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Profeti e profezie (carismatici e progressisti)
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Ricordavo nel mio precedente intervento (1) che il frate francescano Raniero Cantalamessa, predicatore ufficiale della Casa pontificia, sostiene - senza incontrare resistenza - l’eresia triteistica di un famoso teologo del secolo XII, Gilberto de la Porrée, vescovo di Poitiers, la cui dottrina, pur condannata dal Concilio di Renis nel 1148, fu riproposta da Gioacchino da Fiore.

Il padre Cantalamessa, stando a quanto riferisce Sandro Magister in un articolo di sei anni fa (2) e dal titolo significativo («Riletture. Su Gioacchino da Fiore non tramonta mai il sole»), avrebbe anch’egli affermato che «La storia sacra ha tre fasi. Nella prima, l´Antico Testamento, si è rivelato il Padre. Nella seconda, il Nuovo Testamento, si è rivelato il Cristo. Ora siamo nella terza fase, quando lo Spirito Santo brilla in tutta la sua luce e anima l´esperienza della Chiesa».

Come detto, secondo Gioacchino, la terza e ultima età del mondo, quella dello Spirito Santo, sarebbe coincisa con una nuova Chiesa tutta spirituale, tollerante, libera, ecumenica, destinata a sostituire la vecchia Chiesa dogmatica, gerarchica, temporale.
Il predicatore del Papa sembra condividere.

Non è, tuttavia, solo il predicatore del Papa ad aggirarsi per la curia romana invocando, anzi forse quasi evocando (che è cosa opposta!) lo Spirito Santo. E non è da oggi che questo accade. Se il pentecostalismo è ormai dilagante nella Chiesa (seicentomilioni di seguaci tra i cristiani, in crescita anche tra i cattolici!) (3) ed il Vaticano e i vescovi non riescono a frenarne e sopirne gli eccessi e se non è bastato istituzionalizzarlo all’interno del movimento del «Rinnovamento nello Spirito» per eliminarne errori e deviazioni, un motivo c’è. Vedremo che il fenomeno pentecostale (cui vanno almeno fenomenicamente assimilati da un lato il furore dei seguaci di Milingo, dall’altro quello legato all’esperienza «sub-iudice» di Medjugorie) è la conseguenza diretta del Concilio Vaticano II.

Solo apparentemente, infatti, la teologia fredda ed intellettualistica uscita da quell’assise - tutta volta a storicizzare il cristianesimo in chiave luterana e ad eliminare dalla Chiesa ogni dimensione miracolistica, sovrannaturale e spirituale, per ricondurre l’esperienza di fede nell’alveo di una dimensione comunitaria e orizzontale - può sembrare in contrasto con l’esaltazione psichica e misticheggiante delle esperienze cosiddette «carismatiche». E, come per molti altri frutti di quel Concilio, anche il fiorire di gruppi più o meno vivacemente carismatici, con leader e guaritori, è divenuta, anziché una Grazia, l’ennesima piaga sanguinante nella Chiesa.

So che a questo punto molti si stracceranno le vesti e mi accuseranno di voler spegnere le profezie. Nient’affatto, voglio spegnere le ciarlatanerie ed impedire che, nell’evocazione di «dimensioni sottili», qualcun’ «altro» si insinui: l’«Avversario».

Quando vedo raduni di persone in deliquio con l’aria sovente invasata  e le braccia alzate ad acchiappare «il segnale», sarei francamente tentato di scatenare la cavalleria. L’ultimo e più famoso di questi fenomeni è quello di Domenico Fiume, (sedicente padre Gabriele) ex-cattolico, transitato alla Chiesa ortodossa e fatto abate, sospeso a divinis dal Metropolita ortodosso di Milano e Aquileia, riabilitato dal primate della chiesa ortodossa in Italia Antonio De Rosso (che con la sua presenza a fianco del «carismatico» ha di fatto sconfessato la sospensione) e infine ospitato presso il centro culturale San Charbel, emanazione delle edizioni Segno di Udine, casa editrice che pubblica testi di natura carismatica, insieme ad altri di apparenza tradizionale ed antimondialista.

In quasi tutte queste strane manifestazioni - e, per quanto riguarda il suddetto «padre Gabriele», lo potete constatare nel video:



si sta diffondendo un «nuovo carisma»: il cosiddetto «riposo nello Spirito», una sorta di «sonno» che molti considerano una condizione di pace psicologica, a metà strada tra lo stato di catalessi e quello di «abbandono» dei quietisti, dei molinisti o degli Alumbrados del XVI^ secolo.

Vado un po’ a spanne, ma tra alcuni moderni fenomeni diffusi tra i gruppi carismatici e gli Alumbrados (= Illuminati) vi sono talune inquietanti analogie: anche costoro si radunavano per esercizi di pietà e in tali assemblee o riunioni dichiaravano che, come la luce fu data a San Paolo, tutti potevano essere illuminati (è per questo che furono chiamati in quel modo).

Quattro erano le affermazioni dell’alumbradismo:

1) l’amore di Dio nell’uomo è Dio stesso;
2) occorre lasciarsi andare, abbandonarsi a questo amore;
3) questo amore comanda l’uomo tanto da renderlo impeccabile;
4) arrivando a questo stato non c’è più che il merito.

E’ evidente allora che da questa una unione essenziale tra Dio e l’uomo (che rimanda a  quella Atman-Brahman dell’Induismo) ne deriva come conseguenza l’eliminazione di ogni mediazione (Cristo, Chiesa, sacramenti, strutture), mentre dall’«impeccabilità» nasce il superamento stesso della norma e del divieto morale (lungo la «via della mano sinistra» che unisce Buddhismo Vajrayana, tantrismo, taoismo, sabbatianesimo, frankismo ed in genere tutti quei sistemi spirituali nei quali la conoscenza e la pratica superano la dimensione fideistica ed in cui una sostanziale visione olitistica rende tutti interconnessi e parte di un Tutto).

Peccato per i sedicenti «carismatici» che lo Spirito Santo, per bocca di San Paolo, annoveri con precisione i suoi doni straordinari «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio della scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; ad un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; ad un altro il dono della profezia; ad un altro il dono di distinguere gli spiriti; ad un altro la varietà delle lingue; ad un altro infine l’interpretazione delle lingue...» (1 Corinti 12,7 ss).

Pensare che lo Spirito Santo sia uno «spirito un po’ leggerotto», di labile memoria, che si sia dimenticato il «carisma del riposo nello Spirito» o che alla stregua di improbabili moderni teologi abbia utilizzato «un’elencazione tipologica» dei carismi a mo’ di esempio, sarebbe un’eresia tutta moderna, in quanto Dio non può dimenticare alcunché. Inoltre se di tipologia dobbiamo parlare, il riposo non è tra le attività consigliate al cristiano. Non possiamo infatti dimenticare le parole di Gesù: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione» (Matteo 26,41); «Vegliate dunque, perchè non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà». (Matteo 24,42). E nella parabola della zizzania (Matteo 13, 24-30) è proprio mentre tutti dormivano che il nemico venne a seminarla.

In quale stato precisamente si cada, dunque, durante «il riposo dello Spirito», francamente non lo si sa e non conviene sperimentarlo: è opportuno stare alla larga, specie da quelle celebrazioni non presiedute da sacerdoti debitamente autorizzati e in cui non si utilizzino l’acqua o l’olio benedetti, o i salmi di guarigione-protezione-liberazione che accompagnano e valorizzano l’imposizione delle mani.

E’ necessario vigilare contro possibili ciarlatani: se proprio si vuole essere gabbare dai vari Giucas Casella, si rischia di divenire strumenti delle tenebre. Vigilate dunque, altro che riposo nello Spirito!

Nel Vangelo di Matteo è Gesù stesso, qualche giorno prima di essere messo a morte, a mettere in guardia i suoi discepoli, concludendo il suo discorso con una frase tanto enigmatica, quanto inquietante: «Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno... Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. […] Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o è là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. Ecco, io ve l`ho predetto. Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: E’ in casa, non ci credete. Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi».

Durante l’Ultima Cena Gesù spiega bene il motivo della venuta dello Spirito Santo ed il fatto che Egli non è promesso ed inviato per «fare scena», sbalordire il mondo con prodigi, inaugurare fasi storiche progressive o annunciare nuove mirabolanti verità («non parlerà da sé»), ma per aiutarci a comprendere a pieno la Verità che è Cristo: alla Chiesa è stato donato perché essa con la Sua immutabile Tradizione ci aiuti a comprendere sempre di più il Mistero salvifico di Cristo ed a portarne il peso.

Ed è chiaro soprattutto in questi tempi quale forza occorra per portare il peso della Croce di Cristo, senza rinnegamenti o accomodamenti mondani!

«E’ bene per voi – diceva Gesù ai suoi - che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà».

Una cosa è certa: qualsiasi nuova verità che sia in contrasto con quella che il Cristo ha rivelato da sempre alla Chiesa non può venire dallo Spirito Santo, ma da altri spiriti. Ecco perché la devozione allo Spirito Santo è cosa troppo seria per essere lasciata agli invasati o agli «spontaneisti pneumatici» ed anche… ai predicatori papali, quando fanno affermazioni ereticanti, come quelle sui tre tempi di sviluppo della storia.

Dicevamo sopra che il fiorire di tutti questi fenomeni «pneumatici» è conseguenza, voluta o meno,  del Vaticano II e della rappresentazione che Giovanni XXIII ne volle dare: «Sarà veramente la nuova Pentecoste che farà fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell’umana attività; sarà un nuovo balzo in avanti del Regno di Cristo nel mondo, un riaffermare in modo sempre più alto e suadente la lieta novella della redenzione, l’annunzio luminoso della sovranità di Dio, della fratellanza umana nella carità della pace promessa in terra, agli uomini di buona volontà, in rispondenza al celeste beneplacito».

Sono precisamente queste le parole con cui Papa Roncalli, l’8 dicembre 1962, concludeva la prima sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Nell’articolo sopracitato, anche Sandro Magister ricordava come «il gioachimismo cattolico ha avuto un impetuoso risveglio soprattutto col Concilio Vaticano II. Ha fatto leva su Giovanni XXIII e la sua invocazione di ‘una nuova Pentecoste’. Ha contrapposto lo ‘spirito’ del Concilio alla sua ‘lettera’. Ha predicato una nuova Chiesa ‘spirituale’ al posto di quella vecchia ‘carnale’. Soprattutto le correnti progressiste della Chiesa hanno innalzato questo stendardo. Anche il mito della ‘Chiesa dei poveri’ lanciato dal cardinale Giacomo Lercaro e dal suo teologo don Giuseppe Dossetti rimanda a Gioacchino da Fiore, ai fraticelli e a Celestino V, il Papa mistico che, unico caso nella storia, rinunciò alle somme chiavi».

Da allora la nuova Pentecoste di strada ne ha fatta parecchia e in questo «ribollir di spiriti», paradossalmente, «progressisti» e carismatici si troveranno loro malgrado assisi intorno allo stesso tavolo, di cui l’anima sottilmente gnostica che li manovra e li unifica è quella che trova nella  «scuola milanese» del cardinal Martini la voce più diffusa e pericolosa. Dicevo «loro malgrado», perchè, se interrogate i «progressisti» scoprirete, specie a livello di base, quasi sempre un certo fastidio ed una certa distanza dai carismatici, guardati con un certo sospetto ed una certa estraneità.

Lo stesso, per contro, accadrà se interrogherete i carismatici, che rimprovereranno ai «progressisti»  una certa algida indifferenza per la dimensione «calda» della fede, un  severo scritturalismo ed un elitario intellettualismo, sganciato da esperienze dirette del «divino». Ma entrambi condivideranno la necessità di sottrarre alla gerarchia ed al Magistero della Tradizione il «monopolio della Verità», di riscoprire la dimensione universale del sacerdozio dato all’intero popolo di Dio, di aprire le porte della Chiesa al soffio dello Spirito, della Parola, dei carismi.

Carismatici e «progressisti» sono in realtà due facce della stessa medaglia, entrambe agite - sovente in buona fede - da quella gnostica, di cui dicevamo e che usa proprio il pentecostalismo «caldo» come strumento per impedire che larghe fasce di credenti, stanche della teologia «fredda» post-conciliare rifluiscano verso una religiosità sacramentale, sovrannaturale, tradizionale.

Lo tattica è astuta. Da un lato usare l’una tendenza, quella progressista, come strumento per intellettualizzare la fede e condurla verso una forma dogmatica sempre più vaga, sottolineando la necessità, contro ogni integralismo, del dialogo, dapprima ecumenico, poi interreligioso e quindi sincretista; dall’altro servirsi del movimento  carismatico, per sterilizzare la protesta «popolare» contro la «fede insapore» uscita dalla svolta post-conciliare, impedendole di rifluire nella Tradizione e di rivoltarsi, come sarebbe giusto, contro quei falsi pastori che l’hanno resa tale.

Infatti l’insofferenza dei movimenti pentecostali è diretta ad arte contro la struttura gerarchica in sé, accusata di soffocare lo Spirito, perché vigila contro i fanatismi spontaneistici. Poiché però gerarchia ed istituzione vengono identificati a priori con la Tradizione, senza che la gente sappia discernere tra pastori autentici e mercenari, tra grano e loglio, tra miracolo e mistificazione, ne deriva che in questo modo le algide gerarchie post-conciliari, invece di essere cacciate coi forconi (come si faceva ai tempi civili, con Messa e processione riparatrici) rinsaldano il proprio potere e salvano se stessi, esponendo paradossalmente all’ira carismatica solo la cattedra su cui siedono.

Queste masse di credenti, affamate di sovrannaturale, dovrebbero invece di rincorrere falsi profeti, rivendicare il diritto ad una fede autentica, rispolverando ogni sorta di devozione e sacramentalità tradizionale.
In ogni caso la conseguenza è alla fine una richiesta di «autonomia dal basso» e di «libertà di carisma».

Carismatici e «progressisti», dunque, ove non siano in malafede, sono degli sprovveduti, prigionieri di quegli stessi falsi miti che fecero dell’assise conciliare lo strumento attraverso cui una «inimica vis» ebbe modo di radicarsi nelle strutture, nella mente e nei cuori di molti prelati e di moltissimi semplici fedeli.

Non a caso il «libro-manifesto» del cardinal Lercaro, il vescovo bolognese ispiratore dell’ala progressista del Concilio e presidente del Consiglio per la riforma liturgica, si titolava «Per la forza dello Spirito» ed esprime con passione l’idea che la Chiesa da questa «forza» dovesse «per forza» essere rinnovata.

Questa corrente ecclesiale si sentì ed ancor più si sente chiamata al compito del rinnovamento della Chiesa ed è convinta a tutt’oggi di essere a ciò sospinta  dallo Spirito Santo e chiamata in questo momento a reggere l’urto del «riflusso» ratzingeriano.

Il tragico furore con cui taluni dei suoi esponenti più radicali hanno rotto con la Tradizione assomiglia a quella delle varie sette protestanti ed anabattiste che apostatarono alla fede. Ma la maggioranza si espande invece all’interno nella Chiesa, occupandone il livello intermedio ed impedendo che qualsiasi arretramento da questa «deriva orizzontalista» sia possibile. Anzi, quasi inavvertitamente , ma sistematicamente, costoro «se-ducono» comunità parrocchiali sempre più numerose.

In questo contendono il terreno ai carismatici, talvolta con asprezza, ma - attenzione - entrambi condividendo l’idea che la Chiesa gerarchica debba essere superata, abbattuta, per lasciare il posto, per i primi ad una «Chiesa di base», per i secondi all’azione diretta dello Spirito e dei suoi miracoli.

Sia come sia, qualunque delle due opzioni, progressista o carismatica, serve ad avallare le teorie dell’evoluzione del Dogma, dell’aggiornamento della Tradizione, della necessità di trasformare la struttura gerarchica in comunitaria, poiché è là, nel popolo di Dio, che si manifesterebbe l’azione dello Spirito: solo gli stolti o i malfidati possono far finta di non capire che tutte queste evocazioni dello Spirito altro non sono che uno strumento per inculcare ancor di più nelle persone la
suggestione che esista una «Verità più autentica» rispetto al tradizionale depositum Fidei (occultato dalla Chiesa per ragioni di potere), una Verità più interna da scoprire, una purezza originaria da riconquistare, una struttura gerarchica da svellere, per dare alla «comunità» il suo posto.

Insomma  la «forza dello spirito» diverrebbe ancora la mitologia fondante di una nuova pressione, capace di far invocare dal basso una «apertura democratica della Chiesa».

E’ facile comprendere come, al di là della retorica, questo sarebbe di nuovo lo strumento attraverso cui nuove èlites, certamente non cattoliche, vorrebbero impossessarsi definitivamente della Chiesa stessa.

Per fortuna contro questa ipotesi sta la rassicurazione di Cristo stesso: «Non prevalebunt!». Non a caso - prometto che ne riparleremo! - queste stesse idee sono bandite dietro morbidi toni curiali dall’antipapa di Gerusalemme, il «cardinale» Carlo Maria Martini che, infarcendo le proprie affermazioni di Spirito Santo e «comunità» ci informa che «Dio non è cattolico» e prefigura scenari sincretisti per la Chiesa, invitando a diffidare delle definizioni dottrinali, perché Dio «è al di là».

Se la base «dossettiana» e quella carismatica si destassero dal loro stato onirico, dal «sonno dello Spirito» in cui sembrano essere caduti e avessero l’umiltà di battersi il petto per le ferite che apportano al Corpo Mistico di Cristo, capirebbero di essere strumenti - talvolta tragicamente inconsapevoli - di un disegno di auto-annientamento della Fede, di cui molti - spero - neppure si rendono conto.

Sandro Magister, nell’articolo che citato, ricorda come sul pericolo di gioachimitismo cattolico, fu addirittura uno dei protagonisti del concilio, il cardinale Henri De Lubac a lanciare l’allarme e dedicarvi negli anni Settanta due volumi di più di mille pagine, intitolati «La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore» e  «Da Saint-Simon ai nostri giorni». Scopriamo così l’influenza del monaco calabrese non solo sul pensiero hegeliano e marxista, ma anche su Lamennais, sul messianismo polacco di un Adam Mickiewicz (rileggetevi «Cronache dell’Anticristo» di Blondet!), sui grandi autori russi quali Tolstoj.

Nel capitolo conclusivo, purtroppo incompiuto, dal titolo «Neogioachimismi contemporanei»,  De Lubac vi scrive: «Il ‘cancro’ denunciato dal Concilio provinciale di Arles nel 1262 (che condannò le tesi di Gioacchino da Fiore nda) era una semplice dottrina fantasiosa, una corrente marginale, episodio effimero nella storia cristiana, o al contrario un fenomeno di straordinaria portata, dal seguito incalcolabile? La risposta non appare dubbia. [...] Il gioachimismo non è solo riconoscibile in contesti completamente secolarizzati. Esso ispira, come forza ancor viva, movimenti spirituali che non vogliono uscire dai confini del cristianesimo. [...] Nella seconda parte del secolo XX assistiamo al suo risveglio nel cuore stesso della Chiesa. Sembra perfino volervi effettuare un ritorno in forze. Però, rispetto allo stesso Gioacchino, i suoi odierni araldi non annunciano lo sboccio dello Spirito per l’indomani; lo vedono e lo dicono già presente in loro; essi ne sono gli organi. Forse più di Gioacchino, accentuano la cesura tra la Chiesa proveniente dal passato, dichiarata ormai invecchiata, e quella del futuro, che sorge oggi stesso in qualche luogo privilegiato, raggiante di giovinezza. [...] Si osserva alla base una concezione lineare del tempo, che crede di non poter accogliere nulla di nuovo se non attraverso il rifiuto dell’antico». Conclude Magister: «Avesse proseguito, c’è da scommettere che De Lubac avrebbe incluso nella sua critica Giuseppe Dossetti e il dossettismo. Ossia la corrente intellettuale dominante nel cattolicesimo italiano della seconda metà del secolo XX».

Eppure per neo-giachimiti, sarebbe bastato e basterebbe ricordare che, quando lo Spirito Santo davvero si manifestò agli Apostoli, non ispirò loro parole di conciliazione col Mondo, aggiornamenti del mandato del Divino Maestro o nuove strategie di dialogo con i «fratelli maggiori».  Pietro, che ebreo lo era, non parlò ai suoi confratelli il linguaggio della Nostra aetate, ma con franchezza li ammonì dicendo:

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazareth - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato... Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: ‘Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».

E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro’. Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: ‘Salvatevi da questa generazione perversa’. Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone». (At. Ap. 2).

Oggi, tremila persone al giorno la Chiesa più verosimilmente le perde!

C’è - dicevamo - una frase inquietante nel Vangelo di Matteo, che Gesù pronuncia e che egli riferisce al tempo in cui «vedrete l’abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo». La frase con cui Gesù conclude quel discorso è la seguente «Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi».

E’ una frase, presente similmente anche in Luca 17,37, su cui molti hanno discusso e che ha dato corpo a parecchie interpretazioni.

Alcuni pensano che Gesù evochi la profezia di Ezechiele, ripresa nell’Apocalisse, in cui il profeta si riferisce alla battaglia vittoriosa finale contro le forze del male. Gli animali rapaci o gli avvoltoi saranno invitati a mangiare la carne dei cadaveri (Ez 39,4.17-20; Ap 19,17-18).

Altri pensano che si tratti della valle di Giosafat, dove avverrà il giudizio finale secondo la profezia di Gioele (Gal 4,2.12).

Altri infine ritengono che si tratti semplicemente di un proverbio popolare e che abbia più o meno lo stesso significato del nostro «Dove c’è il fumo, c’è anche il fuoco!».

Mi domando se qui il Signore non voglia semplicemente affermare che i falsi profeti sono come gli avvoltoi, che compaiono numerosi all’improvviso nel cielo e volteggiano su di un corpo morente, in attesa di poterlo dilacerare, per nutrirsene.

Pare purtroppo che oggi così accada per il Corpo Mistico di Cristo, cioè la Chiesa: il proliferare di questi falsi cristi e falsi profeti che - come è scritto - faranno «grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti», pare certificare una condizione drammatica, agonica, della Chiesa, di cui la presunta «nuova Pentecoste» pare essere stata, anziché farmaco, veleno.

Solo la grande promessa che «le porte degli Inferi non prevarranno contro di essa» consente di guardare al domani con angoscia, ma senza disperazione.

Domenico Savino



1) «Profeti e profezie»
2) Sandro Magister, «Riletture. Su Gioacchino da Fiore non tramonta mai il sole», http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/7596
3) Sandro Magister, «Il boom del secolo. Seicento milioni di carismatici», L’espresso.


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