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Biden profetizza: Obama come Kennedy
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Il senatore Joe Biden, candidato alla vice-presidenza a fianco di Obama, ha fattto una strana, inquietante predizione durante una raccolta di fondi a Seattle.

«Segnatevi le mie parole.. non passeranno sei mesi prima che il mondo metta alla prova Barak Obama come hanno fatto con John Kennedy... Ricordatevi che ve l’ho detto, qui davanti a voi... Guardate, avremo una crisi internazionale, una crisi generata, per metter alla prova la stoffa di quest’uomo» (1).

Una crisi «generata»?

«Posso darvi almeno quattro o cinque scenari da cui questo può cominciare», ha aggiunto Biden, citando come en passant il Medio Oriente e la Russia, «e lui avrà bisogno di aiuto. E il tipo di aiuto che gli servirà, e il vostro - non che lo aiutiate finanziariamente, avrà bisogno della vostra influenza, della vostra influenza nella comunità, che restiate al suo fianco. Perchè all’inizio non sarà chiaro, non sarà chiaro che noi abbiamo ragione».

Poi ha parlato della crisi economica, e non è chiaro se anche questo fosse uno dei quattro o cinque scenari di crisi.

«Cingete i vostri lombi», ha detto con frase biblica, «Vinceremo col vostro aiuto, Dio volendo, vinceremo, ma non  sarà una cosa facile. A questo presidente - al prossimo presidente - sarà lasciato il compito più difficile. E’ come ripulire le stalle di Augia, ragazzi. Questa è più che solo - pensateci, pensateci - questa è più che una crisi di capitali, più che di mercati. Questo è un problema sistemico».

Biden, che presiede la Commissione Esteri al Senato, parlava allo Sheraton di Seattle, di fronte a sostenitori del partito democratico che gli hanno donato un milione di dollari per la campagna.

«Questo tipo (Obama) ha la stoffa. Ma avrà bisogno del vostro aiuto», ha insistito; «perchè, ve lo anticipo, fra un anno sarete qui seduti a chiedervi: ‘O mio Dio, perchè sono ridotti così nei sondaggi? Perchè i sondaggi sono così bassi? Perchè è tutto così difficile?’ Dovremo prendere decisioni incredibilmente dure nei primi due anni. Per questo vi chiedo adesso, adesso, siate pronti a tener duro al nostro fianco. Ricordate la fede che avete avuto perchè dovrete darci  forza».

«Molti di voi vorranno andarsene, (dicendo) ‘un momento, dico, non sapevo di questa decisione’. Perchè se pensate che la decisione è giusta quando è fatta, ciò che io credo penserete quando è fatta, non sarà probabilmente popolare quanto è giusta. Perchè se è popolare, probabilente non sarà giusta».

Poi è venuto a parlare dell confine afghano-pakistano, dove Osama bin Laden, ha assicurato, «è vivo e vegeto» e il Pakistan «strapieno di armi atomiche» (sic).

Accenna all’Afghanistan, dove ha fatto una visita e dove il suo elicottero è stato bloccato da una tormenta di neve.

«Lì puoi letteralmente vedere cosa devono affrontare i ragazzi, i nostri ragazzi nell’area. Il posto pullula di Al Qaeda (sic), ed è vero. Non abbiamo la capacità militare, per essere franchi non l’abbiamo mai avuta negli ultinmi vent’anni, per imporre il risultato... E’ molto più importante di questo. E’ molto più complicato. E Barak lo capisce».

A questo punto, dopo un quarto d’ora di queste profetiche confidenze ai militanti, il senatore si accorge - o finge di accorgersi - che ci sono dei giornalisti presenti.

«Non avrei dovuto forse dire questo, perchè mi accorgo che c’è qui la stampa», ha detto metà ridendo.

«Scherzi a parte, questi tipi ci hanno lasciato in un posto tremendo», alludendo all’amministrazione Bush.

«Abbiamo la capacità di rettificare. Ci vorrà un po’ di tempo, per questo vi chiedo di stare accanto a noi. Stateci a fianco».

Non è la prima volta  che Joe Biden dimostra doti paranormali. Accadde anche il 10 settembre 2001, letteralmente poche ore prima del mega-attentato. Parlava al National Press Club, a proposito di certe spese pubbliche: «Avremo dedicato tanto denaro per fronteggiare la minaccia meno probabile», disse, «mentre le vere minacce vengono in questo Paese nella stiva di una nave, nella pancia di un aereo, o sono contrabbandate in una città nel cuore della notte, in una fiala dentro uno zaino».

Il giorno dopo, Biden passò la giornata (mentre le Torri crollavano) con il generale pakistano Mahmud Ahmed, capo dell’ISI, l’uomo che pochi giorni prima aveva trasferito elettronicamente 100 mila dollari a Mohamed Atta, il presunto capo dei dirottatori della presunta Al Qaeda (2).

Il generale Mahmud Ahmed era stato sopreso a Washington dall’attentato (di cui aveva pagato il presunto esecutore), tanto che non aveva potuto partire per la chiusura dello spazio aereo su tutti gli Stati Uniti. Aveva passato i giorni della forzata sosta a conversare con Biden e altri personaggi, fra cui il senatore Porter Goss, che Bush avrebbe nominato capo della CIA nelle settimane seguenti. Il generale non fu interrogato nè fermato. E’ possibile che le capacità profetiche di Biden vengano da quelle frequentazioni.

Il fatto strano è che anche Colin Powell, l’ex-segretario di Stato che ha servito Bush nei due progetti d’invasione di Afghanistan e Iraq, si è messo a profetizzare. Lui repubblicano, appena dichiarato il suo appoggio al democratico Obama, ed ecco che il futuro non ha segreti per lui (3):

«Il problema ci sarà sempre», ha detto Powell alla trasmissione Meet the Press, e ci sarà una crisi che avverrà il 21, 22 gennaio di cui ancora non sappiamo, per il  momento. Per cui ritengo che ciò che il presidente ha da cominciare a fare è cominciare ad usare il potere dell’Ufficio Ovale e il potere della sua personalità per convincere il mondo che l’America è solida, che l’America va avanti, aggiusteremo i nostri problemi economici, continueremo ad adempiere i nostri impegni internazionali».

Scusate la sintassi sgangherata, è tutta del generale che ha appena cambiato cavallo. Più utile notare che le sue qualità profetiche superano quelle, già ragguardevoli, del futuro vicepresidente Biden: Colin Powell si lascia sfuggire persino la data in cui la crisi avverrà: il 21-22 gennaio, ossia quattro giorni dopo che Obama avrà avuto la sua «inauguration». E sì che, assicura, è una crisi «di cui ancora non sappiamo».

Come se non si fosse deciso in quale dei «quattro o cinque scenari» farla scoppiare: Mosca, Medio Oriente (nessuno dei due profeti ha accennato all’Iran), chissà cosa.

Che crisi è? «Generata», dice Biden. «Internazionale», dice Powell. Notevole il fatto che nessuno dei due intenda la crisi economica che sta travolgendo gli americani; quello è un problema che citano, ma per così dire in un contesto separato, assicurando che il nuovo presidente sarà in grado di aggiustarla.

Sicchè è deciso. Obama sarà «messo alla prova» come Kennedy. Il presidente democratico John Fitzgerald Kennedy fu messo alla prova due volte. La prima  nell’aprile 1961, la crisi dei missili di Cuba: quando navi sovietiche, per ordine di Krushev, diressero verso Cuba per dotarla di missili strategici nucleari, che avrebbero portato il tempo di reazione possibile americano dai 30 minuti (la minaccia dei missili piazzati in Russia) a cinque.

Kennedy mostrò allora di «avere la stoffa», perchè contro-minacciò Mosca di attacco atomico se avesse piazzato i suoi missili a Cuba, e fu Krushev a cedere. Mai il mondo fu più vicino alla guerra atomica. Kennedy era presidente da meno di quattro mesi.

La seconda volta, Kennedy fu messo alla prova nell’attentato in Texas: e la stoffa non bastò a farlo sopravvivere a un proiettile (o forse più d’uno) diretto con mirabile precisione al suo cranio.

La «prova» che attende Obama il 21-22 gennaio sembra del primo tipo. Il che non eslcude la seconda prova.




1) «Biden to Supporters: "Gird Your Loins", For the Next President "It's Like Cleaning Augean Stables". ABC News, 20 ottobre 2008. Si noti che i media ufficiali mettono l’accento sul necessario repulisti del mondo finanziario, e tacciono nel titolo la profezia sulla imminente crisi internazionale «generata».
2) «Mohamed Atta receives $100,000 from accounts in Pakistan. The money is transferred to two of his accounts in Florida. [Fox News, 10/2/2001; Associated Press, 10/2/2001; US Congress, 10/3/2001; CNN, 10/6/2001; CNN, 10/8/2001] This will later be reported in various media, for example, ABC News will say that federal authorities track «more than $100,000 from banks in Pakistan to two banks in Florida to accounts held by suspected hijack ringleader Mohamed Atta.» [ABC News, 9/30/2001] Law enforcement sources will tell CNN, «[T]he wire transfers from Pakistan were sent to Atta through two banks in Florida.» [CNN, 10/1/2001] One of the hijackers’ financiers, the Pakistan-based Omar Saeed Sheikh, is said to wire Atta around $100,000 in August (see Early August 2001). The transfers from Pakistan will be disclosed a few weeks after 9/11 but will then fade from view (see September 30-October 7, 2001), until 2003 when John S. Pistole, deputy assistant director of the FBI’s Counterterrorism Division, tells the Senate Committee on Governmental Affairs that the FBI has traced the origin of funding for 9/11 back to accounts in Pakistan (see July 31, 2003). However, in 2004 the 9/11 Commission will fail to mention any funding coming directly from Pakistan (see Late-September 2001-August 2004). September 13-15, 2001: US Gives Pakistan Ultimatum; Pakistan Agrees at First, but Backtracks Later ISI Director Lt. Gen. Mahmood Ahmed, extending his Washington visit because of the 9/11 attacks, meets with US officials and negotiates Pakistan’s cooperation with the US against al-Qaeda. On September 12, 2001, Deputy Secretary of State Richard Armitage meets with Mahmood and allegedly demands that Pakistan completely support the US or «or be prepared to live in the Stone Age» (see September 12, 2001). [Deutsche Presse-Agentur (Hamburg), 9/12/2001; Japan Economic Newswire, 9/17/2001; LA Weekly, 11/9/2001] On September 13, Armitage and Secretary of State Powell present Mahmood seven demands as a non-negotiable ultimatum. The demands are that Pakistan:
Gives the US blanket overflight and landing rights for all US aircraft.
Gives the US access to airports, naval bases, and borders for operations against al-Qaeda.
Provides immediate intelligence sharing and cooperation.
Cuts all shipments of fuel to the Taliban and stops Pakistani fighters from joining them.
Publicly condemns the 9/11 attacks.
Ends support for the Taliban and breaks diplomatic relations with them.
Stops al-Qaeda operations on the Pakistan-Afghanistan border, intercepts arms shipments through Pakistan, and ends all logistical support for al-Qaeda.
Pakistan supposedly agrees to all seven. [Washington Post, 1/29/2002; Rashid, 2008, pp. 28] Mahmood also has meetings with Senator Joseph Biden (D), Chairman of the Senate Foreign Relations Committee, and Secretary of State Powell, regarding Pakistan’s position. [New York Times, 9/13/2001; Reuters, 9/13/2001; Associated Press, 9/13/2001; Miami Herald, 9/16/2001] On September 13, the airport in Islamabad, the capital of Pakistan, is shut down for the day. A government official will later say the airport was closed because of threats made against Pakistan’s «strategic assets,» but will not elaborate. The next day, Pakistan declares «unstinting» support for the US, and the airport is reopened. It will later be suggested that Israel and India threatened to attack Pakistan and take control of its nuclear weapons if Pakistan did not side with the US. [LA Weekly, 11/9/2001] It will later be reported that Mahmood’s presence in Washington was a lucky blessing; one Western diplomat saying it «must have helped in a crisis situation when the US was clearly very, very angry.» [Financial Times, 9/18/2001] By September 15, Mahmood is back in Pakistan, and he takes part in a meeting with Pakistani President Pervez Musharraf and other Pakistani leaders, discussing the US ultimatum. That evening, Musharraf announces that it completely agrees to the terms (see September 15, 2001). However, Pakistan soon begins backtracking on much of the agreement. For instance, just four days after agreeing to the ultimatum, Musharraf fails to condemn the 9/11 attacks or the Taliban or al-Qaeda in an important televised speech, even though he explicitly agreed to do so as part of the agreement (see September 19, 2001). The Pakistani ISI also continues to supply the Taliban with fuel, weapons, and even military advisers, until at least November 2001 (see Late September-November 2001). Pakistani Foreign Minister Abdul Sattar will later describe Pakistan’s policy: «We agreed that we would unequivocally accept all US demands, but then we would express out private reservations to the US and we would not necessarily agree with all the details.» – Fonte: History common, il prezioso sito che raccoglie gli eventi attinenti all’11 settembre elencandoli ora per ora, con le citazioni delle fonti giornalistiche relative. (http://www.historycommons.org/context.jsp?item=a093001pakistanmoneymedia).
3) Steve Watson, «Colin Powell warns of coming crisis 'We don’t even know about right now'», Infowars, 21 ottobre 2008. Qui si trovano anche I video con le profezie dei due.


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