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E cosa fanno gli eurocrati per la crisi?
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Per il momento, a Bruxelles hanno aperto un’indagine contro l’Irlanda. Per  «comportamento anti-competitivo» (1). Lo Stato irlandese ha annunciato che garantirà interamente i depositi e i prestiti delle sue sei maggiori banche; per 400 miliardi di euro, cifra fantasmagorica e irreale, pari a due volte il PIL irlandese. Questa decisione disperata - l’Irlanda è già in piena recessione, legata com’è all’area del dollaro e della sterlina - dà al Paese un indebito vantaggio competivo, sospettano i solerti eurocrati: siccome le banche irlandesi offrono una sicurezza assoluta ai risparmiatori, questi - in tutta la zona euro - saranno tentati di trasferire i loro conti dalle banche locali a quelle del verde Paese del trifoglio.

Anzi, parecchi inglesi lo stanno già facendo, visto che le loro banche cadono come pere marce l’una dopo l’altra. Sicchè il primo ministro Gordon Brown ha denunciato gli irlandesi alla Commissione UE per la competitività, e alla Kommissaria competente, Neelie Kroes.

I banchieri non-irlandesi sono irritatissimi: se la Kommissaria non riesce ad obbligare Dublino a rimangiarsi la sua decisione, i governi europei saranno forzati a imitare il modello irlandese, ossia a garantire anch’essi i depositi a pieno. Non c’è più gusto, se i banchieri non possono contare sui soldi nostri presi prigionieri, e magari farli aprire in un opportuno fallimento. Il che induce a qualche istruttiva considerazione.

La prima: la famosa «libera circolazione di merci, uomini e capitali», gloria del mercato unico europeo liberista, soffre alcune eccezioni. La circolazione di uomini deve essere liberissima, specie se a circolare sono zingari di Romania, di professione ladri. Ma la libera circolazione di capitali, proprio no. O meglio: se i capitali sono quelli dei grossi capitalisti, allora liberismo: vadano pure in Lussemburgo, in Liechtenstein, nei paradisi fiscali europei od esotici. Ma i capitali dei piccoli risparmiatori, no: devono restare dove sono, alla mercè delle banche locali.

Seconda  riflessione: l’Irlanda ha infranto un dogma del liberismo. Non dovrebbe essere uno scandalo, di questi  tempi: i primi della classe del liberismo totale, USA e Gran Bretagna, stanno salvando banche con soldi pubblici, in un gigantesco intervento statale nell’economia. Ma ancora una volta: hanno violato  il dogma per salvare privati che sono i mostri di Wall Street e i miliardari speculatori della City, allora va bene. Impiegare denaro pubblico per garantire i depositi dei piccoli risparmiatori, non va bene. Segue inchiesta e punizione sovrannazionale.

La terza riflessione è filosofico-storica. La crisi del ’29, si dice, portò all’aggravarsi della Depressione fino al 1939 perchè gli Stati, allora, si lanciarono in svalutazioni competitive, svalutando la propria moneta per rendere concorrenziali le loro esportazioni; con ciò innescando una rovinosa spirale al ribasso. Oggi, tutti nella gabbia dell’euro sopravvalutato, gli Stati non possono più ricorrere a questo espediente. Ma stanno trasferendo la competizione nelle «regole»: l’Irlanda si è data le regole più attraenti per i risparmiatori, come prima s’era data regole fiscali molto benevole e competitive. Il concetto di libertà di mercato che si sono creati gli eurocrati non comprende questa forma di libertà: tutti devono avere regole uguali. Da anni i Kommisssari (ricordate Mario Monti?) si sforzano di ottenere la cosiddetta «armonizzazione».

Oggi questo sforzo burocratico è messo in grave pericolo. Nonostante gli altolà, la Francia sta pensando di seguire l’Irlanda nel garantire i depositi.

«I banchieri dicono che ciò obbligherà  tutti i governi europei a seguire», si lamenta il super-liberista Telegraph, «con ciò, i depositanti dovranno decidere quale garanzia sovrana è più sicura».

«Garanzia sovrana»! Rispunta l’orribile concetto di sovranità nazionale, quello che l’intera burocrazia europea si sforza di eliminare da oltre mezzo secolo! Pensavano fosse cosa fatta: tutto il potere al settore privato, specie alle banche, e agli «amministratori» non-votati da nessuno, che stanno a Bruxelles. Non più governi, ma amministrazione. Tutto sterilizzato e deodorato, senza quell’odore di sangue e sudore che è la realtà politica.

Invece, vedi cosa succede, quando per l’ennesima volta gli speculatori americani provocano il solito ‘29 con Depressione annessa: in un modo o nell’altro, gli amministrati sentono il bisogno di Stato, del «loro» Stato, quello della loro nazione. E’ un fenomeno pericoloso, come tutti i fenomeni della vita.

Il Telegraph si consola malignamente: «I credit default swap, ossia le assicurazioni sulla probabilità di insolvenza, sui buoni del Tesoro irlandesi sono raddoppiati, a indicare l’aumentato rischio».

La mentalità liberista è dura a morire: i credit default swap sono una delle cause soggiacenti alla crisi di fiducia fra le banche, che sono strapiene di queste scommesse se la ditta A o la banca B fallirà. In un’Europa che davvero volesse porre le basi per scongiurare future bolle e crisi tipo ‘29, i credit default swap andrebbero semplicemente vietati. E subito.

Come bisognerebbe riacquisire un senso delle proporzioni storiche: non furono le svalutazioni competitive degli Stati sovrani a creare la Depressione degli anni ’30; furono gli speculatori folli americani al ribasso e allo scoperto, come oggi sono gli speculatori i colpevoli di quel che accadrà.

Certo, se vogliamo, questa competizione sovrana non vede ben piazzati noi italiani. Che cosa possiamo esibire come «garanzia sovrana» per attrarre i risparmi in euro? Il nostro impareggiabile debito pubblico, che serve a far volare su aerei blu la Casta più corrotta e incompetente del pianeta? Il geniale salvataggio pubblico di Alitalia e dei suoi fancazzisti di lusso? Gli stipendi di Draghi, quattro volte superiori alla paga del governatore della Federal Reserve? La Carfagna? La Brambilla? La Camorra?

O magari, Unicredit?

Ah già, Unicredit. La più grossa banca italiana, la più «aggressive», la più estesa in operazioni europee. Continuamente sospesa in Borsa per eccesso di ribasso, fra voci sulla sua insolvenza e di dimissioni (smentite) del suo capitano coraggioso, il noto Profumo.

Gli eurocrati si stanno occupando di Unicredit. O meglio, si stanno preoccupando (2). Perchè  «Unicredit possiede la HypoVereinsbank in Germania e la Bank Austria, ed ha prestiti in corso in Polonia», scrive il New York Times: sicchè, «un crollo di Unicredit (se ne parla, in USA) solleva la questione di come strutturare un salvataggio che coinvolga divisioni multiple in diversi Paesi. I salvataggi avvenuti questa settimana di Fortis, Dexia, Hypo in Germania e Bradford & Bingley in Inghilterra sono stati relativamente semplici (sic!) perchè queste banche erano esposte soprattutto nei loro mercati locali».

Il punto è questo: che gli eurocrati non hanno strumenti per salvataggi europei. Non se li sono dati. Ci hanno inflitto la moneta comune. Ci hanno dato la Banca Centrale Europea. Ma non ci hanno dato un sistema pan-europeo di gestione della finanza, come occorre in situazioni di crisi e di emergenza.

La gestione delle emergenze di questo tipo, l’hanno lasciata agli Stati. Agli staterelli che hanno privato della sovranità, e anche del senso di responsabilità, a forza di averli resi ratificatori-robot di «direttive» kommissariali.

Per salvare la banca belga Fortis, ci si sono messi tre Stati (due ricchi: Olanda e Lussemburgo, oltre il Belgio), perchè le esposizioni di Fortis superavano il PIL belga. Se vacilla Deutsche Bank, che la Germania intera non è in grado di salvare, si salvi chi può. E figurarsi se gli Stati europei si piegherebbero a saccheggiare i loro contribuenti  per salvare la Unicredit, di questi italiani che hanno i soldi par salvare Alitalia, Air One e Malpensa, e per pagare Draghi il triplo di Bernanke.

Adesso però i 27 - diconsi ventisette - stanno cercando di correre ai ripari. «Intense consultazioni» in 27 per escogitare qualche «regolazione» in vista delle presenti e future crisi finanziarie. Ecco gli argomenti su cui discutono:

Fondi propri delle banche. Il Kommissario al Mercato Interno, Charlie McCreevy (l’avete mai sentito nominare?) ha proposto una direttiva che obblighi le banche europee a conservare il 5% dei loro prestiti - che oggi «cartolarizzano» totalmente, diffondendo i loro rischi ad altri, per lo più ignari - nei loro bilanci. Vorrebbe anche, il Kommissar, che le banche aumentassero i loro fondi propri per affrontare «grandi rischi», quando questi grandi rischi compongono oltre il 15% dei loro portafogli. Ma i banchieri non vogliono. Le riforme e le regole, dicono, imponetele all’Irlanda.

Supervisione internazionale. McCrewvy vorrebbe «dei collegi di supervisori nazionali per controllare gli istituti finanziari presenti in diversi Paesi» (il caso Unicredit). Ma chi dovrebbe essere il capo di questi «collegi»? Per il Kommissar, dovrebbe essere il banchiere centrale del Paese dove si trova la casa-madre della banca inter-frontaliera. Ma i Paesi della «nuova Europa» (Polonia, Baltici ed altri filo-americani) non vogliono; a loro si è aggiunta la Spagna. La Banca Centrale Europea alla testa di questa rete di supervisori? E’ una proposta: ma l’hanno bocciata i tedeschi (per ragioni di sovranità) e gli inglesi, che non fanno parte della zona euro e non si capisce perchè possano interloquire.

Agenzie di rating. Il 12 novembre - con calma - la Commissione proporrà un regolamento: le agenzie di rating che operano in Europa (praticamente tutte americane) dovranno «registrarsi». Con ciò, saranno tenute a «rispettare un codice di buona condotta onde evitare i conflitti d’interesse». Pensate Standard & Poors e i suoi concorrenti che si impegnano a combattere il loro conflitto d’interesse: e come guadagnano? A pagarli sono le banche e le entità speculative di cui danno il rating. Non a caso, il rating di Lehman era altissimo fino alla fine. Le agenzie di rating, semplicemente, dovrebbero essere eliminate.

Norme contabili. Gli eurocrati stanno cercando, sotto sotto, zitti zitti, di allentare le norme contabili in vigore in Europa: in modo che le banche e le entità speculative strapiene di «attivi tossici» non siano costrette a scriverli in bilancio ai valori di mercato; i valori di mercato di queste schifezze essendo zero, «gli attivi delle banche subirebbero un deprezzamento brutale con ripercussioni sulla Borsa». E’ esattamente ciò che stanno facendo Bernanke e Paulson: le lezioni di liberismo di Stato vengono tutte da lì. In caso di necessità per i banchieri, falsificare i bilanci.

Hedge Funds. Nel 2007 già Parigi e Berlino hanno cercato di avviare una «riflessione comunitaria» sulla necessità di mettere qualche regola a questi fondi speculativi e super-indebitati. La Commissione si oppose, con l’argomento della «libera circolazione dei capitali», che non doveva essere inceppata da una normativa comunitaria; ci pensasse ogni Stato a inquadrare gli hedge fund sul suo territorio. Ora, con la crisi che urge, è possibile che la Commissione e i suoi «regolatori»  riprendano questa «riflessione». Con calma. Perchè la vera urgenza, è punire l’Irlanda.

L’Europa va dunque perfettamente equipaggiata verso la grande bufera finanziaria. E Draghi dice che la liquidità delle nostre banche è adeguata.




1) Philip Aldrick, «Financial crisis: French may copy Irish deposit guarantee», Telegraph, 1 ottobre 2008.
2) Matthew Saltmarsh, «UniCredit trading hatlted because of rumors», New York Times, 1 ottobre 2008.
3) Philippe Ricard, «Les propositions de la Commission européenne», Le Monde, 1 ottobre 2008.


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