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L’infallibilità papale e la fallibilità democratica
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Secondo la dottrina cattolica, le determinazioni della Chiesa, anche solo disciplinari o liturgiche, non sono legittime se, pur implicitamente, si oppongono al deposito della Rivelazione.
«Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di San Pietro affinché questi, sotto l’ispirazione dello stesso Spirito Santo, predicassero una nuova dottrina, ma affinché con la Sua assistenza, conservassero santamente ed esponessero fedelmente il deposito della Fede, ossia, la Rivelazione ricevuta dagli Apostoli» (Denz. Sch.3070).
E’ quanto impariamo dalla definizione del dogma dell’infallibilità pontificia enunciato dal Concilio Vaticano I per cui è evidente che il Papa esercita il Magistero infallibile perché fedele alla Tradizione.
Una verità non è tale perché il Papa lo dichiara, ma Egli la dichiara perché è verità che lo precede; non dipenda da Lui.
Il Papa può arricchire la Liturgia, ma non ha diritto di sopprimere un rito che specchia il culto a Dio per rimpiazzarlo con un altro rito che tralascia il culto devoto per la salvezza delle anime a favore di novità contrarie alla «Lex orandi, lex credendi» (La legge della preghiera è norma per la fede).
Ogni potere papale viene da Cristo per l’edificazione del Suo Corpo Mistico e per questo non deve mai significare arbitrio che ignora il diritto divino, secondo il retto pensiero.
Se lo ignora non può obbligare perché non è legittimo potere divino.
Quando il Papa Pio IX con il Concilio Vaticano proclamò il dogma dell’infallibilità pontificia, mezzo mondo civile e anche religioso si ribellò a questa verità.
Tra i capi politici spicca la resistenza feroce di Bismarck, che per questa lotta promosse la «Kulturkampf» derivata da leggi del 1873 al 1875.
Nel frattempo i vescovi tedeschi hanno pubblicato un documento sull’interpretazione «depravata» del dogma, come se riguardasse uomini.

La Dottrina del Concilio si trova nel Dz-Sch. 3.065-3.075; il documento dei vescovi tedeschi dal 3.112-3.117, seguita dalla Lettera Apostolica «Mirabilis illa constantia» per approvarla.
Sul «Si si no no» di qualche anno fa avevo pubblicato anche la lettera dei vescovi svizzeri della stessa epoca e nella stessa linea.
«Tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato in cielo» (Matteo; 16,19): un Papa non può revocare la canonizzazione di un Santo dopo averla liberamente decretata.
Un Papa non può revocare i vincoli matrimoniali validi, come voleva Enrico VIII.
I Papi sono uguali in potere «ratione offici», in quanto Papi; ma nelle questioni su cui emettono definizioni, «ratione materiae», non possono definire liberamente su tutte le materie, poiché sono «legati» dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dalle definizioni già emesse dalla Chiesa nel suo Magistero perenne, al quale sono subordinati e che non possono contraddire (confronta Pio IX nella Lettera Apostolica «Mirabilis illa constantia», la quale ratifica la dichiarazione collettiva dei vescovi tedeschi che affermano, oltre a quello che abbiamo detto sopra che: «L’opinione secondo la quale il Papa, in forza della sua infallibilità, è un principe assoluto, suppone un concetto sbagliato del dogma dell’infallibilità papale» (Denz. Sch.3116 e 3117).
Perciò, non è in questione l’uguaglianza di potere dei Papi in quanto Papi, bensì la differenza delle materie su cui è esercitato questo potere.
L’estensione del potere delle chiavi evidentemente non contiene il «legare» e «slegare» contro il diritto divino, contro la Sacra Scrittura, contro la Tradizione o le definizioni del Magistero.
Così quando i manichei consideravano la materia come principio del Male e dicevano che la Messa non era sacrificio.
Contro di essi la Chiesa (Papa San Leone) ha aggiunto al Canone della Messa le parole «sanctum sacrificium, immaculatam hostiam» esplicitando così la realtà e la santità del sacrificio eucaristico.
Gli Ariani negavano la divinità di Gesù.
Gradivano l’espressione «per il Figlio nello Spirito Santo».

Come reazione, esprimendo meglio la dottrina, si è stabilita questa formula: «Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. E, per respingere il senso che gli Ariani davano a formule come ‘per Cristo Nostro Signore’, la Liturgia Romana ha sviluppato questa breve conclusione delle preghiere nella conclusione più lunga ‘per nostro Signor Gesù Cristo che con Te vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, Dio, per tutti i secoli dei secoli...».
Gli eretici pelagiani, tra altre cose, negavano la necessità della Grazia e il peccato originale.
Molte preghiere del Messale Romano, nel tempo pasquale e dopo la Pentecoste, (per esempio, la preghiera della I, IX e XVI domenica dopo Pentecoste) sono una condanna particolare degli errori di questi eretici.
I semi-pelagiani hanno mascherato lo stesso errore di negare la necessità della Grazia.
La reazione liturgica contro di essi, per evidenziare che ad ogni momento abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio, è stata l’introduzione dell’invocazione «Deus, in adjutorium meum intende» (Dio, vieni in mio aiuto), presa dai Salmi, all’inizio di ogni ora canonica.
Nel secolo XII, Berengario ha insegnato errori sulla Presenza Reale e taluni hanno cominciato ad affermare che la presenza di Cristo nell’Eucaristia veniva soltanto dopo la consacrazione del Calice.
Contro di ciò, la Chiesa ha introdotto l’elevazione dell’Ostia, affinché fosse adorata dai fedeli prima che avesse inizio la consacrazione del Calice.
I Catari, nei secoli XII e XIII, negavano l’Incarnazione e anche la Transustanziazione.
Secondo quest’eresia, lo spirito, che è buono, non può abitare nella carne, che è cattiva.
Una delle risposte della Chiesa alla minaccia eretica è stata l’istituzione, nel 1285, della recita dell’ultimo Vangelo (Prologo di San Giovanni), alla fine della Messa, con la genuflessione al
«Et Verbum caro factum est».

Si può riassumere la questione dicendo che l’infallibilità papale è una grazia, un vero e proprio miracolo concesso da Dio alla Sua Chiesa per assicurare la certezza dei dogmi e della morale.
Perciò parlare d’infallibilità di questo o di quel Papa è sbagliato; essa è data alla Chiesa perché non esistono uomini infallibili in nessun campo.
Ebbene, parliamo allora dell’infallibilità pontificia e del potere del clero.

L’autorità del Sommo Pontefice della Chiesa è vicaria, in rappresentanza di Nostro Signore Gesù Cristo.
E’ fondata sul Principio che San Pietro ha ricevuto le chiavi dal Signore che ha tutto il potere in Cielo ed in terra, potere del Sangue che ha versato nel Sacrificio redentore.
Che parte può avere in tale potere chi si vuole capo di una chiesa tra le altre; chi sfigura la ragione salvatrice di questo Sangue, che diluisce la responsabilità umana di fronte alla Redenzione?
L’autorità papale è nell’ordine dell’Essere; ciò insegna la «Cum ex apostolatus» di Papa Paolo IV.
Né l’unanimità dei cardinali, né tutto il consenso umano, possono far essere papa chi non ha la fede; fede che comprende la ragione della sua unicità inconfondibile.
Il dogma dell’infallibilità non si applica alla verità divina, che non ha bisogno di conferme in sé, ma all’autenticità dell’autorità umana che pronuncia tale verità come divina.
E’ il mezzo attraverso cui la verità di fede è data, sia in modo straordinario che ordinario, e perciò la condizione della sua autenticità è la sua trasparenza nella fede.
Papa Paolo IV ribadisce questo concetto ed invita i fedeli a resistere a chi esprime una fede deviata, specialmente se è molto in alto.
Non fa che ricordare la verità evangelica.
San Giovanni, il più mite degli apostoli, subito dopo aver parlato del comando della carità,
insegnava riguardo a quelli che non portano la retta dottrina: «Se qualcuno viene a voi e non porta questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse» (2Giovanni 10).
Nell’Apocalisse (18, 4) una voce dal cielo dice: «Uscite, popolo mio, da Babilonia per non partecipare ai suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli».

L’infallibilità passiva dei fedeli corrisponde a quella attiva del Papa.
Essa deriva dalla virtù della fede suscitata direttamente da Dio in tutti i fedeli.
Così, all’infallibilità attiva nell’insegnamento della fede, in docendo, propria della gerarchia, corrisponde l’infallibilità passiva, in credendo, nell’accoglimento della fede, propria dei fedeli.
Si tratta del riconoscimento infallibile della voce di Dio.
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono Me» (Giovanni 10, 14).
Se così non fosse, San Paolo non avrebbe insegnato (in Galati 1, 8), che il fedele deve rifiutare e anatemizzare chi porta un nuovo vangelo, «anche se noi stessi».
Eppure, nella «Nostra Aetate», alla fede della Chiesa, centrata sulla missione universale di conversione, subentrava la seduzione della salvezza universale, che andrebbe oltre la fede e la Chiesa di Gesù Cristo.
Essa è espressa in modo sincero nel dubbio di alcuni giovani.
La salvezza, ossia essere accolti al cospetto di Dio per abitare per sempre nel Suo Regno perfetto, non è un diritto, è una difficile vittoria: la passione e la Croce sono stati il suo prezzo.
La salvezza è raggiungibile solo con la grazia gratuita della fede e della carità nelle opere.
Tutti sono invitati, ma se è difficile per i cristiani arrivarci seguendo la Via che è Cristo, come sarà per gli altri?
San Pietro dice: «Se il giusto a stento si salverà, che ne sarà dell’empio e del peccatore?».
Senza il Verbo divino chi diviene giusto?
Perciò i cristiani sono giudicabili anche per l’opera di carità più alta: la diffusione della Parola; missione perenne della Chiesa.

Tale missione è oggi sotto accusa perché «inadeguata al dialogo» e perciò oggi radicalmente mutata col Vaticano II nella predica ecumenista.
Sono idee deviate che si scostano dal Vangelo e dal Magistero infallibile, ma poiché d’origine vaticana, sembrano coperte da un «aspetto infallibile».
Difatti Paolo VI non osava dire che il Vaticano II era coperto dall’infallibilità, ma diceva che era più importante del Concilio di Nicea!
Dunque due concilii per due chiese: la piccola dogmatica, la grande «pastorale»; una altezzosa, perché predica la verità infallibile, l’altra umile perché non vuol parlare di un’infallibilità disprezzata dal mondo, da Bismarck agli ambigui padri dell’ONU, il cui illuminismo è oggi lodato dai padri conciliari!
Ma quale delle due è cattiva missionaria, quella che ha convertito mezzo mondo diffondendo la Parola, o quella che sovrappone ad Essa il dialogo ecumenista con le idee umane che riducono la Parola ad argomento di discussione storica, filosofica, sociologica, per l’animazione religiosa della democrazia globale, dove la gente si salverebbe anche senza Gesù Cristo?
La comprensione di questo retrocesso nella missione della Chiesa è difficile senza risalire ai fatti che hanno reso la Chiesa vulnerabile all’attacco mortale ordito da sempre e realizzato nei nostri tempi contro la chiarezza e integrità della fede.

La «Grande Tribolazione», del collasso cattolico e della presente apostasia universale, ha per caratteristica l’idea d’infallibilità non applicata alla Verità, ma ad un concilio e ad una pastorale umana che si vuole emancipata dall’infallibile assistenza divina, mai negando però l’esistenza di questa copertura «divina».
Come detto in precedenza, il Terzo Segreto di Fatima, se è vero come crediamo, svela nella sua visione virtuale il rapporto causa-effetto tra l’eccidio del Papa cattolico con il suo seguito clericale e secolare e il buio interregnum conseguente a tale perdita.
Allora la Cristianità, già mezza rovinata, è spiritualmente devastata.
Ciò segue quanto predetto dal Signore stesso, non solo quando parla dei falsi cristi e dei falsi profeti, ma quando dice a quanti non Lo ricevono come unico Salvatore: «Un altro verrà in suo proprio nome, e lo riceverete» (Giovanni 5, 43).
Tale previsione riguarda solo i seguaci deviati dell’Israele antico o anche quelli del nuovo Israele, cioè della Chiesa cattolica?
Un altro passo evangelico ci aiuta a capirlo.
«Verrà l’ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a Dio» (Giovanni 16, 2).
Si tratta di quello «zelo indiscreto» identificabile col fanatismo che segue in modo estremo entità umane e relative come se fossero assolute e divine.
Ciò, riguardo al Papa, sarebbe divinizzare la persona come si è fatto con faraoni, imperatori o re.
Non per caso don Bosco riprendeva i suoi che gridavano «viva Pio IX»!
No.
«Viva il Papa»!
E il Santo aveva uno stretto legame di amicizia e collaborazione col grande Papa.
Infatti, quando un Papa muore, la Chiesa deve affrontare l’elezione di un altro, ma il potere dell’eletto non viene dalla Chiesa o dai cardinali, viene direttamente da Dio.
Quindi la carica papale ha una natura «ontologica» la cui condizione è la fede che solo Dio, avendola suscitata in quell’eletto, conosce nell’ordine dell’essere.
Se un gran prelato di carriera dubbia è reso papabile, chi oserebbe mettere la mano sul fuoco riguardo alla sua fede?

Siamo al caso Roncalli, sospeso dall’insegnamento perché sospetto di modernismo.
E chi potrebbe negare che il modernismo nel suo pontificato è avanzato di molto col suo aiuto?
Quindi, chi era veramente questo chierico che raggiunse chissà come il livello di «papabile»?
Era davvero modernista e massone?
La risposta non si avrà di certo da lui, che certamente lo negherebbe.
Né dai suoi elettori, che l’hanno considerato allora eleggibile; viene dai fatti.
Solo il decorso del suo operato in quella carica possono dimostralo.
Lo hanno fatto ampiamente con l’aggiornamento della Chiesa alla «nuova teologia» e alla «pastorale» modernista e democratista.
 
Un’altra domanda: come si presenterà quell’«altro» che è sicuramente un seduttore, poiché sarà ricevuto dal mondo molto meglio di quanto lo è stato Cristo dal Suo popolo?
La risposta pare evidente: come un «maestro» di qualità intellettuali eccezionali, un accattivante comunicatore che svela un immenso amore per l’umanità, un leader che più buono non si può, il cui impegno per l’unione del mondo civile e religioso nella pace supera ogni limitazione logica; persona la cui fede sembra al di sopra d’ogni dubbio!
Perciò sarà ricevuto da tutti con la sua novità: il bene della larga intesa in ogni idea di verità; mentre Gesù Cristo indica la porta stretta della sola verità che libera e unisce nel bene, l’altro è quello della porta larga della libertà secondo l’eros e il democratismo terreno; se piace alla maggioranza è buono e anche santo!

E’ significativo il fatto che, alla sequenza storica delle difficoltà dei pontificati dei tempi moderni, cioè alla sequenza crescente dei mali incombenti sulla Chiesa, corrispondono delle vere apparizioni con messaggi che vanno dagli allerta sui pericoli incombenti sulla Cristianità, allo sfacelo d’ordine papale svelato a Fatima.
Sí, perché il disastro terminale è quello religioso, che riguarda lo smarrimento della Verità stessa.
Dal Segreto della Salette, per cui Roma perde la fede e diventa la sede dell’Anticristo, si passa, dopo diversi tentativi del Cielo per impedire il peggio, alla «soppressione» del Papa cattolico con il suo seguito clericale e secolare.
Quindi all’apertura della Chiesa all’elezione spuria di quell’altro.
Tale vera ma oscura persecuzione succede in mezzo alla generale apostasia per cui svanisce il senso di dover affrontare dubbie autorità clericali, che cambiano la fede, con le più misere scuse di rispetto e obbedienza.
Chi dubiterà che Dio possa permettere tale flagello deve ricordarsi che da molto Lui permette successive eresie, scismi, guerre e rivoluzioni, devastanti per la Sua Vigna.
I successivi e crescenti aiuti dal Cielo ne danno testimonianza.
Ma furono accolti?
«Ut domum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris, te rogamus, audi nos».

La falsa ubbidienza clericale

Dopo la descrizione di questi eventi politici e sociali, decisivi per la vita del mondo - e oggi sappiamo quanto pesano! - possono i cattolici non pensare che ad essi sarebbero corrisposti altrettanti eventi silenziosi nella vita della Chiesa e del Papato?
Quando nuove dottrine, confuse e sospette d’essere eterodosse sono non solo numerose, ma formano tra di loro un «sistema di pensiero», la menzionata regola di interpretazione non vale più, anzi, si «applica la regola opposta»: si fa allora che siano i testi ortodossi ad essere interpretati alla luce di quelli sospetti ed eterodossi.
Dove rimane allora la virtù dell’obbedienza?
Ricordiamo, anzitutto, l’insegnamento della Chiesa sull'ubbidienza.

Questa è una virtù morale, che piega la nostra volontà a sottomettersi alla volontà di Dio, o a quella di un superiore, considerato come intermediario della volontà divina.
Come tutte le altre virtù morali, l’ubbidienza, per essere virtuosa, dev’essere governata dalla prudenza.
Mentre le virtù teologali non possono essere trasgredite se non per difetto, le virtù morali lo possono essere sia per difetto che per eccesso.
Da ciò il noto proverbio: «In medio stat virtus».
La virtù sta nel giusto mezzo.
E questo giusto mezzo è indicato dalla prudenza soprannaturale.
Visto che l’ubbidienza ci porta a sottomettere la nostra volontà a quella di un Superiore, in quanto questi rappresenta l’autorità divina, che cosa è necessario perché ci sia ubbidienza?
E’ necessario un ordine.
Ma un ordine che provenga da un Superiore legittimo che lo impartisca nel campo dove può esercitare la sua autorità.
Questo diritto di comandare viene da Dio: «Non avresti nessun potere sopra di Me se non ti fosse dato dall’alto» (Giovanni 19.11).
A queste condizioni, se colui che comanda va oltre l’ambito del suo diritto, in quel punto il suo potere non viene dall’alto; non c’è un ordine vero, ma un abuso di potere.
Ogni inferiore è obbligato ad ubbidire al suo Superiore in tutto quello in cui gli è sottomesso, cioè in tutto quello in cui il Superiore ha dei diritti su di lui.
Ubbidienza incondizionata e in tutto la dobbiamo soltanto a Dio.
L’ubbidienza falsa non esclude la responsabilità dei sudditi, che di questa dovranno rendere conto a Dio.

Rimanendo fedeli alla Tradizione non si può cadere né in eresia né nello scisma: è nella novità che c’è pericolo di eresia e scisma.
Perché ci sia uno scisma è necessario che ci sia, da una parte, rifiuto dell’autorità pontificia, o rifiuto di sottomissione ai precetti e giudizi della Chiesa; dall’altra rifiuto di comunione con i membri della Chiesa universale.
Il rifiuto di ubbidienza ad un atto del Papa in continuità con la Tradizione, comporta scisma.
Ma nel caso presente, di rifiuto del Vaticano II non si tratta nemmeno di disubbidienza.
Questa «resistenza» a ciò che sarebbe una volontà del Papa non ha niente a che vedere con la disubbidienza a Dio, anzi.
Diciamo con San Bernardo: «Colui che fa un male perché glielo comandano, non fa un atto di ubbidienza ma di ribellione» (Lettera XXXIII in «Lettere diverse»).

Così, il cardinale Caraffa, opponendosi energicamente alla volontà del Papa Sisto V, che voleva pubblicare una versione difettosa della Bibbia, non fece uno scisma.
Così come non lo fece San Bruno di Segni opponendosi a Pasquale II nella questione delle investiture.
Nemmeno sono accusati di aver provocato uno scisma Guido di Vienne, San Ugo di Grenoble e San Goffredo di Amiens per aver minacciato una rottura con Pasquale II, se questi non avesse confermato le decisioni sinodali contrarie ai decreti strappati dall’imperatore al Papa nella questione delle investiture.

Invece, una rottura formale con i costumi fondati nella Tradizione Apostolica, soprattutto in materia di culto, implica uno scisma.
Per questo, il grande teologo Suarez non teme di affermare che potrebbe essere considerato scismatico il Papa che «volesse sovvertire tutte le cerimonie ecclesiastiche fondate nella tradizione apostolica» («De Caritate», disp.XII, sect. I, numero 2, pagine 733-734).
Ebbene, una liturgia tendente alla dissacrazione non ha alcun fondamento nella Tradizione; al contrario, costituisce una rottura formale e violenta su tutte le regole che fino ad oggi hanno orientato il culto cattolico.
Non sono essa e i suoi autori scismatici?
 
Una risposta indiretta a quest’attentato si potrà trovare nell’atteggiamento di una gran parte del clero verso l’evento di Fatima e la profezia della Madonna, annunciando le incombenti tragedie storiche dovute alla scristianizzazione complessiva.
Era un aiuto divino.
Perché gli uomini della Chiesa non l’hanno accolto?
Pensavano di avere la loro ricetta illuminata per una pace secondo i tempi operando un’attenuazione delle verità cattoliche che dividono (vedi Giovanni XXIII)?

Si può dire allora che il risultato è stato il trasferimento in massa dei chierici dal Luogo Sacro all’atrio dei temporeggiatori e dei mercanti.
Lì avrebbero potuto aggiornare la fede, la Messa e i sacramenti secondo i bisogni dei tempi e all’offerta e richiesta definite dalla piazza, di New York, di Bruxelles o del Maracanã.
Per farlo avevano solo bisogno di una nuova dottrina e di qualche aiuto d’ordine «mistico», carismatico o pentecostale capace di sopperire ai vuoti teologici.
Gli aiuti mistici sono arrivati proclamandosi perfino continuazione di Fatima e confidando perfino segreti sul futuro del mondo, come se la vertiginosa scristianizzazione del mondo e la grande apostasia fosse un segreto riservato.

No.
Non si tratta del futuro ma del passato recente e del presente che vive la Chiesa di Gesù Cristo; si tratta dell’«interregnum» che fa capire la visione del Terzo Segreto di Fatima.
Che altro segno può seguire un virtuale eccidio papale?
Certo è che oggi si vorrebbe far scordare alla Cristianità il richiamo del vero segreto avvallato dal gran Miracolo del sole.
Quanti falsi segreti ci vorranno per ridurre l’unico vero segreto che svela lo stato rovinoso in cui è stata ridotta la Chiesa a un segreto in mezzo a tanti altri?
Quanti segreti sono necessari per fare lo stesso anche con la Religione della Rivelazione divina, ridotta dall’omologazione ecumenistica a una tra tante altre?

Ecco l’interregnum della tribolazione cronica, per non aver accolto quell’unico segreto del disegno divino.
Per uscirne una cosa è certa, bisogna riconoscere lo stato lamentevole a cui è stata portata la Chiesa e l’umanità dai fumi conciliari; quelli per cui un popolo in cammino segue dei chierici offuscati.

Arai Daniele


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