>> Login Sostenitori :              | 
header-1

RSS 2.0
menu-1
barack_obama.jpg
Perchè Obama è in pericolo
Stampa
  Text size
Un passo notevole dal libro di Barak Obama, «Dreams of my Father»:

«... Mentre tornavamo alla nostra auto, passammo accanto a una botteguccia di abbigliamento, piena di abiti da poco prezzo e di maglie vivacemente colorate, con in vetrina due vecchi manichini che erano stati bianchi ed ora erano ritinti di nero. La bottega era male illuminata, ma nel retro potei intravvedere la figura di una giovane donna coreana che cuciva a mano, mentre un bambino dormiva accanto a lei. ‘La scena mi riportò alla mia infanzia, ai mercati dell’Indonesia: gli ambulanti, gli artigiani del cuoio, le vecchie che masticano la noce di betel e scacciano le mosche sulla loro frutta con scopini di corda… Ho sempre visto quei mercati di Jakarta per quel che erano: cose fragili, preziose. La gente che là vendeva i suoi beni poteva essere povera, anche molto più povera della gente che abita ad Altgeld (il quartiere più degradato di Chicago, dove Obama ha fatto lavoro volontario). Quella gente portava venti chili di legna da ardere sulle spalle ogni giorno, mangiava poco, moriva giovane. Eppure, nonostante tutta la loro povertà, nelle loro vite restava un ordine discernibile, un arazzo la cui trama è fatta di strade verso il mercato e di mediatori, di piccole tangenti da pagare e di usanze da osservare, i costumi di una generazione recitati ogni giorno in mezzo ai mercanteggiamenti e al rumore e alla polvere. Era la mancanza di tale coerenza a rendere Altgeld un posto così disperato, mi dissi».

Anche se la forma può essergli stata dettata da un ghost writer, questo passo - a mio parere - segnala in Obama una profondità rara, e un coraggio anche più raro. Ogni americano vive nel suo mondo, vasto come un continente, ma chiuso: l’America è per lui il luogo privilegiato da Dio stesso, il solo dove la civiltà alberga, e che quindi deve diffondere nel mondo.

Anche fra quelli che hanno trascorso l’infanzia all’estero - pochissimi - è di fatto impossibile trovarne uno che abbia non solo «sentito», ma anche amato la trama di una società tradizionale, comprendendo il bene impalpabile che una società organica dona ai suoi abitanti; valore essenzialmente non-monetario, non quotabile a Wall Street. Di certo nessun candidato presidenziale è mai arrivato a questa coscienza. Ancor più grande è il coraggio che Obama dimostra nel dire queste cose negli Stati Uniti, o nel farle dire al suo nome, segno di una sincera convinzione.

In questi giorni, i media americani sono pieni di maligne allusioni a questo candidato «voltagabbana», perchè Obama è tornato su alcune sue posizioni riguardo al ritiro delle truppe in Iraq; è debole, è flip-flop, non controllerà la situazione... Naturalmente, i media fingono di non sapere che qualunque cosa dicano i candidati in campagna punta a guadagnare fasce di elettorato, e a rassicurare fasce specifiche di grandi finanziatori: Obama «deve» dire certe cose in una società «di destra religiosa», che sogna l’Armageddon, e dove i neocon, nonostante il fallimento cui hanno condotto il Paese, continuano a dominare il discorso pubblico.

Poco importa. Importa che, con  il passo citato, Obama mostra un coraggio inaudito. Anzi, temerario.

In America, è positivamente vietato sostenere che i poveri di un mercato di Jakarta sono più felici dei poveri negri di Altgeld a Chicago, devastati dal crack e dalla violenza. L’essenza dell’America è l’odio per le società organiche, e tutta la sua storia - come sappiamo - è stata dedicata alla distruzione radicale di ogni residuo di società tradizionale, dai pellerossa alla Spagna, dall’Europa al Giappone. Ciò non per contingenza, ma per essenza dell’americanismo.

«Obama odia l’America», proclama infatti un opinionista (poi diremo chi è), e cita come prova di questo «odio» proprio il passo che personalmente ci ha commosso.

«Amare l’America» dice questo opinionista, «è riconoscere la sua grazia speciale, ossia il fatto che una nazione fondata non sulla etnicità, sulla lingua o la cultura, ma piuttosto sulla santità dei diritti individuali vincerà, mentre i resti della società tradizionale saranno spazzati via. La coerenza della società tradizionale impone sì una struttura alla vita: una struttura così rigida che tali società non sanno adattarsi al cambiamento e devono cadere davanti ad un impero che interferisce con esse. Gli americani, grazie alla inviolabilità dei loro diritti individuali, sono liberati dalla gabbia della società tradizionale e resi responsabili delle proprie azioni. Quelli che amano l’America sono quelli che cercano di emularla, comprese le centinaia di nuovi cristiani del Sud Globale, i quali ben capiscono la sua unicità. Esigere il rispetto per le proprie residuali società tradizionali (nel Sud Globale) è un’espressione di invidia per la grazia speciale americana. Che un candidato presidenziale americano si riferisca alla società tradizionale come a un modello per la soluzione dei problemi americani, è un fatto senza precedenti. Una cosa è denunciare gli errori americani, purchè non si mettano in dubbio i principii americani; ma mai prima l’America ha preso in considerazione di eleggere un presidente che preferisce l’alternativa; questa  rischia di essere la cosa più pericolosa per gli Stati Uniti dal tempo della guerra civile» (1).

Qui, è formulato il Credo dell’ideologia americana, questo miscuglio di calvinismo messianico- mercantile, di imperialismo bellicista, di darwinismo «religioso» e disprezzo per gli «altri», gli «aliens», gli uomini di carne ed ossa sostituiti dalla «santità» dell’individualismo (2).

Ogni atto di fede dell’americanismo è qui precisamente elencato: le società organiche vanno distrutte perchè sono «fragili» (è precisamente per questo che Obama le ama, gli sono «preziose»), dunque è facile alla superpotenza distruttiva; la «grazia speciale» degli USA è chiamata a distruggere uomini tradizionali, quelli veri perchè impastati con i costumi delle generazioni, della etnia e della lingua, per «liberarli» ossia trasformarli in «individui», atomi anonimi (e che vengono privati dei «diritti individuali» appena serve); tutto il mondo deve essere Altgeld, a Chicago; ogni Benares deve diventare Brooklyn, ogni Samarcanda il Lorenteggio. Dunque Obama odia l’America, e non deve diventare presidente.

Chi è l’opinionista che scrive queste cose? E’ un personaggio che si firma con uno pseudonimo  molto indicativo, «Spengler», e che scrive regolarmente su Asia Times. Come il vero Spengler, il suo pseudonimo è un «declinista»: articolo dopo articolo, «Spengler» proclama che l’Europa sta commettendo suicidio, per la sua bassa natalità, per l’invasione dei musulmani che consente senza difesa, e perchè nel suo secolarismo pagano, ha abbandonato le sue radici cristiane - al contrario dell’America. Sembra molto vicino alle tesi di Papa Ratzinger, che infatti egli loda quanto può e in cui ripone grandi speranze.

Ma attenzione: la «christianity» cui il falso Spengler  fa riferimento è quella dei «born again christians», delle sette dei telepredicatori americani, di cui esalta l’attività missionaria (ecco spiegate le «centinaia di migliaia di nuovi cristiani del Sud del Mondo»); il suo cristianesimo è apparentemente di tipo luterano, come ci si aspetta da uno pseudonimo tedesco.

Ma in realtà, egli fa riferimento (e cita spesso) al «protestantesimo» di Franz Rosenzweig, un pensatore «religioso» ebraico tedesco della fine ‘800, di cui echeggia l’idea centrale: le nazioni pagane dell’antichità aderirono al cristianesimo per salvarsi dalla morte nazionale collettiva che le minacciava con il disgregarsi dell’impero romano.

Non stupirà sapere che «Spengler» parla soprattutto di «giudeo-cristianesimo», e sta cercando di vendere il sionismo (di cui è grande ammiratore) ai cattolici, come modello di difesa preventiva contro l’Islam. E’ un grande ammiratore del presidente Bush, tanto che ne vorrebbe alla presidenza un terzo: Jeb Bush, governatore della Florida.

Sulla identità di «Spengler», corrono due scuole di pensiero (3). Secondo la prima, il suo vero nome è Uwe Henke von Parpart, di celebre ed antica  famiglia militare prussiana, forse già ufficiale della marina tedesca e della NATO; sarebbe stato un membro del movimento di Lyndon La Rouche in Germania, poi avrebbe cambiato campo e Paese. Stabilendosi in Thailandia, dove avrebbe messo su famiglia. Oggi fa essenzialmente il banchiere, (Bank of America di Hong Kong), in affari con la Cina, e scrive su Asia Times.

Secondo l’altra scuola di pensiero, «Spengler» si chiama David P. Goldman, non è luterano ma ebreo, ed è un musicologo di valore. Ha collaborato alla «Rivista Internazionale di Musica Sacra» vicina al Vaticano (da ciò il suo interesse per  la «christianity» di Ratzinger).

Non mancano gli indizi a favore di questa seconda identificazione: Goldman ha firmato col suo nome, nel 1999, un articolo su Rosenzweig  («Has Franz Rosenzweig’s time come?») sulla rivista dell’International Council of Christian and Jews, con sede nella casa del teologo ebreo Martin Buber in Germania - una entità che si specializza nel «vendere il sionismo ai cristiani» come «necessità teologica»; nel 2007 «Spengler», con lo pseudonimo, ha firmato un articolo dal titolo «Rosenzweig and the abrahamic religions» su «First Thing», la rivista di del neo-cattolico (e neocon)  Richard Jonh Neuhaus. I due articoli sono copia l’uno dell’altro.

Anche First Thing vende sionismo bellico ai cristiani. L’ultimo numero (vedere il sito) si apre con un articolo dal titolo «Zionism for Christians», in cui l’autore spiega  «che cosa la pura e esemplice esistenza di Israele significa per la teologia, specie per quella cristiana; e cosa significa la teologia per il mantenimento in esistenza di Israele». Il pezzo è firmato David Sushon; più di un motivo (stilistico e non solo) ci fa credere che Sushon sia nient’altri che Goldman, o «Spengler».

Ma la cosa più strana è che David Goldman condivide molte caratteristiche con Uwe Enke von Parpart, il prussiano. Anche Goldman è stato un transfuga di Larouche. Anche Goldman, oggi, fa il banchiere d’affari, alla Asteri Capital, un fondo speculativo di Parigi, anche se Goldman vive a New York (dove frequenta regolarmente la sinagoga); e prima, ha lavorato  alla Cantor Fitzgerald, la grande compagnia finanziaria specializzata in metalli preziosi, con sede in una delle Twin Towers, il cui personale per intero (700 persone) fu incenerito dall’attentato «islamico».

Insomma, qualcosa ci dice che Goldman si mascheri a volte da «von Parpart» prussiano, a volte da «Spengler» luterano-rosenzweighiano ammiratore di Benedetto XVI, a volte da Sushon, e sempre per ripetere lo stesso messaggio: la salvezza di Israele deve interessare tutti i cristiani, anche i cattolici, e il giudeo-cristianesimo è il solo futuro dell’Occidente per salvarsi dall’estinzione.

A meno che non sia effettivamente non un solo individuo, ma un gruppo: quel gruppo che, con la partecipazione della famiglia Bush, manipola il Vaticano nelle sue visioni cristianiste e giudaizzanti recenti. Ma credo all’ipotesi dell’individuo unico. Un «individuo» nel senso americano, così anonimo, da poter assumere diverse identità a piacere.

Dopotutto, non è strano che sia quella la civiltà preferita per questo genere di individui: loro vivono meglio dove è stata cancellata ogni «etnicità, lingua e cultura» specifiche, senza niente di organico nè di tradizionale. Tanto più bella per chi frequenta la sinagoga di New York, dove i fedeli sono tutti miliardari; ed è molto lontana da Altgeld, Chicago.

Personaggi del genere sono i militi di quella guerra occulta in corso, che non è per «la carne e il sangue», ma per la possessione degli spiriti. Personaggi simili non possono essere che strani.

Resta il fatto che i  «Goldman» o «Spengler» hanno dichiarato guerra ad Obama. Non lo vogliono presidente, perchè apprezza e capisce la cultura organica. Forse non a caso il Secret Service, che si occupa della sua sicurezza, lo chiama con l’appellativo di «renegade», il rinnegato.

L’altro giorno, l’aereo di Barak Obama ha dovuto compiere un atterraggio di fortuna a Saint Louis nel Missouri: uno degli scivoli gonfiabili d’emergenza s’era gonfiato da solo, e il pilota non riusciva a tenere l’assetto. Non è un incidente che capita tutti i giorni.




1) Spengler, «America’s special grace», Asia Times, 8 luglio 2008. Vedere anche «Obama’s women reveal his secret», Asia Times, 28 febbraio 2008.
2) Il «cristianesimo» necessario all’America come impero anti-tradizionale non è, ovviamente, una  vera religione: è il surrogato di una religione, esattamente come il cibo americano è un surrogato  dei cibi in uso nelle civiltà organiche.
3) Philip Weiss, «I Believe Pseudonymous Salesman of Zionism to Catholics Is David Goldman-Neocon and Former LaRouchie», Mondoweiss, 11 giugno 2008.

Home  >  Americhe                                                                                            Back to top


 
Nessun commento per questo articolo

Aggiungi commento


La Dittatura Terapeutica
L’unica ed estrema forma di difesa da questo imminente, sottovalutato, tragico pericolo particolarmente grave per l’Italia, è la presa di coscienza
Contra factum non datur argomentum
George Orwell con geniale e profetico intuito, previde l’oscuramento delle coscienze, il tramonto della civiltà, l’impostura e apostasia dalla verità che viviamo, quando scrisse “nel tempo...
Libreria Ritorno al Reale

EFFEDIEFFESHOP.com
La libreria on-line di EFFEDIEFFE: una selezione di oltre 1300 testi, molti introvabili, in linea con lo spirito editoriale che ci contraddistingue.

Servizi online EFFEDIEFFE.com

Archivio EFFEDIEFFE : Cerca nell'archivio
EFFEDIEFFE tutti i nostri articoli dal
2004 in poi.

Lettere alla redazione : Scrivi a
EFFEDIEFFE.com

Iscriviti alla Newsletter : Resta
aggiornato con gli eventi e le novita'
editorali EFFEDIEFFE

Chi Siamo : Per conoscere la nostra missione, la fede e gli ideali che animano il nostro lavoro.



Redazione : Conoscete tutti i collaboratori EFFEDIEFFE.com

Contatta EFFEDIEFFE : Come
raggiungerci e come contattarci
per telefono e email.

RSS : Rimani aggiornato con i nostri Web feeds

effedieffe Il sito www.effedieffe.com.non è un "prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata", come richiede la legge numero 62 del 7 marzo 2001. Gli aggiornamenti vengono effettuati senza alcuna scadenza fissa e/o periodicità