi per fare paragoni con l’uomo.
Nemmeno la misura e la struttura del cervello è il dato definitivo.
Il cervello umano, anche se più capiente, è spesso materialmente meno «informato» di quelli di molti animali, dato che il suo apparecchio visivo è inferiore in confronto a quelli di un’aquila o di una mosca, e quell’acustico inferiore a quello di elefanti o pipistrelli.
Si dovrebbe dedurre allora che l’uomo capisce meno di tali animali?
No di certo, perché quel che conta è dove sono «lavorate» tali informazioni. Esse non si fermano nel cervello, che è soltanto strumento, ma non soggetto del pensiero.
La conclusione che non è il cervello che pensa sarebbe sorprendente?

Solo secondo le idee sorte dal materialismo.
Infatti, così come non è l’occhio che «vede» né l’udito che «sente», ma queste informazioni vanno al cervello, nemmeno questo dispone della decodificazione intera di questi segnali.
Alcuni provocano reazioni nervose immediate o successive, ma la maggior parte è a servizio del «pensare» secondo conoscenze, la cui sede è altrove.
Credere in un cervello che pensa da solo non è molto diverso da credere ad un PC che pensa, è fantasmagorico; è attribuire il pensiero alla materia, pur animata.
Senza il cervello non c’è vita mentale, ma senza l’anima non c’è nemmeno vita, né vegetale né animale, tanto meno del pensiero umano che le trascende.
Può il «computer» cerebrale avere responsabilità?
L’apparato cerebrale, come la sede di un telescopio, può essere migliore o peggiore, aumentare più o meno la visione delle cose e delle realtà invisibili, ma non decide.
E’ una camera di bottoni, ma non il dito né la mente che decide.
A farlo, per gli animali, è l’istinto di sopravivenza, un bene scritto nell’anima della specie.
Per l’animale uomo, a farlo non è più l’istinto automatico del «bene» scritto nell’anima della specie per la sopravvivenza, ma un libero arbitrio di fronte al bene e al male in una super «anima» che definisce la persona umana: l’anima spirituale.

Ecco il «principio» nuovo della Creazione divina, che le stupide teorie dell’evoluzione non sono minimamente capaci d’intendere.
Infatti, dovrebbero spiegare come mai quell’essere evoluto da sagge scimmie che per istinto difendono strenuamente la vita, tutto un tratto - nel «tempo» successivo a quell’introvabile «missing link» pechinese dei tali «miliardi di anni», entra nella camera dei bottoni per ordinale alle mamme di raschiare via dai loro ventri i propri figli e poi, per premere bottoni che fanno esplodere bombe micidiali nel mondo.
La saga dell’evoluto homo sapiens sapiens può superare ogni logica esistenziale quando, preso d’allucinazioni atee e nichiliste e dopo urla disperate, è capace di premere il grilletto contro il proprio cervello!
Per pudore è meglio evitare le espressioni tanto blasfeme quanto insane urlate dal prodotto di tale «evoluzione» del pensiero animale; basta meditare che tale scheggia autoimpazzita della creazione abita un po’ in tutti noi.
Abita nell’anima personale, come ha descritto San Paolo (vedi Romani 7) e in quella collettiva, come risulta non solo dalla storia delle guerre e dei massacri, ma dalle «filosofie storiche» che hanno ingenerato questi ed altri orrori.

Nell’impossibilità di descrivere tutti i mali umani che conducono alla morte del corpo e dello spirito, tutto ciò è da riepilogare nell’atto originale condizionante ogni altro: la libertà abusata dal Peccato d’origine proiettata nella storia.
Eppure, lo Spirito abita in chi Lo pensa.
«Fratelli, non siamo debitori verso la carne, così da vivere secondo la carne: poiché se vivrete secondo la carne, morrete; se invece con lo Spirito ucciderete le azioni del corpo, vivrete. Infatti, tutti coloro che si lasciano guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Non riceveste infatti uno spirito di schiavitù così da essere di nuovo in stato di timore, ma riceveste lo Spirito di adozione a figli, in unione con il quale gridiamo: Abbà, Padre! Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. Se figli, anche eredi, eredi di Dio, coeredi di Cristo, purché soffriamo insieme a lui, per poter essere con lui glorificati. Penso infatti che le sofferenze del tempo presente non hanno un valore proporzionato alla gloria che si manifesterà in noi. L’attesa spasmodica delle cose create sta infatti in aspettativa della manifestazione dei figli di Dio. Le cose create infatti furono sottoposte alla caducità non di loro volontà, ma a causa di colui che ve le sottopose, nella speranza che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta la creazione geme e soffre unitamente le doglie del parto fino al momento presente. Non solo essa, ma anche noi, che abbiamo il primo dono dello Spirito, a nostra volta gemiamo in noi stessi, in attesa dell’adozione a figli, del riscatto del nostro corpo» (Romani 8, 12-23).

Dio volle l’uomo libero per essere capace di conoscere e amare il Vero, il Bene e il Bello, quindi libertà ordinata dalla Grazia e alla Grazia dell’Essere divino.
Per questo permise il gran rischio della libertà.
Ma la concupiscenza umana volle rapinare la libertà totale, perfino di pensare e dire che, se il Creatore è la causa e la ragione del creato, sua è la colpa creando la libertà del male!
Ecco che il male finale del pensiero assume l’apparenza di «libertà religiosa»!
Dove altrimenti si potrebbe annidare il male della storia?
L’uomo nel corso della storia seguì rapinando la libertà fino al colpo finale: dichiarare la «libertà religiosa» un «diritto» davanti a Dio.
Anzi «in nome di Dio!».

Per capire questa rapina basta pensare che l’uomo da sempre considera scontata perfino la sua capacità di conoscere: come se questa non fosse, a pari della libertà, già di per sé miracolosa; frutto di princìpi che trascendono tutto quanto esiste nel mondo materiale, perciò un sommo credito e un immane debito.
Il Padre, per non perdere l’anima spirituale - quindi immortale – della creatura decaduta, provvide a rischiararle la conoscenza che la potrebbe riportare a quell’amore per cui fu creata.
Era la Rivelazione, custodita dal «popolo eletto» per originare la Sua famiglia futura, la Chiesa, nata dal Sangue Redentore di Suo Figlio unigenito.
La Chiesa è d’allora il rifugio per le coscienze che cercano lo «stupore originale» perso dall’uomo che si volle emancipato da Dio; uomo che ama la grandiosità del cosmo, ma vuole ignorare e arriva a negare il vertiginoso potere dell’amore divino.
Così rimane debitore insolvibile.
E’ bello il concetto del «avere quanto si ha dato».
Ma esso dev’essere preceduto dal riconoscimento che quanto si ha ci è stato dato.
E che da ciò decorre il primo dovere umano, pure se il più scordato, cioè la gratitudine.
L’uomo usa spesso il talento di conoscere quanto lo trascende per guardare solo alla materia; usa armarsi di super apparati costruiti dal genio spirituale umano per guardare l’universo ed esclamare, come fa la megeresca Hack: Dio non c’è!
L’uomo scruta l’intimo di una materia viva che non conosce per esclamare, come fanno certi microbi dello scientismo: prodotto del caso!
Ma questa grave cecità non è problema moderno.
No, ha un’origine e una lunghissima storia prometeica, iniziata con la sorda rapina dei valori della libertà e della conoscenza per uso e consumo esclusivo di uno sterile sé - uomo.

Per tutto questo si può dire senza timore di sbagliare che niente è più provato nella storia delle idee umane che l’esito di questa rapina e caduta originale.
Lo si riconosce in tutti gli umani, dai bimbi di mesi ai vecchi incalliti o rintronati.
Non c’è, quindi, male peggiore per la mente dell’uomo che l’alienazione dal Vero, dal Bene e dal Bello, specialmente se ha l’aspetto di debito «religioso».
Poiché il vuoto riguarda la fede nella Volontà del Padre di formare con l’uomo un’immensa famiglia, quest’alienazione esistenziale riguarda la società umana che, secondo la Rivelazione ha subito tre successive gravi cadute storiche.
La prima, originale, del Peccato di alienazione della diretta Parola di Dio. Per superarla, Dio ha formato un Suo popolo per preparare la venuta del Figlio, il Messia redentore.
Ma il Verbo incarnato fu rifiutato dai giudei, che alienarono la propria elezione a favore dell’idea pervicace di un loro regno terreno.
Per superare questa seconda lamentabile alienazione storica, Dio ha inviato il Suo Spirito a formare la Sua Chiesa per confermare l’opera del Verbo.

La nozione d’alienazione applicata al rapporto umano riguardo al Verbo di Dio ci aiuta a capire i tre tempi «teologici» nel corso della storia: dell’alienazione della Parola originale, del peccato da redimere con la venuta del Messia, nato dal popolo preparato da Dio per riceverLo.
Poi dall’alienazione del Verbo, il Messia incarnato, a favore di un messianismo terreno ideato dagli ebrei.
La buona novella del tempo di Cristo avrebbe ristabilito il senso dell’ordine terreno per gli uomini di buona volontà.
Ma fino a quando il pensiero umano sarebbe rimasto immune alle alienazioni ribelli?
Non è il «computer» celebrale che cogita queste alienazioni, ma le memorizza e registra come ogni pensiero, atto, parola e omissione della vita di cui la nostra anima spirituale è responsabile e dovrà rispondere, anche a livello di popoli.
Ora, il nostro presente contenzioso mentale è talmente pesante che salvo l’aiuto divino c’è da rimanerne schiacciati.

La rivoluzione del pensiero religioso è compiuta

Viviamo il terzo tempo: della Chiesa di Dio, rappresentante del Verbo uno e unico, la cui autorità divina è alla fine «levata di mezzo», ossia alienata a favore della mentalità e poteri del mondo senza Dio; dell’incredibile «libertà religiosa».
E’ vero che pure l’uomo moderno mira ad una grande famiglia umana, ad una unione di nazioni e di credenze, ad un governo globale ispirato da un nuovo ordine mondiale.
Ma può essere questo il piano per la famiglia di Dio formata nella conoscenza della creatura di fronte al Creatore?
Piano secondo il bene umano di ritorno a Dio e rifiuto del commercio con le contraffazioni del «poteri del male» che impera nel mondo materiale?
Piano del bene in terra derivato dal credere nel Dio Uno e Trino della fede che i veri Vicari di Cristo confermavano, dato che essa è la ragione delle Chiavi, per cui sono vitali all’ordine terreno?
O, al contrario, questo piano d’«unione» è fondato sull’alienazione della Parola e dell’autorità di Dio nella Sua Chiesa e del Suo Vicario, spiegato in tante encicliche, tra cui la «Mortalium animos»?
Tale tempo non è altro che quello della grande alienazione nominata apostasia generale; la passione finale.
Se viviamo quest’ora di male estremo, quale i suoi segni, visibili nella stessa Chiesa di Dio?
Poiché l’agire dell’uomo dipende dal suo libero pensiero, si deve seguire la storia di questo, ovvero del filosofare, per capire a che punto siamo arrivati. Nell’era dei grandi progressi scientifici e tecnologici, l’uomo occidentale ha avanzato piuttosto sul dubbio spirituale e l’attrazione per il mondo materiale.

La grande influenza è quella dei pensatori «illuminati» con la loro riduzione della visione oggettiva a quella soggettiva, per cui la «verità» dipende da ogni mente.
In tal modo il cristianesimo è ridotto a dottrina per il «progresso» sociale col consenso dei grandi sacerdoti conciliati con la mentalità del secolo.
E’ la «gran sintesi», il «compromesso storico religioso» per conciliare la tradizione col progressismo, l’oggettivo col soggettivo, la Religione del Dio che si è fatto uomo, con la «religione» dell’uomo che si fa dio, come auspicato da Paolo VI alla chiusura del Vaticano II.
E’ l’esaltazione delle conquiste moderne dei discorsi conciliari rivolti ad un nuovo ordine, i cui princìpi sembrano aver scartato le vecchie preoccupazioni, come quella della Caduta e della Colpa originale, in un mondo la cui vita non segue più costituzioni fondate sull’essere dell’uomo e sul diritto naturale e divino.
Ne deriva l’abrogazione mentale della Rivelazione, ovvero della Tradizione scritta e orale operata nel Luogo Santo.
Così, anche molti che si considerano cattolici ritengono lecito scartare, sia l’Antico Testamento, sia l’interpretazione del Nuovo, sia la Tradizione.
Eppure, è dall’insieme di queste lezioni divine che abbiamo l’intendimento del senso della vita e della storia.
La cattiva lettura fatta dagli ebrei dell’Antico Testamento non ne toglie uno «iota» dai suoi insegnamenti sul disegno divini, sulle conseguenze della caduta originale e sulla necessità di redenzione.
Anzi, li conferma a differenza di tutte le altre credenze e religioni.

La Tradizione «aggiornata» dal Vaticano II

La rivoluzione del Vaticano II «rompe con la tradizione del linguaggio scolastico, dove ogni termine è definito e rimanda a realtà determinate».
Esso, «per esempio, ha creato una quasi unanimità fittizia fra i suoi membri e, col pretesto di farlo meglio intendere dal ‘popolo cristiano’, ha gonfiato di equivoci il linguaggio biblico, dal quale due millenni di sforzi teologici avevano distillato la sostanza intelligibile. Quando un organismo come la Chiesa cattolica, così attento di non sacrificare nulla alla seduzione del soggettivismo, e nel salvare la portata ontologica della intelligenza umana, arriva a tale punto, si può dire che il male è universale. L’inoculazione della mentalità democratica nelle società più robuste costringe i componenti a intendersi solo su alcune parole e poiché ciascuno raduna sotto quelle parole il piccolo mondo immaginario che s’è fabbricato e che non coincide con quello degli altri, bisogna estendere all’estremo il significato dei termini usati, o prenderli in senso diverso in un medesimo contesto, se non in una medesima frase» (Marcel de Corte, «L’Intelligenza in pericolo di morte», pagina 175).

La Sacra Tradizione è «la predicazione o trasmissione orale di tutte le verità rivelate da Gesù Cristo agli Apostoli e loro suggerite dallo Spirito Santo, mediante il magistero sempre vivo e infallibile della Chiesa, assistita dallo Spirito di verità» (Enciclopedia Cattolica, vedi Tradizione).
Gesù Cristo promulgò la Parola, prima con le sue stesse labbra, e poi ordinò agli Apostoli di predicarla, non di scriverla o di farla scrivere.
Lo scritto è un mezzo sussidiario della tradizione orale, e negli scritti degli Apostoli è innegabile la frammentarietà e incompletezza, a confessione dei loro stessi autori (Giovanni 20, 30; 21, 25).
La Tradizione viva è superiore alla stessa Bibbia: «Se gli Apostoli non avessero lasciato nulla di scritto, si dovrebbe egualmente seguire l’ordine della Tradizione consegnata da loro ai capi della Chiesa» (Sant’ Ireneo, «Contro le eresie», III, 4,2).
Tertulliano, citando alcune dottrine e consuetudini non accennate dalla Bibbia, dice: «Se di queste e d’altre simili prassi disciplinari domandi l’autorità delle Scritture, non ne leggerai alcuna; ti si presenterà invece la Tradizione come autorità, la consuetudine a conferma, la fede che l’osserva» («De corona», citato in Enciclopedia Cattolica).

Il principio della Tradizione scritta e orale, che include le Sacre Scritture, è la trasmissione della Parola divina.
Perciò, Tradizione e Bibbia, sono una stessa cosa articolata in modi complementari.
Qui ci interessa sottolineare la verità che è stata negata dal Protestantesimo, e cioè che è la stessa Bibbia a registrare il fatto della Parola di Dio, ad essere stata affidata, prima d’essere scritta, a consacrati inviati dal Signore e messi da Lui sotto la direzione del primo confessore della Fede che è Pietro.
Tradizione e Bibbia sono dunque indivisibili e la seconda è autentica in quanto trasmessa e interpretata dai custodi della prima.
Non esiste perciò una Rivelazione autentica proveniente dalle Sacre Scritture che non venga dal Verbo di Dio, Gesù Cristo, e che non passi attraverso i custodi ai quali Lui ha affidato la Tradizione.
Si deve perciò riconoscere che anche l’Antico Testamento essendo l’annuncio della venuta del Messia è da Egli avvallato.
E il sommo valore del Nuovo Testamento scritto deriva dalla Parola trasmessa da Gesù Cristo, cioè dal Principio della Tradizione.
La Tradizione orale, confrontata con la Bibbia, si dice dichiarativa quando una verità attestata dalla Bibbia viene meglio chiarita nella Tradizione; costitutiva se trasmette verità non contenute nella Bibbia.
Ciò negano i protestanti, secondo i quali l’unica fonte della Rivelazione è la Bibbia, nella quale è contenuto tutto ciò che si deve credere, rifiutando così l’autorità divina della Chiesa.
Ora, il Vaticano II ha teso una mano a tale errore iniziando un velato processo revisionistico in vista delle aperture ecumeniste a cui si prefiggeva.
Per approfondire questo si può seguire i commenti del noto esegeta monsignor Francesco Spadafora, che partecipò ai lavori di quell’assemblea, sulla quale ha scritto diversi libri, tra i quali «La Tradizione contro il Concilio» , Volpe, 1989.
Si è compiuta li, quindi, un’alienazione del concetto stesso di Tradizione.

Per gratificare i protestanti il Vaticano II ha voluto aggiornare tante cose che sono l’essenza stessa del cattolicesimo: la sua Liturgia, Legge e Dottrina.
Eppure si dovrebbe domandare: è possibile farlo senza intaccare l’identità della Chiesa?
La risposta negativa è ovvia; se queste cose provengono dal Signore stesso, come insegna la Chiesa, come sarebbe possibile mutare il loro senso?
Quanto alla Tradizione, allora, si cade in una contraddizione logica, poiché se è aggiornata non è più quello da sempre trasmesso.
Inoltre, non è forse vero che essa precede naturalmente la parola scritta?
Può la lettura cambiare la scritta?
Se le questioni e i princìpi trasmessi sembrano non fare più parte del pensiero moderno, se il mondo attuale, la cui vita non segue più costituzioni fondate sull’essere dell’uomo e sul diritto naturale che ne deriva, è cambiato, si deve dedurre che le verità trasmesse sono in fase di decadenza? Sarà che il «credere» nell’Incarnazione e nei dogmi di fede, così come nelle parole del Catechismo cattolico sui «Novissimi»: morte, giudizio, inferno e paradiso, può essere aggiornato come se fossero illusioni vecchissime?
O, al contrario, è la mentalità del mondo moderno a corrompere il ricordo di realtà che non può superare?

Il rifiuto dello stadio indispensabile del «credere»

Non si ricorderà mai abbastanza la lezione sul «credere» come primo verbo coniugato dalla mente umana secondo il principio innato del libero pensare e manifestazione basilare della coscienza: essa apprende l’esistente credendo in quel che la precede e nell’esistenza di una norma di bene nel suo intimo.
Altrimenti come potrebbe Dio volere che fosse insegnato in tutta la Terra: «chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi non crederà sarà condannato» (Marco 16, 16).
La tentazione originale non insinuava forse il contrario?
E non è quanto fa oggi la «libertà religiosa» della «Dignitatis humanae» del Vaticano II, per ogni credenza o incredulità alternativa?
E tutto ciò, in nome della stessa dignità della persona umana, cos’altro insegna se non il diritto di non credere?
Ma si noti bene, si tratta anche del non credere che la vita umana abbia una «causa», una «ragione», un «fine» e perciò che ci sia la Verità e il Bene che la trascende?
Perciò il Male include l’inversione ecumenista del «diritto» a non credere in foro esterno.
Lo stato avanzato della crisi è specialmente conseguente a questo pluralismo dell’indifferentismo ecumenista, che è in diametrale opposizione alla fede cristiana e cattolica perfettamente definita e trasmessa dalla Tradizione.
Nell’idea ecumenista, che assimila tutte le religioni come se fossero tutte verità parimenti buone e rivelate alle coscienze, è implicito il concetto modernista: «La verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve in lui, con lui e per lui», condannato da San Pio X («Lamentabili», 58).
Alla luce dell’insegnamento divino, che fa riconoscere la verità e praticare il bene che da essa deriva, si può capire che una dottrina protesa a giustificare la confusione nell’errore, e perciò il male, è falsa alla luce del Vangelo e della logica; è «conoscenza» nefasta per le persone e per i popoli, maggiormente se enunciata da un’autorità religiosa in nome della Chiesa cattolica.
I Papi hanno avvertito sul pericolo dell’organizzazione terrena che riassume i pensieri segreti sul nuovo ordine teso alla riconciliazione globale al di sopra delle differenze religiose che è la Massoneria.
Se essa pontifica nella Chiesa, si può concludere che il Papato cattolico è stato raggiunto dai tentacoli di questi poteri ed è stato abbattuto, come è nella visione del Terzo Segreto di Fatima.

Il pensare, il credere e l’autorità

L’educazione al credere non vuol dire educare ad essere creduloni, ma a seguire l’istinto innato della fiducia verso i più grandi, che sanno più di noi.
Sentiamo C. S. Lewis sul «credere» naturale («Mere Christianity»): «Che non si abbia paura del termine autorità. Credere nelle cose a causa di un’autorità significa semplicemente credere in esse perché crediamo credibile chi le insegna. Novanta nove per cento di quanto crediamo è creduto a causa dell’autorità. Io credo che ci sia un tale posto nel mondo, ma non l’ho visto e non posso provare che ci sia con un ragionamento astratto. Lo credo poiché persone credibili l’hanno detto. Le persone normali credono nel Sistema Solare, negli atomi, nella circolazione sanguinea a causa dell’autorità dei scienziati. E così per gli eventi storici che non abbiamo vissuto...».

Oggi, si sa, il «credere» è sistematicamente screditato in rapporto a quelli che ci hanno preceduto.
Eppure, la conoscenza è di per sé il risultato di un sano credere ed accettare quanto già pensato.
Si può rifiutare l’affermazione che il principio dell’apprendimernto sia la sottomissione a quanto già conosciuto (Maurras)?
E’ vero che si possono contestare tante scoperte, ma per arrivarvi si deve fare comunque gavetta; studiare quanto ci precede.
E se ciò vale per alcune scienze, è vano per le scienze esatte, di fronte alle quali vi è poco da contestare, tanto meno per chi è alle prime armi.
E qui si dovrebbe parlare del dovere di gratitudine.
Infatti qualsiasi studioso oggi vive sulle spalle di molti che lo hanno preceduto, affrontando tante difficoltà e spesso senza poter salire sulle spalle altrui.
Ora, quando la Religione insegna esplicitamente l’obbligo del credere pieno: in Dio e a Dio, parte dal concetto implicito della tendenza naturale del credere; il primo su cui si fonda la paternale autorità della Chiesa.
E come possiamo non credere in una autorità originale del pensiero trovando inciso nella nostra propria coscienza un vincolo, un principio di bene che precede e segue il pensiero stesso?
Trattando della questione religiosa; quella di tutti i tempi come quella presente, si deve aver ben chiara la questione vitale della vera autorità.
Essa definisce il senso del vivere come si pensa e del pensare come si crede, che definisce la stessa Religione.

Quando si pensa alla grande insistenza con cui Dio nelle Scritture Sacre richiede dagli uomini il «credere» facendo sapere che esso è decisivo sia per la sua armonia terrena che per la sua salvezza eterna, si capisce l’importanza vitale del credere per la salute mentale dell’uomo; il credere non è meno necessario per la vita mentale che l’aria per la vita fisica.
La differenza è che senz’aria il corpo muore, ma senza credere la mente non muore; uccide.
Innanzitutto annienta la propria vita spirituale per in seguito cercare un’affermazione materiale, un dominio delle cose mondane, capace perfino di sopprimere la vita altrui.
Lo si è visto seguendo il professor De Corte nel capitolo sull’utopismo: un credere trasferito prepotentemente alle proprie o altrui elucubrazioni.
Perché non si crede a Dio si finisce per credere nei demoni d’insane ideologie.
Ora la volontà divina di salvezza è universale e Dio vuole ricuperare l’uomo in quanto persona dotata d’intelligenza e volontà.
Il mezzo di applicazione della Sua grazia è dunque indirizzata al credere: è la fede, che passa necessariamente per un’impostazione mentale ricettiva.
Si tratta di quanto abbiamo chiamato rapporto tra credere e pensare, per il quale si fa presente quel che è; quel che è vero e che guida la vita al suo fine ultimo.
La mente è elevata dal pensiero religioso, a Colui che è: Dio, autore, ragione e autorità della vita; la sua Causa e Principio.
L’uomo ha perciò bisogno, da piccolo, della conoscenza da credere dovuto all’autorità del Suo Autore: la Rivelazione.
La Religione si definisce dunque come l’istituzione in terra dell’autorità del Padre manifestata nella Rivelazione, che accende la scintilla già presente nelle coscienze col codice naturale.
La fede soprannaturale è virtù teologale suscitata da Dio, ma lo è attraverso l’intelligenza.
Prima di poter ricevere la fede, quindi, l’uomo dev’essere per natura capace di fede, di cui la mente dev’essere ad un tempo attirata e atta a riceverla.
Se non lo fosse naturalmente come potrebbe esserci la colpa del non credere?
Quindi l’educazione infantile e giovanile priva del credere nel Bene è criminale; è causa della credenza nel potere del Male.

Il rapporto della Fede con l’ordine terreno è negato

Dio rivelatoSi: «Io sono Colui che sono» (Esodo 3, 14) rivela l’ordine dell’Essere, per cui l’essere umano dipende dall’Ordine divino, cristiano, come ogni effetto dalla sua causa.
Se la società devia da questo asse naturale, non sa discernere il bene dal male e sprofonda nel disordine.
E’ il caso del mondo civile che si arroga il potere di sottomette ai voti la Legge naturale e divina sulla vita umana, come nella questione della famiglia, della riproduzione, dell’aborto e dell’eutanasia.
Non di meno è la questione della religione, per cui la Verità è alienata a favore di una unione umana di credenze che deviano le coscienze dalla certezza della Parola divina, che è Una.
Questo fa il maleficio ecumenista oggi in voga.
E poiché l’ordine deriva dalla conoscenza del bene, come il disordine dalla sua ignoranza, esso è l’ultimo e più completo colpo riguardo al governo del mondo, dove si giudica soltanto secondo un’incerta idea umanistica sul
bene e sul male.
Non solo, tutto ciò rinforza il gran complotto, il cui esito è ora l’asservimento della Chiesa di Dio a idee agnostiche sui diritti e sulla pace, dettate dall’ONU.
Per essa non c’è pace senza giustizia, né diritto senza libertà, ma poiché questi valori sono subordinati alla Verità, senza di essa il mondo è privo di ogni pace.
Ecco un segno visibile.
Non c’è pace perché non c’è rispetto per la Verità.
Questo concetto essenziale è oggi censurato niente meno che dall’operazione ecumenista delle verità relative del Vaticano II, per cui c’è della verità in ogni credenza, ideologia, fede umana!
E non si tratta delle verità elementari senza le quali non si potrebbe nemmeno comunicare: si tratta della Verità rivelata sull’ordine personale e sociale, i cui princìpi sulla vita sono diversi se non opposti tra le religioni. Come potrebbe l’uomo in ogni tempo e circostanza rimanere centrato nel bene e lontano dal male senza i fondamenti dell’ordine sociale?
Eppure i capi conciliari sono andati ovunque, non per confermare la fede nella dimensione d’eternità dell’ordine sociale cristiano, ma per lodare la libertà nel pluralismo delle credenze d’ogni religiosità.

Una costituzione per l’umanità con «princìpi» illuministici

Mentre i princìpi basilari del cristianesimo per la costituzione universale per gli uomini è espressa nell’equazione: «Vero = Bene = giustizia = diritto = libertà; e di contro: errore = male = ingiustizia = torto = schiavitù»; per l’illuminismo non la verità, ma la libertà ha ogni diritto, per cui esiste e va salvaguardata la libertà dell’errore, anche religioso. Se Gesù ha detto: «La verità vi farà liberi» (Giovanni 8.32) e ha proclamato Se stesso Verità incarnata (Giovanni 14.6), indicando il peccatore, cioè l’operatore di errori come vettore del peccato, per l’illuminismo il liberale è il candidato ideale a governare e anche nella Chiesa è il ‘papabile’ ideale per aggiornare la religione a consigli più conformi ai tempi. Per l’Ordine cristiano la separazione tra vero e falso, tra bene e male, alla luce della
verità rivelata, è la ragione della Religione e d’ogni retta legge, mentre la libertà di scelta pure del falso, come vuole il pensiero libertario, è contraria al diritto che deve conculcare il male; è già il male e conflitto. Il primo principio della Costituzione per l’umanità è l’unità e unicità della legge naturale e divina data per ogni popolo e tempo, per cui senza il
dogma di un Dio legislatore ogni obbligazione morale è chimerica» (Bergier, «Traité hystorique et dogmatique»).

Per l’illuminismo, invece, il principio generatore delle costituzioni politiche non dev’essere il Decalogo, né un principio divino e sacrale, ma, al contrario, la libertà religiosa d’ogni credenza.
Così, lo spirito illuminista sorge come maestro di un bene, anche neocristiano, per un continuo progresso dell’utopia del nuovo ordine fondato sulla libertà derivata dalla dignità dell’uomo che si fa dio, legge libertaria gestita da una super società, che censura la lettura tradizionale delle Sacre Scritture, ovvero dei princìpi divini che devono generare le
leggi, come è scritto: «Sono Io che creo i re» (Pr 8,15).
Ecco il pluralismo di princìpi che i capi conciliari hanno confermato con i documenti del Vaticano II.
Di fronte a tale progetto sincretista ed ecumenista di una nuova fede, si può ignorare l’inganno finale dei «falsi cristi e falsi profeti» che riducono la verità della Religione dell’Essere ad una praxis ecumenista?

A questo punto si deve domandare: come può un’autorità cattolica conciliarsi con quanti operano, nelle coscienze, nelle società, nella Chiesa stessa, contro tale principio?
Se è vero, come sempre hanno creduto i cattolici, che per arginare il male sulla terra i popoli devono avere leggi fondate sul Diritto naturale e divino derivato, non da centri di pensiero, ma dalla natura umana, come potrebbe un Papa non confermarlo di fronte a tutte le nazioni?
Potrebbe un Papa recitare il credo ma non proclamare l’unità e unicità della rivelazione del Verbo divino, il Logos che rivela alle società l’origine, natura e fine del proprio essere?
Sarebbe il Credo alieno all’ordine sociale?
Il Vicario di Gesù Cristo, non è il segno visibile di quest’unità della Legge che ordina il mondo e della Fede che salva le anime rinate dal Sangue Redentore?
Non è forse vero che Dio istituì la Chiesa, Luce del mondo, Cittadella della legge e della Fede, rifugio delle coscienze, per assicurare il piano di salvezza universale?
Potrebbe, invece, un vero Papa rendere il Mistero della Redenzione su cui è edificato l’Ordine cristiano, una scelta ecumenista aleatoria?

Il Giudizio per i cristiani è spiegato da Gesù: «Quando sarà venuto [lo Spirito Santo], egli accuserà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato» (Giovanni 16, 9-11).
Il peccato del mondo è l’incredulità (vedi Giovanni 8, 21.24.46; 15, 22; Marco 16, 16), che lo Spirito Santo metterà in piena evidenza, manifestando il senso della morte di Gesù, che con essa ha sconfitto i poteri tenebrosi di questo mondo.
Tutto ciò va impresso nella coscienza dell’uomo rinato in Gesù Cristo.
Poiché la mente umana non può conoscere quanto le è esterno se non partendo dal «credere», esso costituisce il principio del suo pensare.
Ecco che se il «credere» umano non si rivolge all’Alto si volge verso se stesso e il basso; se la mente non crede al Bene si rivolge al male.
Ecco che nell’ora presente il primo dato del pensiero necessario per restaurare l’ordine umano è la consapevolezza che esso dev’essere instaurato nel suo Principio.
Il suo nome è Gesù Cristo, il cui insegnamento è perenne per l’ordine umano; è il «fermo proposito» di San Pio X (11 giugno 1905) per il nostro secolo.
Ma questo criterio di giudizio su responsabilità e alienazione è invertito dalle rivoluzioni e negato sottilmente dal modernismo conciliare.
Si lascia intendere che la vera deresponsabilizzazione umana sarebbe conseguenza del paternalismo, della cura materna delle anime da parte della Chiesa.
Questa dovrebbe allora tacere e la sua missione essere sostituita da un assistenzialismo umanitarista materiale e dall’educazione ugualitarista dello Stato, fondata sui bisogni della carne.
Per i bisogni dello spirito si inserisce allora il buonismo modernista «collettore di tutte le eresie», continuato dal revisionismo conciliare, collettore d’ogni rivoluzione.
Infatti esso mostra di aver in vista i bisogni di un’animazione spirituale ordinata ad un fine sociale.
Ecco che si vuole sviluppare un criterio comune di giudizio sulla responsabilità umana che soddisfi sia le idee dei sistemi rivoluzionari, moralmente permissivi, sia le varie visioni religiose sulla vita dopo la morte.
Vedremo che tale «coscienza conciliare» parte dall’idea di una dignità umana «anonima» e assoluta, che, divenendo il «principio» della redenzione, fa proclamare la «verità» della redenzione universale in qualsiasi fede, anche senza fede; la dignità della libera volontà della persona umana coprirebbe ogni responsabilità, pure in atti indegni.

A questo utopismo alienante hanno aderito ieri i modernisti e oggi i chierici della «nuova coscienza» della Chiesa del Vaticano II.
Esso è uno dei prodotti terminali del disordine originale; una trappola semantica di effetti devastanti.
Perché?
Perché l’uomo, che può e deve darsi un ordine di vita secondo la norma incisa nella sua coscienza; ordine rivelato dal Creatore e principio di una vera armonia e unione umana, s’inventa, invece, un ordine proprio con cui dominare il mondo.
Ordine che è disordine per la semplice ragione che un essere razionale che disconosce la verità sulla sua origine, stato presente e ragion d’essere non può darsi da sé un ordine di vita, un fine esistenziale: non può essere principio.
Eppure, lo fa anteponendo l’unione numerica a quella spirituale; l’ordine apparente della materia a quella ontologica dello spirito.
Ecco un disordine anche del pensiero perché altera il senso semantico del termine «ordine», per definizione fondato sulla realtà esistente e precedente; su l’unità in una sequenza gerarchica.
Che ordine può venire dal piano di fondare un ordine su un’utopia da venire?
Insomma, negando la propria ignoranza sull’essenza della sua natura rivelatagli dall’autorità di Dio e confermata attraverso la sua Religione, l’uomo abusa del termine «ordine»; lo usa nel suo senso inverso; che propone di stabilire ordine a partire dal proprio orgoglio, disordine e limitazione mentale.
Ecco che il nuovo ordine che oggi la nuova classe conciliare vuole concordare con i signori del mondo è, non soltanto alienazione «filosofica», ma religiosa, nel senso di una inversione dell’autorità vicaria, data per ordinare la vita umana a Dio, ma usata per «aggiornare» la fede al «progresso» degli uomini.
Per caratterizzare il pensiero cattolico si è ricordato prima che il retto vivere deriva dal retto pensare, che a sua volta deriva dal credere.
Ciò vale per l’intelligenza umana in generale, che da sola non può conoscere il principio, lo stato attuale e il fine ultimo della vita dell’uomo. Perciò, essa deve partire dal credere nella necessità di cercare e capire la causa esistente; ha bisogno di un legame e deve seguire un ordine che la precede.

E qui si trova oggi di fronte ad un dilemma cruciale.
Da un lato la via religiosa naturale caratterizzata da un segno tramandato e creduto, quindi, naturalmente tradizionale: segue la conoscenza derivata dal suo Principio divino.
Dall’altro lato ci sono i pensieri sul bene, sul vero, e anche su Dio, derivati da idee dedotte o immaginate da «conoscenze» esoteriche rivestite da «autorità».
Ecco che chi non ha creduto nella verità una, finisce per credere in ogni novità avulsa.
Ma si può dichiarare «diritto umano» la propaganda degli errori?

E’ la «piovra» sincretista estranea alla «chiesa conciliare»?

Il male è sempre nel pensiero determinante l’azione contraria al retto agire.
Il bene nel mondo richiede, quindi, la massima attenzione per il coltivo e la preservazione del retto pensiero, che distingue il bene dal male specialmente nel piano della conoscenza.
Di questa si dovrà rispondere se si rifiuta quell’ordine logico delle cose, quei princìpi che sono i fondamenti della sapienza.
Ebbene, propri questi furono demoliti da quel che oggi si usa chiamare filosofia moderna, ma che rifiuta la conoscenza oggettiva, a favore di visioni soggettive.
Ora, nella conoscenza della verità, questa è il «soggetto» che determina la giusta visione della realtà a cui la mente si deve conformare.
Credere a quel che si vuole è ingannevole e pericoloso; è il male del soggettivismo per cui la verità non sarebbe più la mente che si conforma
alla realtà, ma essa che si dovrebbe adeguare al pensiero del soggetto umano: la mente umana che determina il vero!
Ciò, per conseguenza, determina pure il «bene» di una fede buona e vera. Ogni anima potrebbe allora scegliere la verità religiosa soggettiva a cui credere.
E’ il «diritto» al liberalismo religioso, che mira non più alla verità una e oggettiva, ma alla possibilità d’«unire» ogni credenza in un sincretismo che dispensa la «verità» a favore dell’ideale utopico della «pace».
Con la ribellione originale, l’essere umano si era messo potenzialmente dalla parte del Nemico, col rischio di perdere per sempre la propria anima immortale.
Ecco di cosa Gesù Cristo ci salva, perché «chi è nato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
Potrebbe il Vicario di Cristo preferire la pace dell’ONU alla verità di Dio? Le campagne abortive mondiali al Decalogo?
L’educazione dell’UNESCO a quella del Magistero?
Forse è difficile predicarlo, ma il Papa cattolico vive nel fortino Vaticano solo per confermare la Verità «opportune et importune».
Potrebbe considerare opportuno cambiare i tempi e le leggi a favore della «pace ecumenista» voluta dalle logge?

La risposta negativa è ovvia, dato che l’autorità papale è definita proprio dalla conferma della Verità come bene supremo.
Potrebbe per debolezza non farlo, ma se dichiara il contrario, la libertà religiosa di scelta di una qualsiasi verità, allora ciò è un’autodichiarazione di inconformità con la fede.
Il Papa cattolico non può, quindi, conciliarsi con la mentalità moderna che intende liberare le coscienze dalla Legge naturale e divina, com’è nell’ultimo articolo del Sillabo.
E poiché questi sono i termini del «gran complotto» contro la fede dei
nostri tempi, un pontefice ecumenista, simpatizzante della religione dell’uomo che si fa dio, è, volente o nolente, parte del complotto «metafisico» di cui il Signore è venuto a redimerci con la Sua Passione e Morte.
Si ha, quindi, più che il diritto, il dovere di non considerarlo cattolico.
E questo vuoto è devastante non solo per i cattolici, ma per il mondo intero.

Il Vangelo è la storia della vittoria del Bene e della fede su questo Male.
Male della riduzione dell’uomo per mezzo della diseducazione al credere nelle proprie origini, natura e fine ultimo, tutto nel senso di uno spaventoso apolide cosmico, che si ritiene emancipato dalla verità del Padre.
Ecco il piano degli uomini del mondo che si vogliono dèi, legiferando sul bene e sul male che ignorano.
Un’immane sciagura annunciata a breve scadenza, di cui però i nuovi profeti conciliari non parlano a causa della loro complicità con le «libertà religiose» mondane.
La vittoria, però, alla fine, sarà della fede, speranza e carità di chi cerca e accoglie il Regno di Dio e la Sua Giustizia.
Solo lì c’è l’Ordine perché si crede in Gesù Cristo e nella Sua Chiesa e «perché il principe di questo mondo è stato giudicato» (Giovanni 16, 9-11) e c’è di nuovo il katéchon per la libertà del male.

Arai Daniele

Sul MALE presente e sul BENE futuro (Parte I)

Sul MALE presente e sul BENE futuro (Parte II)


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