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Salame, la pazienza è finita
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La vecchia pensionata ha ricevuto a casa la «social card». Va al supermercato, fà la spesa e la presenta alla cassa. La cassiera inserisce la card nel lettore elettronico; imbarazzata, dice: «Signora, il suo credito è zero». Non ci sono i 40 euro promessi e sperati.

Succede a moltissimi, mi dicono. Nella social card ricevuta per posta non c’è nulla. Quasi nessuno ha diritto davvero a quei 40 euro mensili; però ha ricevuto il quadratino di plastica, con tanti auguri e auto-sbrodolamento del governo.

Migliaia di pensionati, per quanto capisco, subiscono in questi giorni la doppia ferita della speranza tradita (40 euro al mese, per chi ne prende 500 di pensione, non sono affatto un’elemosina: sono l’8% di aumento), e dell’umiliazione alla cassa. Certi supermercati, per compassione, fanno uno sconto del 5% a chi presenta la card «vuota».

E’ un altro trucco dell’allegro Mister Viagra, venditore di sogni; la social card è falsa come le sue TV, i suoi concorsi a premio e i suoi TG.

Vorrei che il Salame rispondesse: crede che quelle migliaia e migliaia di illusi e umiliati, che lui ha fatto sentire più poveri, lo voteranno ancora? Almeno questo non lo preoccupa?

Vorrei anche sapere altro. Se i soldi non ci sono, bastava dirlo. Ma i soldi ci sono per «salvare» il comune di Catania, dove impera rovinosamente il medico personale del Salame; per ripianare i conti di Roma, la capitale Kippà; per comprare 15 o 17 aerei executive (ho perso il conto) onde scarrozzare nani e ballerine di governo.

Mi piacerebbe essere informato anche di un piccolo particolare: perchè, per quella minuscola ma preziosa regalia ai poveri che s’è rivelata un’amara illusione, s’è pensato al sistema macchinoso della pseudo-carta di credito?

Almeno 7 milioni di vecchi poveri non hanno mai avuto un bancomat, non hanno un computer, non capiscono di elettronica, di «password» e di «PIN»; l’arrivo a casa di quella plastichetta è, per i più, un imbarazzo, qualcosa di incomprensibile.

C’era un metodo molto più semplice: lo usano in America, dove i poveri ricevono dalla contea i «food stamp». Sono degli assegni di carta, del tutto simili ai «ticket restaurant», che ogni impiegato riceve dalla sua azienda e che può spendere alla tavola calda o al supermercato.

Perchè Salame ha preferito a questo sistema, più semplice ed economico, quello cervellotico e costoso della plastica magnetica?

Rifaccio la domanda in modo più preciso: chi ha fatto guadagnare, con questa emissione colossale di plastiche, il Berlusconi?

Se lo chiediamo, è perchè su Alitalia, sappiamo chi il Salame ha fatto guadagnare. Roberto Colaninno e i suoi compari, altresì detti «soci della cordata per difendere l’italianità, eccetera»: si sono comprati la parte «buona» di Alitalia per quasi un boccone di pane, ed ora si apprestano a rivenderla ad Air France con un profitto del 30% in più.

Intesa-San Paolo: mediatore dell’affare, che si è prelevata grassissime commissioni di entità sconosciuta, e in più si è alleggerita di un peso, rifilando alla nuova compagnia quella Air One, che era creditrice della stessa Intesa, e da cui c’era poca speranza di recuperare i crediti.

Ci ha guadagnato Air France: che era disposta a pagare molto di più e ad accollarsi molti più debiti (1,2 miliardi di euro) prima che il Cavaliere intervenisse ad affondare l’acquisto, in combutta con i sindacati della Casta. Ora ottiene lo stesso risultato – accaparrarsi il quarto mercato d’Europa per i voli – per soli 320 milioni di euro.

Sappiamo anche chi Berlusconi non ha voluto far guadagnare: noi contribuenti, noi italiani. A noi, il furbastro Salame ha accollato 3 o 4 miliardi di euro di debiti impagabili di Alitalia, mettendoli nella «bad company» che è alloggiata al Tesoro.

C’è persino da stupirsi che questa farsesca malversazione non abbia conseguenze almeno civili: che Berlusconi paghi di tasca sua. La nostra magistratura sempre all’erta a perseguitare il Salame, non riesce a vederci nulla di strano nella faccenda Alitalia? Non esistono leggi in proposito?

Io so che se, da privato cittadino, cerco di accollare ad altri i debiti miei, finisco in galera. Come mai la dilapidazione di denaro pubblico resta un «errore politico», che spetta all’elettore sancire «politicamente»?

Campa cavallo: il Cavaliere e il suo oppositore presunto, Uòlter Obama Veltroni, si sono accordati per farci votare chi vogliono loro.

E allora mandiamo un messaggio «politico» al Salame:

La pazienza verso la sua allegra dilapidazione del denaro pubblico, verso le sue promesse da venditore di spazzole porta-a-porta, sta finendo. Tutta la sua presunta «efficacia» ed «imprenditorialità» ci si è mostrata per quello che è: un trucco da magliaro incompetente; il suo contratto con gli italiani la vede inadempiente.

E’ un avvertimento che si rivolge a lei, Salame, ma anche ai suoi compari, yes men lombardo-neanderthaliani:

A quella «imprenditrice» Moratti che doveva far rifulgere Milano e mostrare l’eccellenza della classe dirigente privatista, e invece 1) si fa rifilare derivati truffaldini come una principiante, 2) se ne sta a lamentarsi che non riceve abbastanza fondi da Roma per la sua Expo Milano con cui deve arricchire un altro po' i super-palazzinari alla Ligresti, 3) se ne sta a difendere «l’hub di Malpensa», insieme ai neanderthaliani alla Bossi e Calderoli, e al furbastro Formigoni.

Un pianto terrone quanto mai, un vittimismo napulitano, mix tipico di furberia, ignoranza e incapacità. Calderoli e Bossi fingendo di venire dall’età della pietra, possono far finta di non capire perchè Malpensa non funziona, e proclamare di «difenderla» con «i fucili» di chissà quali valli bergamasche (da cui il gozzo endemico dovrebbe pure essere scomparso); ma che la «difendano» Moratti e Formigoni, è veramente inammissibile.

Malpensa non funziona per un motivo elementare: perchè non è collegata alle ferrovie (ex) di Stato, della linea Torino-Venezia. Basterebbero una ventina di chilometri di binari. Finchè non ci saranno, Malpensa non funzionerà, e resterà una pista sperduta nella brughiera, affollata di vetrine dove doveva fiorire il Made in Italy, e dove invece è difficile persino andare al cesso o mangiare un panino.

Eppure questi nostri governanti viaggiano moltissimo, a spese nostre: avranno pur visto cos’è un «hub», saranno atterrati a Francoforte, a Parigi, a Londra, a... Istanbul.

Viaggiare senza imparare nulla, senza nulla vedere e comprendere, è – d’accordo – un tipico passatempo italiota: ma per questi, dovrebbe essere definitiva la condanna.

Non c’era, nel contratto del salame con gli italioti, anche una qualche promessa di snellimento delle caste pubbliche, di rigore, di minori tassazioni e di tagli ai costi?

Invece apprendiamo che, sotto l’allegro governo del salame, il debito pubblico ha toccato un record – 1.670,6 miliardi, contro i 1.648 di settembre – e ciò nonostante l’esazione fiscale abbia spremuto dalle tasche di noi italiani, ancora una volta, il 2,8% in più. Quando tutti noi privati abbiamo guadagnato parecchio di meno.

Segno che le caste numerosissime, avide fankazziste e incompetenti, continuano ad imperversare, a spendere e spandere e a tartassare i contribuenti, impunite più di prima.

Hanno contribuito all’aumento del debito immmenso le provincie (ma non se ne doveva abolire qualcuna? Ah già, i lumbard-terronici non vogliono, ora che ne hanno conquistate parecchie); i Comuni con un indebitamento salito di 1,7 miliardi di euro – e i Comuni, nel centro-sud specialmente, che servizi danno?

Ecco un piccolo esempio, che ho sentito a non so quale radio: nella Roma capitale su cui sventola la bandiera israeliana, per un posto di un bambino all’asilo nido il comune spende 15 mila e passa euro l’anno, 1.320 euro al mese; nei Comuni meglio gestiti la spesa annua per bambino è sui 7.700 euro l’anno.

Alzi la mano qualunque mamma italiana: non starebbe a casa ad allevare il suo bambino se ricevesse dal Comune un assegno mensile non dico da 1.320 euro, ma da 700?

Ciò alleggerirebbe le casse del Comune-Kippà di un numero enorme di miliardi.

E’ la prova lampante che gli asili nido non servono per aiutare le mamme, nè per educare i bambini; servono per mantenere le insegnanti, per imbucare raccomandati e gestire mense con la «stecca» incorporata al politichetto locale; servono a far proliferare «il pubblico impiego» per gente inoccupabile altrimenti.

Sotto il Salame, la finanza è più allegra di prima; la spesa pubblica cresce; gli emolumenti delle caste fioriscono, insieme a tutte le inefficienze; la «nuova classe» ha dato prove ormai definitive della sua incompetenza e irresponsabilità. Il cittadino paga, ed è abbandonato a se stesso.

Ma siamo giusti, riconosciamo al Salame un successo: ben 1,2 milioni di lavoratori si sono lasciati convincere a mettere la loro liquidazione nei fondi privati.

Risultato: ora costoro hanno perso, col crollo dei corsi azionari, il 20-40% del loro salvagente per la vecchiaia. «Spendete, spendete!», come ci dice il Salame: già fatto, avete speso per noi.

Il potere della criminalità organizzata su tre regioni è diventato ancora più assoluto; all’ospedale di Vibo, i capi-bastone continuano a fare le operazioni chirurgiche e ad ammazzare (che cosa si pretende, da laureati in ‘ndrangheta), il gran cuore di Napoli rapina della pensione invalide sulla carrozzella, e brucia i ristoranti, la Sicilia è consegnata alla mafia (povero Riina, povero Provenzano) degli eletti democraticamente, intoccabili – ecco il trucco – nella loro «autonomia».

Questo Paese sta somigliando ogni giorno di più alla Colombia, con il territorio sotto controllo delle FARC, e all’Argentina con la sua borghesia compradora e i suoi ninos da rua.

Qui, fra poco, oltre alle badanti e a tutti i servizi che lo Stato non ci dà, ci dovremo pagare i «paramilitares» da protezione. E invece di cosa si occupa la «politica»?

Della commissione di vigilanza RAI, e di come espellerne quello che loro stessi hanno votato; e di partecipare a manifestazioni pro-Israele, minacciando invece chi partecipa alle altre.

Per il ministrello Ronchi, le preghiere in piazza dei musulmani «sono bestemmie»; per Giovanardi, come sappiamo, bisogna espellerli.

Un Paese dove pregare in pubblico comincia ad essere sentito come intollerabile dal potere: c’è da stare allegri.

Il sionismo non basta a salvare un governo così chiaramente superficiale, fatuo, dilapidatore, così poco serio rispetto alla severità della grande crisi che avanza. O forse sì?

Forse questi sanno che è Israele ad «eleggere» i politici italiani, e non noi. Per questo se ne infischiano del nostro giudizio. Ma la pazienza sta esaurendosi.



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