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Pio XII e il nazismo
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Alcuni lettori hanno scritto a proposito di complicità tra Chiesa e regimi fascisti; sento pertanto il dovere di replicare perché non restino spaesati gli utenti cattolici del sito meno attrezzati nelle cose storiche. Anche perché le obiezioni che sono avanzate in questo come in tanti altri argomenti relativi alla fede ed alla storia della Chiesa le conosco già tutte (benché la Chiesa post-conciliare non pratichi più l’apologetica, non si può essere, di fronte ad «attacchi» a 360° alla fede cristiana, cattolici senza adeguata conoscenza anche della storia e soprattutto delle obiezioni dei detrattori, sicché in materia sono stato costretto a «farmi una cultura» ed infatti le obiezioni mi sono pervenute scontate e «classiche» ma non fondate, perché appunto non lo sono se solo si guarda un po’ più in là del luogo comune: ed il catologo librario di EFFEDEIEFFE fornisce molti utili testi per guardare oltre il luogo comune, basta approfittarne).

Non intendo convincere i lettori di nulla. Non va presa come una scortesia ma il tempo che ognuno di noi ha è già così poco che sprecarlo in dibattiti con coloro per i quali si può solo pregare è inutile. Perché non saranno mai i miei poveri sforzi a far loro aprire il cuore alla Verità ed all’Amore del Dio Incarnato in Gesù Cristo, che è solo quello, lo si voglia o meno, comunicatoci da Santa Romana Chiesa, che è non a caso il Suo Corpo Mistico. Quando scrivo non lo faccio per convincere le persone come alcuni lettori ma soltanto per aiutare i miei fratelli in Cristo ad essere saldi nella fede contro tutte le menzogne oggi sparse a piene mani sul conto di Cristo e della Sua Chiesa. Il resto non dipende da me ma da Lui. Lo scrivente è solo un servo inutile. Siamo solo tutti servi inutili.

Detto questo, annoto, costrettovi da quanto di non aggiornato ed impreciso è stato detto, alcune precisazioni. Scusandomi fin d’ora di questo che è in sostanza un secondo articolo giustificato, come detto, dal fatto che, visto anche il clima natalizio, non intendo intervenire ancora nei prossimi giorni consacrati soltanto a Nostro Signore e non ad altro. Tutto il ragionamento anticattolico è viziato da quella che è una grave tara quando si tratta di storia: l’anacronismo, ossia il valutare gli eventi del passato con la mentalità e la sensibilità attuale e dare giudizi morali post-factum senza tenere conto della concrete circostanze nelle quali i nostri avi dovettero operare. Devo poi registrare la consueta mancanza di vera conoscenza di ciò che è il Cattolicesimo.

La marea nazista c’era, eccome. Certamente Hitler aveva bisogno anche dell’appoggio della destra conservatrice. Ma ne aveva bisogno solo per non spaventare i ceti dirigenti accreditandosi nei loro confronti come l’unica garanzia contro il comunismo. Hindenburg era ancora una icona nazionale ed un movimento nazionalista non poteva non tenerne conto in termini di propaganda. Il 32% nel giro di pochi anni, partendo da un risicato 0, qualcosa %, non è un traguardo tale da non costituire una forza in grado di poter dettare le proprie condizioni su un piano di egemonia ai cosiddetti fiancheggiatori, illusi da parte loro di poter usare tale forza.

Quanto a von Papen, era sì cattolico ma si trattò di un politico che tentò una sua partita personale e che certo non aveva né la stoffa del santo, che in politica non rende mai, né certo si preoccupava della Chiesa se non in termini di potere (ed anche qui il discorso è evidentemente politico) cercandone l’appoggio. Del resto l’assistenza dello Spirito Santo è garantita alla Chiesa, non ai singoli cattolici o ai cattolici che fanno politica.

Ora è facile ragionare con il senno del poi e non è così che si fa storiografia. Chi poteva sapere ante litteram fino in fondo chi era Hitler? Quali fossero le sue vere intenzioni? Troppo facile giudicare comodamente seduti nella propria poltrona a distanza di settantanni (quasi un secolo!). Conservatori di destra e di centro credettero di poter controllare questo parvenu della politica, di utilizzarlo e poi magari normalizzarlo e scartarlo. Stessa illusione nutrirono i conservatori nel 1920-22 in Italia con un Mussolini che abbandonò in parte la piattaforma rivoluzionaria del primo fascismo proprio per venire incontro a questi fiancheggiatori di destra, rassicurandoli. Potevano Mussolini ed Hitler prendere il potere senza questi appoggi?

Forse no, pur non potendosi escluderlo a priori, ma questo non significa che chi pensò di usarli poteva immaginare in anticipo tutta la potenzialità rivoluzionaria di quei, all’epoca, nuovi ed imprevisti movimenti. Illusione in un caso come nell’altro, salvo le differenze, di non poco conto come ho chiarito nel mio articolo, tra fascismo e nazismo e Mussolini ed Hitler. Ma addebitare un abbaglio politico di certi ambienti di destra e di centro alla Chiesa di per sé o perlomeno al «mondo cattolico» è del tutto fuorviante, proprio sul piano dell’analisi storica e rivela solo un fatto: una pregiudiziale per la quale bisogna comunque calunniare la Chiesa, secondo la lezione ereditata da quel triste maestro che fu il trafficante di schiavi Voltaire, che esortava con riferimento alla Chiesa a «calonniez, calonniez! Esecrez l’enfame!».

Nel mio «Spaghetticons» ho scritto di un ufficiale inglese che salvò nella prima guerra mondiale la vita ad un caporale tedesco ferito. Quel caporale era Hitler. L’ufficiale inglese in questione successivamente, quando l’aviazione tedesca distrusse Conventry, si pentì di quel gesto. Eppure non a lui si devono imputare le azioni di Hitler, anzi a lui da Dio sarà stato pesato come merito quel gesto di carità verso il nemico ferito ed inerme. Nessun tribunale potrebbe condannare un uomo per un delitto che questi commetterà in futuro.

E’ verissimo che certi prelati e certi ambienti cattolici a quei tempi, pur senza «santificarli», guardavano, del tutto legittimamente sotto un profilo storico, ossia a viste solamente umane e date quelle circostanze concrete dei tempi, ai regimi autoritari come un’alternativa o un baluardo contro il bolscevismo, ma il modello che veniva preso in considerazione, e non senza molte riserve, non era certamente la Germania nazista, che era totalitaria e non meramente autoritaria, ma piuttosto l’Italia fascista fino al 1938 o la Spagna franchista o il Portogallo salazarista o ancora l’Austria dello sfortunato cancelliere Dollfuss che fu assassinato proprio dai nazisti locali. Regimi autoritari sì, quello italiano poi di tipo moderno e modernizzatore ossia di massa e non demobilitante come gli altri tre, ma non certamente totalitari come la Germania hitleriana o la Russia staliniana. Alzi, per favore, la mano chi, potendo scegliere, avrebbe voluto vivere all’epoca in Germania o in Russia anziché in Italia, Spagna o Portogallo!

Negli anni trenta molti settori del cattolicesimo e molti prelati si auguravano, e lavorarono in tal senso senza - oggi possiamo dire purtroppo in quanto se la cosa fosse riuscita la storia avrebbe preso un’altra piega e all’Italia sarebbe stata risparmiata la guerra - riuscirvi, che nascesse una alleanza tra nazioni cattoliche a regime autoritario che si opponesse sia ai totalitarismi tedesco e sovietico sia alle liberal-democrazie europee ed americana.

Oggi possiamo dire che fu certo una illusione ma, in quelle concrete circostanze, era una carta del tutto possibile e plausibile. Non esiste infatti, come un certo storicismo otto-novecentesco ci ha insegnato nelle nostre disastrate scuole, alcuna «ragione immanente» alla storia per cui gli esiti della sua dinamica sarebbero già scontati e finalizzati all’avvento del «Sol dell’avvenire» (anche quando con questo si intendono, come si intendono oggi o si sono intesi fino ad ieri, prima della crisi economica, i «fasti della globalizzazione liberista»).

In altri termini, facendo un esempio concreto: non stava scritto da nessuna parte che Napoleone dovesse perdere a Waterloo o Annibale a Zama. Prima che un evento accada, sul piano immanente della storia e salvo la prospettiva provvidenziale e trascendente, per chi naturalmente la sa vedere (ma questo è un altro discorso che ci porterebbe lontano) sono aperte tutte le possibilità e le circostanze. Ed il fatto che poi tra tutte esse solo una o poche effettivamente si realizzano non autorizza nessuno a ritenere che per una occulta ragione immanente doveva o dovevano ineluttabilmente realizzarsi proprio quella o quelle, come hanno creduto per due secoli, fino al 1989, gli storicisti sulla scorta di una «filosofia della storia» di ascendenza hegeliane.

Tra gli storicisti vanno ricompresi insieme ai liberali anche i marxisti: il che chiarisce il mio riferimento ai vizi di fondo della storiografia marxista od ebraica, quest’ultima, poi, tutta protesa a leggere l’intera storia, non solo quella veterotestamentaria, come «giudeocentrica», una chiave che a quanto pare solletica anche alcuni lettori, forse solo per fare dispetto ai cattolici. Ripeto comunque che la tesi per la quale il pericolo maggiore era per la Chiesa il solo comunismo non è soddisfacente né vera per un’esatta comprensione delle scelte della Chiesa in quel periodo.

La Chiesa era più generalmente preoccupata per quel che oggi chiamiamo totalitarismo e che già il «Sillabus» di Pio IX, quasi un secolo prima, definiva per condannarlo come «assolutismo» giudicandolo come il frutto inevitabile del liberalismo giurisdizionalista che faceva dello Stato la sola fonte di tutti i diritti. Ma dal momento che ci sono fior fiore di studiosi che queste cose le analizzano, vi scrivono sopra interi volumi, che poi purtroppo la maggior parte della gente non legge e che se leggesse non sarebbe vittima dei luoghi comuni mediatici, lascio ampiamente la parola in ordine alla questione del Concordato, del ruolo di von Papen e del radiomessaggio di Papa Pacelli del 1942, alle ricerche di Giovanni Sale, dal cui libro citato nel mio precedente articolo traggo quanto segue (nota che da queste ricerche, basate sugli archivi segreti del Vaticano, viene fuori un quadro nel quale tutta la faccenda si giocò contro il Zentrum e non con il suo appoggio o per favorirlo).

Scrive dunque Sale: «Che cosa spinse la Santa Sede ad accettare la proposta, fattale dal nuovo governo tedesco (che era ancora di coalizione, con la partecipazione di von Papen e della destra conservatrice alla quale questi apparteneva, e non al Zentrum, nota mia) nella prima decade di aprile del 1933 di regolare attraverso un Concordato il rapporto tra la Chiesa cattolica e il Reich tedesco? Furono motivazioni di ordine diverso, ma tutte molto serie ed urgenti. Con l’avvento di Hitler al potere e con l’instaurazione dello Stato… accentratore, la situazione politico-istituzionale della Germania mutò rapidamente. (…). Era quindi necessario che la Santa Sede, per tutelare gli interessi dei cattolici tedeschi, si rendesse disponibile alla stipulazione di un accordo generale con il nuovo governo. Altro motivo, che spinse la Santa Sede ad accettare la proposta governativa di un Concordato… fu l’urgente necessità di proteggere le istituzioni cattoliche della Germania, seriamente minacciate da parte di alcuni elementi radicali del partito nazionalsocialista, in particolare le associazioni che svolgevano attività sociali, accusate di fare politica antistatale e di aumentare l’opposizione dei cattolici contro i partiti di governo. Un altro motivo che in realtà allarmò molto l’autorità ecclesiastica era la propaganda antiromana e antipapale (è possibile non vedere qui tutta l’eredità di Lutero?, nota mia), condotta da alcuni giornali filonazisti, che proponevano la creazione di una ‘chiesa cattolico-nazionale’, sottoposta all’autorità di un supervescovo, come stava avvenendo del resto all’interno della chiesa riformata. (…). La Santa Sede prima di impegnarsi definitivamente… chiese il parere dell’episcopato tedesco (…). Tale decisione non incontrò il favore di von Papen (che aveva partecipato alle trattative per parte tedesca mentre Pacelli per parte Vaticana, nota mia) che riteneva l’episcopato tedesco ‘troppo influenzato dalle idee del partito di Centro’ (…). I vescovi si riunirono a Fulda dal 30 maggio al 1° giugno, discussero, fra le altre cose, anche del progetto di Concordato sottoposto loro dalla Santa Sede e suggerirono diversi cambiamenti. Innanzitutto formularono critiche sull’articolo 31 (poi 32), che riguardava il ruolo politico del clero e che diventerà uno dei punti più controversi dell’accordo. Una svolta nelle trattative avvenne con il ritorno a Roma di von Papen il 29 giugno. In quel momento in Vaticano si guardava con grande preoccupazione a ciò che stava accadendo alle associazioni cattoliche in Germania, fatte oggetto da parte dei radicali di una persecuzione sempre più serrata. (…). Seguirono tre giorni di intense trattative nel corso delle quali, sotto l’influenza delle tristi notizie che arrivavano dalla Germania, tutte le precedenti difficoltà, anche quelle indicate dai vescovi tedeschi, furono presto superate. La sera del 2 luglio si giunse a un accordo di massima sulle materie trattate. ‘Il cardinale segretario di Stato (ossia Pacelli, nota mia) - scrisse l’ambasciatore tedesco von Bergen, che partecipò alle trattative, al ministro von Neurath - era evidentemente sotto l’impressione di rapporti, lettere e telegrammi che giungevano continuamente sugli arresti e il maltrattamento di sacerdoti, ecc…, come anche della recente propaganda della stampa straniera’ (nota numero 37 del testo: ‘Il 1° luglio Hitler autorizzò von Papen a riferire al cardinale Pacelli che dopo la conclusione del Concordato egli avrebbe personalmente provveduto ad una pacificazione profonda e completa tra la parte cattolica della popolazione e il governo del Reich o i governi dei singoli Lander e che egli sarebbe stato disposto a porre termine agli sviluppi politici del passato. Il vicecancelliere von Papen riferì… al cardinale Pacelli, il quale soltanto a queste precise condizioni accettò di concludere il Concordato, compreso il controverso articolo 32). Immediatamente l’abbozzo del testo del Concordato fu inviato da von Papen a Berlino, perché Hitler lo leggesse. Nella lettera di accompagnamento il vicecancelliere faceva notare al Fuhrer che con l’articolo 32 (ex 31) il Vaticano aveva pienamente accolto ‘la soluzione che voi, cancelliere, desideravate; per cui la Santa Sede decreta la proibizione di appartenere o collaborare a partiti politici per tutti i membri del clero e per gli appartenenti agli ordini religiosi’. Questo in termini politici significava la fine del partito del Centro, nel quale i sacerdoti erano gli attivisti più impegnati; infatti il 5 luglio… il Zentrum si autosciolse. Questa decisione non fu… direttamente voluta da Roma, ma fu la semplice conseguenza di un processo iniziato con l’ascesa di Hitler al potere e con la sua decisione di abbattere il ‘cattolicesimo politico’ in Germania. D’ora in avanti la Chiesa cattolica poteva continuare a vivere nel Reich tedesco sulla base di un accordo… che fu per lo più disatteso dall’autorità statale e che non le impedì negli anni successivi di perseguitare la Chiesa cattolica, considerata nemica del regime e delle sue aberranti aspirazioni totalitarie. Il Concordato, da un lato, concedeva alla Chiesa diritti… nell’ambito religioso e dell’insegnamento (privato) cattolico… dall’altro, le veniva tolta ogni possibilità di influire sulla vita sociale e politica del Paese. A questo tendevano infatti gli articoli 31 sulle associazioni cattoliche e 32 che vietava al clero di svolgere attività politica. In realtà, il Concordato era stato così intensamente voluto da Hitler proprio per raggiungere tale obiettivo: abbattere, con la benedizione (coatta) del Vaticano, il ‘cattolicesimo politico’. (…). Il Concordato tra Santa Sede e Germania fu firmato in Vaticano il 20 luglio 1933; per parte vaticana fu siglato dal cardinale Pacelli; per parte tedesca, invece, dal vicecancelliere del Reich von Papen. La ragione fondamentale che spinse la Santa Sede a firmare il Concordato, nonostante la difficile situazione della Chiesa cattolica in Germania, fu di crearsi una base legale per potersi opporre, attraverso uno strumento giuridico riconosciuto in sede internazionale, a eventuale attacchi del Governo nazionalsocialista contro la Chiesa cattolica tedesca. Il cardinale Pacelli, che conosceva bene la natura del nazionalsocialismo e l’inaffidabilità dei suoi dirigenti, non si faceva nessuna illusione che la controparte avrebbe rispettato i patti. All’incaricato di affari inglese presso la Santa Sede, I. Kirkpatrick, che gli ricordava l’inaffidabilità di Hitler, disse nell’agosto del 1933 che ‘se il Governo Tedesco avesse violato il Concordato, e lo avrebbe fatto di certo, il Vaticano avrebbe avuto un trattato in base al quale protestare (…).’ Tale concetto è ripreso dal padre E. Rosa in un articolo di commento al Concordato apparso sulla Civiltà Cattolica nel quaderno del 18 novembre 1933. Il gesuita definiva l’accordo… saggio… e ciononostante, commentava… ‘l’ipotesi non inverosimile, che dovessero avverarsi nell’ordine pratico i timori, speculativamente possibili ed ora da molte parti nutriti ed espressi circa la osservanza futura delle convenzioni presenti. Perché, siccome l’abuso non vale a sopprimere il diritto, così, e molto più, la violazione di una legge non giunge a rendere vana o incongrua le legge stessa o la norma giuridica e morale nella vita sociale dei popoli’. Tale passo fu aggiunto all’articolo su esplicita indicazione del cardinale Pacelli (che aveva avuto in revisione le bozze dell’articolo) (…). Di fatto… già all’indomani della conclusione del Concordato Hitler iniziò a violarlo a suo piacimento, e la Chiesa non sempre riuscì a tutelare gli interessi cattolici in Germania ricorrendo a quello strumento di diritto internazionale» (pagine 79-88).

Veniamo al presunto silenzio di Pio XII sulle persecuzioni a danno degli ebrei. Come vedremo il Papa denunciò la cosa convinto di aver parlato chiaro. In ogni caso, se avesse usato parole diverse da quelle che usò, certamente diplomatiche ma del tutto chiare, i nazisti, come era già successo a seguito della denuncia dell’episcopato locale in Olanda (ed a seguito di tale precedente altri episcopati, come quello polacco, chiesero formalmente al Papa di usare prudenza), avrebbero intensificato le persecuzioni anche a danno degli ebrei convertiti al cattolicesimo, fino a quel momento, per quieto vivere nei Paesi occupati, non toccati (in Olanda, a seguito della denuncia dell’episcopato olandese, furono coinvolti nelle deportazioni anche questi ebrei convertiti e tra gli altri santa Edith Stein). Ma le persecuzioni con tutta probabilità si sarebbero rivolte anche contro i cattolici non ebrei dal momento che Hitler era in quel momento ostile alla Chiesa e non aspettava altro che il pretesto per scatenarsi.

Sicché oggi i detrattori infingardi di Pio XII lo accuserebbero, al contrario, di non aver taciuto provocando i nazisti.

Ma passiamo proprio al radiomessaggio natalizio del 1942, citando ancora il libro di Giovanni Sale che segnalando innanzitutto la complessità di tale messaggio non riducibile alla sola ma fondamentale condanna dei perseguitati per ragioni di stirpe scrive: «… Raramente gli storici hanno prestato attenzione a quelle parole, a quelle idee (contenute nel messaggio, nota mia) che hanno segnato profondamente il magistero pacelliano (…). Di quel memorabile messaggio gli storici ricordano soltanto il riferimento (in apparenza generico) che il Papa fece in esso alla deportazione degli ebrei. Passaggio importante… ma che non ne esaurisce la ricchezza e che in ogni caso deve essere interpretato alla luce di tutto il resto. (…) pochi infatti notarono la denuncia che in esso il Pontefice faceva delle violenze naziste. Soltanto alcuni giornali americani fecero riferimento a questo fatto, ma in modo alquanto generico. Al contrario, i Governi e la diplomazia mondiale fissarono la loro attenzione quasi esclusivamente… sull’aspetto politico. Il tema del radiomessaggio infatti era ‘pacificazione ed ordine interno delle nazioni’. (Il Papa) temeva una vittoria di Hitler…; anzi sapeva che una vittoria del dittatore tedesco avrebbe fortemente compromesso il futuro del cattolicesimo non soltanto in Germania ma anche in Europa».

Poi Sale passa in rassegna il fatto che la maggior parte della stampa mondiale non recepì la denuncia che veniva fatta delle persecuzioni per ragioni di stirpe ed aggiunge: «I giornali statunitensi furono gli unici a notare che nel messaggio natalizio il Papa aveva condannato, fra l’altro, la deportazione e il massacro di civili innocenti, in particolare degli ebrei. The New York Times, per esempio, apprezzò del messaggio papale ‘le parole chiare’ che il Pontefice diceva ‘per difendere gli ebrei’ e per denunciare al mondo la strage di tanti innocenti. (…). Probabilmente già da tempo l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, D. von Bergen, sospettava che il messaggio natalizio del Papa avrebbe riservato quell’anno (1942) qualche spiacevole sorpresa per il suo Paese. Anzi, egli era quasi certo che Pio XII nel suo messaggio, pur conservando il tradizionale atteggiamento di imparzialità e senza nominare persone o situazioni particolari, avrebbe pronunciato parole severe nei confronti del cosiddetto ‘nuovo ordine europeo’ instaurato dal nazismo (…) non soltanto la stampa tedesca non riportò nessun passo del messaggio pontificio, ma la sua divulgazione… fu considerata come ‘un crimine contro la sicurezza dello Stato, passibile di pena di morte’ (…). I dirigenti del Reich, infatti, interpretarono il radiomessaggio come un attacco frontale contro il nazismo. Certamente ad essi non era sfuggito il riferimento che il Papa faceva nel suo discorso alla persecuzione degli ebrei, né tanto meno che aveva apertamente ‘ripudiato il nuovo ordine europeo del nazionalsocialismo’, come recita un rapporto dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA) del 22 gennaio 1943. Sempre secondo tale Rapporto, il discorso del Papa si presentava come ‘un lungo attacco a tutto ciò che noi rappresentiamo’: ‘Dio guarda - continua il Rapporto spiegando le parole del Papa - a tutti i popoli e a tutte le razze come se fossero meritevoli della stessa considerazione. E’ chiaro che parla a nome degli ebrei (…). Qui egli, virtualmente, accusa il popolo tedesco (in realtà il Papa accusava solo il regime nazista, nota mia) di ingiustizia nei riguardi degli ebrei e si fa portavoce dei crimini di guerra ebrei’. Il Governo del Reich non rimase inattivo e considerò una provocazione aperta il contenuto del messaggio del Papa: il ministro degli Esteri, J. Von Ribbentrop, incaricò l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede di comunicare a Pio XII il suo pensiero: ‘Da alcuni sintomi parrebbe - dice il comunicato - che il Vaticano sia disposto ad abbandonare il suo normale atteggiamento di neutralità e a prendere posizione contro la Germania. Sta a voi informare che in tal caso la Germania non è priva di mezzi di rappresaglia’. Secondo l’ambasciatore la reazione del Papa alla protesta tedesca fu serena e ferma: ‘Pacelli - egli scrisse - non è più sensibile alle minacce di quanto non lo siamo noi’ (…). Anche le autorità governative dei Paesi alleati prestarono una particolare attenzione all’ultima parte del radiomessaggio pontificio (…)».

«Ad esse era ben chiaro il significato di quel passaggio in cui il Papa, fra l’altro, faceva riferimento ‘alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa, talora SOLO PER RAGIONI DI NAZIONALITA’ E DI STIRPE, sono destinati alla morte o ad un progressivo deperimento’. Queste autorità sapevano bene - in particolare i loro diplomatici o inviati speciali presso la Santa Sede - che il Papa in quelle poche righe aveva inteso denunciare al mondo le inaudite violenze naziste, in modo particolare la deportazione di ebrei innocenti (…). Egli lo aveva fatto con un linguaggio e uno stile che gli era particolarmente familiare, sia per abito mentale sia per cultura, quello cioè della diplomazia; ma anche per il fatto che a questa in primis egli intendeva rivolgere il suo appello. Il Papa, pur denunciando ‘il fatto’, evitò di indicarne… il responsabile, sebbene questo fosse manifesto a tutti, e molti, soprattutto nel mondo della diplomazia, nazisti compresi, si resero conto del senso e della portata di quella denuncia».

Quindi il Sale passa a ricostruire come si arrivò a quel radiomessaggio, chiarissimo per chi non è fazioso e sa leggere, e dopo aver elencato tutte le, pur parziali e contraddittorie, notizie che pervenivano in quei mesi alla Santa Sede e la loro frammentarietà (altro che «si sapeva già tutto»!!!), aggiunge: «Insomma, le notizie che la Santa Sede in questo momento possedeva sulla tragica sorte degli ebrei non erano (pur frammentarie) di poco conto: forse erano episodiche, qualche volta oscure o lacunose, se si vuole, ma certamente tutte indirizzate verso una tragica verità: da qualche parte in Polonia si stava consumando un massacro, anche se in quel momento se ne ignorava l’entità. A nostro parere fu la conoscenza di queste allarmanti e tragiche notizie, più che la pressione degli Alleati, che spinse il Papa a denunciare nel messaggio natalizio di quell’anno il massacro di tanti innocenti soltanto per motivi di nazionalità e di stirpe».

Ma il Sale, a sottolineare come il Papa tenesse a distinguere il regime nazista, e le sue responsabilità, dal popolo tedesco che lui Pastore Universale non poteva non amare come tutti i popoli della terra, ricorda che nella stesso radiomessaggio, cosa che non piacque agli Alleati, il Pontefice condannò anche i bombardamenti terroristici e militarmente criminali sulle città tedesche ossia sui civili innocenti ed indifesi. Dopodichè il Sale ricorda come il Papa fosse «soggettivamente» convinto di aver parlato «forte» contro i crimini nazisti e di aver denunciato al mondo ciò che stava accadendo ai «non ariani» (qui ci sia consentito di ricordare da parte nostra che le persecuzione del resto non riguardarono, come vuole la «teologia dell’olocausto» elaborata a scopi di egemonia spirituale della Sinagoga e di strategia geopolitica dello Stato di Israele, soltanto gli ebrei ma anche tutto il resto di varia umanità: slavi, italiani, francesi, polacchi, russi, rumeni, comunisti e persino «fascisti» come i legionari di Codreanu di cui molti finirono nei campi) e cita due documenti: il primo la lettera del 30 aprile indirizzata dal Papa all’arcivescovo K. von Preysing nella quale afferma di aver: «detto una parola di ciò che si fa attualmente contro i non-ariani nei territori sottomessi all’autorità tedesca. Fu un breve cenno ma fu ben compreso»; il secondo la relazione dell’ambasciatore polacco Papeé dopo essere stato ricevuto in udienza e nella quale si attesta che il Papa, a proposito delle lamentele del presidente polacco in esilio circa il contenuto a suo dire insufficiente del messaggio, affermò: «In primo luogo mi domando se il presidente ha letto il messaggio di Natale. Sono sorpreso. Sono rattristato. Sì, rattristato. Non una parola di gratitudine, di riconoscenza, di ammissione che io ho detto tutto, tutto. Sono stato chiaro e preciso».

L’ambasciatore testimonia che: «A questo punto il Papa citò vari brani del suo discorso di Natale, soffermandosi in particolare sulla condanna da lui pronunciata delle persecuzioni a causa di nazionalità o razza, delle esecuzioni, delle deportazioni e dei saccheggi. Citò interi passi a memoria».

Tutte le citazione sopra riportate sono comprese tra pagina 212 e pagina 235 del libro in questione. Credo sia sufficiente, a meno di non essere intellettualmente disonesti ed infingardi, per poter dire, al contrario di quanto vorrebbe la vulgata antipacellania messa su dagli ebrei di oggi (i cui padri, che tutto ciò avevano vissuto, al contrario nell’immediato dopoguerra furono abbondanti nei ringraziamenti pubblici e solenni a Papa Pacelli), che il Papa DENUNCIO’ APERTAMENTE quanto di tragico stava accadendo.

Grazia Loparco, storica, su Avvenire del 20 dicembre 2008, ha descritto la continuità della politica antinazista tra Pio XI e Pio XII così: «C’è stata continuità sostanziale, anche se con un atteggiamento diverso. Certamente era più diretto quello di Pio XI. Che nel ‘37 ha scritto, usando eccezionalmente il tedesco e non il latino, l’enciclica Mit brennender Sorge (‘Con viva preoccupazione’), rivolta all’episcopato tedesco, in cui denunciava tra l’altro l’anticristianesimo presente nel nazionalsocialismo. E con la stessa nettezza nel ‘38 si è pronunciato nei confronti della legge razziale che vietava i matrimoni misti. Ma in pochi anni la situazione è radicalmente cambiata: Pio XI ha vissuto la fase montante del nazionalsocialismo e la minaccia di guerra, ma Pio XII si è trovato a tenere saldo il timone della Chiesa durante il boom del nazismo e nel pieno della guerra: erano anni in cui sempre meno si poteva ottenere qualcosa a livello diplomatico…: non possiamo sapere cosa sarebbe capitato se Pio XII avesse fatto scelte diverse. Ma sappiamo cosa era capitato in Olanda, dove la presa di posizione forte dei vescovi aveva scatenato una reazione durissima. Bisogna avere una visione internazionale per cogliere la complessità del momento. (Di fronte alle accuse sul presunto silenzio di Pio XII) Il problema è ricostruire non solo che cosa è stato fatto, ma per quali ragioni. Il silenzio di Pio XII era per salvare se stesso o per salvare gli altri? In realtà Pio XII ha usato gli strumenti diplomatici che aveva a disposizione, forte anche della sua precedente esperienza in Germania, ma ha dato la priorità alla salvezza delle persone. Ora noi vorremmo risposte politiche, ma in un regime totalitario probabilmente non sarebbero servite se non a inasprire il clima. Quello che poteva fare era salvare le persone, e quello ha fatto. Proprio una decina di giorni fa ho parlato nuovamente con le suore del monastero dei Santissimi Quattro Coronati, qui a Roma, e ho chiesto se sarebbe stato possibile per loro aprire il convento a chi cercava rifugio, in mancanza di una dispensa dall’alto. Essendo un monastero di clausura, non sarebbe stato possibile. L’hanno potuto fare perché c’è stato l’ordine del Papa, come ci sono state molte altre sue iniziative. Il silenzio ‘ufficiale’ è stata una scelta molto meditata, per noi oggi difficile da capire, ma non è il tempo per giudicare».

Gli ebrei salvati da quell’ordine di Papa Pacelli si calcolano in almeno 850.000. Se si tratta di cifra «insufficiente» lo lascio giudicare all’intelligenza dei lettori. Per quanto riguarda, infine, la qualifica di «cattolici» attribuita a personaggi citati (dei quali bisogna vedere quanti fossero nati «cattolici» e quanti protestanti), il ragionamento mi ricorda molto da vicino quello di Fiamma Nirenstein, ben nota per il suo fanatismo «talmudico», che ha sostenuto che le SS fossero cristiane dal momento che erano state, da piccoli, battezzate e dal momento che sui loro cinturoni compariva la scritta «Gott mit uns».

Chi è stato battezzato dai genitori rende automaticamente un cattolico pienamente obbediente a Santa Romana Chiesa? Qui non si sta giudicando la «spiritualità» di alcuni lettori, non lo scrivente almeno, perché da cristiano lascio ciò alla Misericordia di Dio sapendo che proprio a Lui tutti dovremo rendere conto di cosa ne abbiamo fatto del nostro battesimo, ma sto solo facendo un esempio per dire che Hitler, benché battezzato, tanti sono battezzati!, non esprime la santità della Chiesa e si assume tutte le responsabilità di fronte a Dio.

Ricordo una catechesi del cardinale Biffi: ogni cristiano quando pecca, e tutti pecchiamo, non «è» la Chiesa che rimane santa nonostante i peccati dei suoi figli. I sacramenti hanno un doppio effetto: salvifico o di condanna a seconda di come li si assume. Chi usa indegnamente dei sacramenti, ed il battesimo è il primo dei sacramenti, li usa non a sua salvezza ma a sua condanna.

Quanto poi alla presunta educazione cattolica ricevuta da quei personaggi vorrei invitarti a studiare un po’ meglio le biografie dei gerarchi nazisti e quella di Hitler: scopriresti che essi aderirono, anche prima della comparsa del partito nazista, a quella spiritualità occultistica ed esoterica di cui la Germania ottocentesca fu una delle culle. E tramite tale spiritualità aderirono al nazionalismo teofanico, gnostico e neopagano, che i culti ed i riti wotanici di massa del nazismo seppero poi mettere in scena alla perfezione. Le radici di questo nazionalismo teofanico sono proprio nell’eresia luterana la cui bibliografia di riferimento cui chiunque può accedere se vuole, non è di matrice agostiniana ma ermetico-gnostico (l’individualismo teologico di Lutero altro non è che orgoglio prometeico perché non si può essere cristiani senza obbedienza a quel Pietro che Cristo ha direttamente investito del Suo potere spirituale per tenere uniti e confermare nella Verità di fede coloro che vogliono seguirLo: ed infatti, rifiutata l’obbedienza alla Chiesa, i protestanti sono caduti nella schiavitù del Principe ossia dello Stato che mediante la loro setta si è fatta la sua «chiesa nazionale», ossia sottoposta al potere politico, utile strumento di governo tendenzialmente prima ed apertamente poi, con Bismarck ed il Kulturkampf e quindi Hitler, totalitario). A chi, come la Nirestein crede che basti un nominalistico riferimento a Dio per essere definiti cattolici, faccio osservare che anche sul dollaro americano vi è la scritta «in God we trust».

Sì, ma a quale «dio» si riferiscono gli americani e si riferivano le SS?!

Invito o lettori a riflettere un po’ di più sull’esoterismo presente nella cultura politica nazista come in quella dei fondatori degli Stati Uniti, notoriamente massoni. Viene ricordato che Hitler ammirava la disciplina dei gesuiti? Dirò di più: gli opuscoli nazisti usati dagli organizzatori delle grandi adunate di massa del regime indicavano come modello da seguire in queste liturgie politiche quello della liturgia della Messa cattolica (e si trattava della Messa in rito latino, non quella di oggi).

Ricordo però che secondo la Tradizione l’Anticristo, per confondere gli spiriti, scimmiotta il Signore. Nonostante il battesimo, il «dio» che adoravano i Goering, etc. non era il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ossia il Dio di Gesù Cristo. Qui la questione è che non si distingue o non si vuol artatamente distinguere tra Dio e la sua «scimmia».

Comunque, quel che mi ha urtato di Fini è solo una cosa: la malafede dell’argomentare quando si tratta di Cattolicesimo e di Chiesa cattolica. Del resto tutto questo mi ricorda che noi cristiani siamo stati debitamente avvertiti: «il servo non è più del Maestro» ed ancora «hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi».

Luigi Copertino


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