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La Memoria unilaterale
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L’Annunziata, ad «Anno Zero», ha attribuito a merito di Israele il fatto che si sia ritirato unilateralmente da Gaza. Oggi quindi, l’Annunziata e tutti gli altri lekka-kippa esalteranno il fatto che Israele abbia deciso una tregua «unilaterale».

Invece, la unilateralità della tregua configura in sè un ulteriore crimine contro l’umanità.

Con essa, Israele vuole ostentatamente dimostrare che spregia i palestinesi, non li ritiene esseri umani all’altezza di trattare; e Gaza, uno zoo pieno di belve. Per qualche motivo, Israele ha deciso di entrare nello zoo di sua proprietà per massacrare un certo numero di bestie che ritiene pericolose; finito il massacro, smette. Non c’è nessun bisogno di stringere trattati con animali, di prendere impegni giuridici verso le bestie.

Ovviamente, i capi israeliani dicono – e lo dichiarano – che con il ritiro unilaterale non vogliono riconoscere ad Hamas la dignità di entità governativa; ma questo è il meno. Decretando unilateralmente la tregua, Israele evita di impegnarsi  a riaprire i valichi ai soccorsi alimentari e medici, arrogandosi la prerogativa di continuare ad affamare un milione e mezzo di palestinesi abbandonati fra le macerie.

Non si impegna a riconoscere il diritto della gente di Gaza a vivere con qualche sicurezza nei suoi angusti confini, nè con qualunque altro diritto minimo.

Peggio e di più: Israele proclama implicitamente che anche quella minuscola striscia, in cui ha ammassato un milione e mezzo di sue vittime, è pur sempre terra «sua»; terra in cui si riserva di entrare a suo arbitrio, e che ha intenzione di riprendersi a piacere, quando lo riterrà opportuno, in ogni momento, senza farsi carico di quegli abitanti estranei, inferiori, senza voce umana – che per Giuda sono meno che nulla.

La tregua «unilaterale», come il ritiro unilaterale, è un modo per non firmare accordi che Israele vuole comunque violare, per non riconoscere il diritto internazionale e umanitario, e non ritenersi soggetta alle norme della umanità, riconfermate a Norimberga.

Questo atteggiamento è il risultato di un’educazione, quella del Talmud, che viene ai bambini ebrei insegnata nelle scuole ebraiche, agli studenti «religiosi» nelle yeshivoth, ai giovani adulti nelle università, come quella di Haifa: che i non-ebrei sono «animali parlanti».

Anche quando smette di sparare e di uccidere «unilateralmente», Israele commette un crimine contro l’umanità, perchè non riconosce l’umanità del nemico, come di tutti gli altri esseri umani, alle cui proteste e ai cui rimproveri – ostentatamente – resta insensibile, come fossero strida di scimmie o di uccelli.

L’educazione talmudica stessa, in quanto insegna il suprematismo razzista e il disprezzo totale verso il prossimo, è un crimine contro l’umanità.

L’ideologia sionista, alimentata dal disprezzo talmudico per gli altri uomini, è essa stessa un crimine contro la pace, perchè giustifica l’aggressione immotivata, ed incita alla crudeltà, allo scempio di cadaveri (1).

Ed uno Stato con questa ideologia, armato di 200 testate atomiche, è pericoloso per il mondo intero.

Ma noi, in questi giorni, abbiamo visto che il povero popolo di Gaza è una società umana; capace di far funzionare ospedali, di organizzare scuole per i suoi bambini, di curare i suoi feriti nelle condizioni più impossibili; ha i suoi medici e i suoi conduttori di ambulanze capaci di eroica abnegazione, ha i suoi maestri perchè vuole che i suoi bambini imparino a leggere e scrivere, ha (aveva) una università; ha tutori dell’ordine e regolatori del traffico; è capace, nella disperazione, di aggrapparsi alla fede in Dio, e quando tutti i suoi figli sono uccisi, di gridare «non mi resta che Allah».

Anche senza Hamas, questa società così riconoscibilmente umana, che sa provvedere a se stessa (2), ha diritto a che il mondo le riconosca il diritto ad esistere. E che il mondo ingiunga all’aggressore di garantire il diritto alla vita di questa società, aprendo i valichi, lasciando che gli altri – non Israele, non certo Israele – li nutra e li curi dopo la distruzione.

Hamas «non riconosce il diritto all’esistenza di Israele?».

Se pur fosse vero, è la risposta reciproca, perfettamente simmetrica, al fatto che Israele non riconosce il diritto ai palestinesi ad esistere; non solo come Stato, ma come società umana.

«Hamas spara i razzi», e questo giustifica lo sterminio? Hamas «è armato dall’Iran»?

In queste atroci tre settimane, abbiamo avuto la prova che Hamas non aveva affatto quelle armi, che Giuda ci assicurava ottenute attraverso i tunnel di Rafah, causa pretesa della «guerra».

Non aveva missili anti-aerei, non aveva missili anticarro guidati a filo di cui disponeva Hezbollah nel 2006, e che seppe usare così bene contro l’aggressore.

Non aveva che qualche kalashnikov, qualche granata.

Quanto ai razzi Kassam, sono artifici fatti in casa, il cui propellente è fabbricabile con prodotti semplici e disponibili: qualche sacco di fertilizzante chimico al nitrato.

Inoltre, i tunnel di Rafah sboccano in Egitto. Israele ci vuol far credere che l’Egitto, in combutta con Teheran, ha lasciato passare cannoni e missili destinati ad Hamas sul suo territorio?

Infatti non c’è altra via per il passaggio di armi; e i carichi devono essere stati grossi, voluminosi, impossibili da dissimulare. Israele implica una complicità dell’Egitto?

Pare di no, perchè tratta il cessate il fuoco con l’Egitto, in modo che l’Egitto poi riferisca i suoi desideri ad Hamas, la bestia con cui non tratta.

E allora?

Israele mente, ora lo vediamo chiaramente. Come ha mentito sulle fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam, fornendo anche falsa intelligence. Come ha mentito quando fingeva di «far la pace» con Abu Mazen, e intanto il capo del governo di allora, l’attuale ministro della Guerra generale Ehud Barak, accelerava l’insediamento di coloni ebraici fanatici nel territorio cisgiordano, «riconosciuto» a parole come altrui.

Abbiamo dunque motivo di ritenere che menta anche quando assicura che deve bombardare l’Iran, perchè Teheran si sta fabbricando la bomba atomica, nonostante che l’ente internazionale a ciò preposto e universalmente riconosciuto competente in materia di controllo nucleare, la AIEA, i cui tecnici esperti  hanno accesso alle installazioni iraniane, dica il contrario.

Israele non crede alla AIEA. Perchè? Forse perchè  non riconosce alcun organismo internazionale? O perchè ritiene i tecnici AIEA solo «animali parlanti», e non esseri umani?

Ma passi. Cancelliamo tutto il ragionamento. Ammettiamo pure che Israele abbia politicamente ragione a voler rovesciare Hamas.

Anche in questo caso, ha commesso crimini disumani, atrocità vergognose, ha usato armi proibite, ha infranto norme internazionali, a cominciare dal diritto sancito a Norimberga.

Per disciplinare quel milione e mezzo di persone, la metà delle quali sotto i 16 anni, e l’80% già profughi di precedenti pulizie etniche talmudiche, chiusi da mesi con il 20% del cibo necessario in 40 chilometri di striscia, e comprovatamente privi di armi pesanti, il regno santo di Sion ha usato:

232 carri armati;
687 veicoli corazzati;
43 caccia-bombardieri e 105 elicotteri da battaglia;
221 pezzi d’artiglieria campale, e 346 mortai;
li ha spiati con 3 satelliti artificiali;
vi ha impegnato 10 mila soldati armati di tutto punto, con giubbotti antiproiettile, visori notturni e tutti i gadget della distruzione.

Dire che questo volume di fuoco è «sproporzionato», è essere indulgenti. Tanto armamento di grosso calibro, tanti bombardamenti dal cielo, da terra e dal mare, l’uso di bombe al fosforo e di bombe DIME che strappano arti, ci obbligano a denunciare: Israele non ha voluto colpire Hamas, ha voluto sterminare la società palestinese in quanto tale.

I suoi medici che s’affannano a cucire le orribili ferite, i suoi portantini che corrono qua e là con le ambulanze sotto il fuoco spietato, i suoi maestri elementari, i suoi giornalisti, i suoi impiegati civili (anche se sono di Hamas, gli impiegati civili sono tutelati dal diritto umanitario; possono anche non condividere l’ideologia di Hamas, e in ogni caso nel mondo civile non si ammazza gente per quel che pensa, o che noi crediamo pensi), i suoi magazzini alimentari.

E infatti ha colpito scuole, sale-stampa, magazzini dell’ONU, ambulanze; tutti oggetti ed edifici segnalati da sigle e croci che per tutto il resto del mondo significano: rispettate questi luoghi e queste cose, sono per i civili.

Questo è genocidio e punizione collettiva, da punire secondo le leggi di Norimberga.

Un così imponente attacco armato, non giustificato da motivi di autodifesa (quelli addotti si sono rivelati falsi e pretestuosi), è un crimine contro la pace secondo i principii di Norimberga accolti dall’ONU, risoluzione 95.

Se diciamo questo, è perchè ci allarma il fatto che Sion abbia sì decretato «la tregua unilaterale», però «non si ritira» da Gaza, e Olmert promette:; «Se sparano, ricominciamo di nuovo».

Secondo le Convenzioni di Ginevra, dal momento stesso in cui Israele non si ritira dal territorio che ha incenerito, diventa responsabile del mantenimento degli occupati, della vita dei civili.

Poichè è certo che non si accollerà questo obbligo, anche il suo comportamento – da ora in poi – va esaminato come sospetto di ulteriore crimine contro l’umanità.

Se vieta il passaggio dei soccorsi europei, volonterosi di sostituirsi alle responsabilità che Israele non si accolla, il crimine contro l’umanità è dimostrato senza ulteriore esame. I soccorsi sono urgenti, e ogni ritardo aumenta la sofferenza e le morti di civili.

E per favore tacciano i «cattolici», se vogliono accusarci di non amare gli ebrei. Quando un tizio prende come ostaggi dei vicini e comincia di punto in bianco a sparare sui passanti dalla finestra, i cattolici non ritengono che la cosa più urgente sia chiedersi se hanno amato abbastanza quel tizio, se i passati dolori subìti da quel tizio giustificano la sua azione, se il tizio è un «fratello maggiore» degno di tutti i riguardi. Ritengono prima di tutto necessario bloccare quel tizio, catturarlo, legarlo e persino sparargli; ed ovviamente, anzitutto, trascinare via i feriti da lui provocati dal suo angolo di tiro, e salvare gli ostaggi che ha imprigionato.

Ora, Israele ha smesso temporaneamente di sparare; ma tiene ancora gli ostaggi sotto il suo tallone. Ed ha già dato prova di non avere alcuno scrupolo a massacrarli.

Richiamare Israele al rispetto delle norme umanitarie non è manifestazione di non so quale «antisemitismo»; al contrario, è  persino fargli onore: significa presupporre che Israele abbia una coscienza, che sappia ragionare e si senta parte della comune umanità. Il che, purtroppo, non è affatto dimostrato dai suoi atti.

Nè l’ordine internazionale può fermare Israele con la forza: la forza bruta è tutta, schiacciante, in mano sua.

In questi giorni, si celebra ufficialmente la giornata della shoa, che coincide con il sessantesimo anniversario della Carta universale dei diritti dell’uomo. Gli studenti di tutte le scuole italiane sono obbligati ad ascoltare «testimonianze di sopravvissuti» dei lager, a fare temi e cosiddette ricerche sul patimento degli ebrei, e sulla necessità di «ricordare»; due studenti per scuola vinceranno, come premio per le loro ricerche, un viaggio ad Auschwitz, a spese ovviamente di noi contribuenti.

Ho una modesta proposta:

I genitori degli scolari e degli studenti aiutino i loro figli nella «ricerca», copiando e incollando le foto dei bambini bruciati, sepolti sotto le macerie, e mutilati a Gaza; e aiutandoli a cogliere le analogie fra gli eventi di 63 anni orsono e quelli  perpetrati oggi dal solo Stato oggi rimasto dove la cittadinanza è data su basi razziali (è israeliano solo chi può dimostrare di avere una nonna o una mamma ebrea) ove si spregia la Carta dei diritti dell’uomo, dove si pretende l’impunità per atti atroci e crimini razzisti di Stato.

A questo scopo, si potrà utilmente rifarsi a sir Gerald Kaufman, membro del Parlamento britannico, ebreo di origine polacca, che ha detto pubblicamente:

«Mia nonna fu uccisa da un soldato tedesco mentre era a letto malata. Mia nonna non è morta per fornire ai soldati israeliani la scusa storica per ammazzare le nonne palestinesi a Gaza. L’attuale governo israeliano sfrutta cinicamente e senza limiti il senso di colpa dei gentili per l’olocausto onde giustificare i suoi omicidii in Palestina» (3).

Raccontino gli studenti come sir Gerald Kaufman sia stato attaccato per questa sua dichiarazione, eppure coraggiosamente abbia tenuto il punto, dicendo: «Quando a Manchester l’IRA ha fatto esplodere una bomba che ha distrutto tutto il centro, noi non abbiamo mandato l’esercito a Belfast a massacrare oltre mille cattolici».

Raccontino gli studenti come numerose organizzazioni umanitarie rispettate, fra cui la Croce Rossa Internazionale, abbiano annunciato di star raccogliendo dati e prove sulle violazioni delle norme internazionali che hanno constatato nei giorni di questa aggressione, dall’uso di armi proibite agli impedimenti deliberati dei soccorsi, fino al bombardamento di scuole dell’ONU diventati rifugi di civili che speravano di salvarsi dai bombardamenti.

Riportino – prima che ce lo dimenichiamo tutti – che Amnesty International ha scritto ufficialmente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite reclamando «un’azione ferma» per accertare pienamente «la responsabilità in crimini di guerra ed altre gravi violazioni dei diritti umani e delle norme umanitarie nel conflitto di Gaza» (4).

Ricordino gli studenti il sito «Stop the International Solidarity Movenent», che ha indicato all’esercito israeliano come bersagli da eliminare diversi volontari di pace, accorsi a Gaza per aiutare, con tanto di foto e generalità, fra cui quelle dell’italiano Arrigoni. E di come tale sito sia stato oscurato, e i suoi autori indiziati dall’Interpol per istigazione all’omicidio.

Riflettano gli studenti sul destino delle centinaia di bambini e giovani di Gaza atrocemente mutilati da bombe concepite apposta per provocare mutilazioni, e sul loro triste futuro, in una società che non ha certo i mezzi per assicurare ai suoi invalidi una vita decente nel futuro.

Esprimano un giudizio, gli studenti, sul fatto che il regime israeliano, avvertito dal procuratore generale di Israele Menahem Mazuz che si deve aspettare «un’ondata di denunce internazionali» per le atrocità commesse, abbia messo in piedi un gruppo di avvocati e periti legali (detto Incrimination Team) allo scopo di «formulare argomenti che possano essere usati per la difesa contro le accuse di crimini di guerra», cercando e presentando materiale filmato a discolpa.

Riflettano gli studenti sul fatto che – tranne eroiche eccezioni – la comunità ebraica italiana, come tutte le comunità ebraiche in Occidente, è insorta come un solo uomo a negare le accuse, ad accusare chi accusa come «antisemita» e a giustificare le atrocità come necessarie «per l’esistenza stessa di Israele».

Svolgano con parole loro utili considerazioni sul fatto che, agendo così, ebrei che non sono cittadini israeliani, si autodichiarano partecipi e favorevoli a tali atrocità, ossia «volontari carnefici».

Elaborino riflessioni su questa atteggiamento, che disonora il nome israeliano e quello israelita, e di come invece il pentimento per questi fatti, e l’accettazione della condanna morale che coinvolge Israele, è la sola via per scongiurare che Israele sia visto come il mostro fra le nazioni, lo Stato-canaglia, il «cane idrofobo» (è una definizione di Ariel Sharon) che ogni anno o due aggredisce con esili pretesti Paesi vicini, violando sovranità e uccidendo persone d’altri Stati, sicchè si propone al mondo come un pericolo per tutti gli uomini, non solo per gli arabi.

Dibattano infine gli studenti sul fatto che la giornata della Memoria, se non è una vuota auto-adorazione dei giudei, deve diventare incitamento a vegliare a che le atrocità di 63 anni orsono non si ripetano oggi, e l’obbligo, che compete a ciascuno di noi, a denunciare crimini di questo genere quando avvengono sotto gli occhi della presente generazione.

E chiedano di essere portati in visita, piuttosto che ad Auschwitz (dove non si può più rimediare a nulla) nel carnaio di Gaza, dove il crimine è in corso e può essere ancora impedito.

Perchè la Memoria, almeno quella, non sia «unilaterale».




1) Per esempio andrà accertato il seguente episodio, narrato dal giornalista Ola Attallah, corrispondente di IOL: un bambino di 9 anni, Ibrahim Awaga, già ferito da un missile, è stato usato come un bersaglio da esercitazione da soldati israeliani. «Un soldato s’è avvicinato al corpo del mio bambino, l’ha sollevato per le gambe ridendo, mentre un altro gli ha sparato alla testa. Sempre ridendo, hanno posto il corpo su un muretto e per una intera ora hanno gareggiato fra loro nel tiro al bersaglio» su quel corpo. Testimone della scena sarebbe stato il padre, Kamal Awaga, che giaceva a terra ferito al torace e s’è finto morto, riuscendo così a scampare. (Uruknet, 15 gennaio 2009). Sarebbe interessante sapere per esempio se questi soldati portavano la kippà o altro segno della loro religione; perchè si ha notizia che atti del genere vengano commessi da studenti delle yeshivoth (scuole rabbiniche) fondamentaliste, che si arruolano volentieri proprio per adempiere all’obbligo biblico: «Babilonia, beato chi afferrerà i tuoi figli piccoli e spaccherà loro la testa sulla roccia».
2) La società di Gaza ha dimostrato di sapersi auto-organizzare, per esempio, meglio della cittadinanza napoletana o di quella di Vibo Valentia, che non è in grado di liberarsi da sè della 'ndrangheta che ha occupato l’ospedale e sta uccidendo i pazienti con operazioni chirurgiche. Con ciò, nessun politico riterrebbe legittimo, per liberare i vibonesi, di bombardare quell’ospedale.
3) «MP makes israeli troops nazi link», BBC, 16 gennaio 2009.
4) «Israel expects army officers to be prosecuted for war crimes», Irish Sun, 16 gennaio 2009.


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