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Abominio della desolazione
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Un lettore scrive a Blondet (oltre che ad Arai Daniele) il seguente commento:

«“Gentile Direttore,
mi permetto di esortarla a fare attenzione - nella sacrosanta vis polemica che la anima - alle interpretazioni ‘disinvolte’ e troppo personali del dettato biblico; l’immensa stima che ho per lei non impedisce di vedere che lei (e molti degli autori di questo sito, a partire dal signor Arai) siete piuttosto carenti di quella virtù che si chiama ‘obbedienza’ (l’altra faccia della fede: non dimentichi che ‘Non abbiate paura: io ho vinto il mondo!’).
Non possiamo sapere il livello di menzogna e mistificazione religiosa che l’anticristo attuerà, ma il Signore ci ha promesso - a meno di davvero sconvolgenti prodigi infernali - che sarà inevitabile la distinzione fra noi e il Figlio della perdizione e pertanto l’individuazione del vero Pietro sarà sempre possibile quale roccia cui riferirci nei futuri tempi terribili.
E anche adesso Pietro è Benedetto XVI.
Non altri.
Le allego un testo a mio parere chiarificatore, per sua e nostra edificazione.
Saluti”
 
“Una riflessione approfondita merita certamente la menzione dell’abominio posto nel luogo santo, che si presenta agli occhi del lettore come una indicazione dal carattere piuttosto ermetico.
Non è comunque difficile risalire alla natura di questa realtà preannunciata da Gesù, anche se è difficile poter dire a che cosa storicamente potrà corrispondere. L’espressione utilizzata da Cristo è inserita nel suo discorso escatologico come una citazione del libro di Daniele, e proprio da questo bisogna partire per cercare il senso di questa immagine profetica. Il punto di riferimento è costituito esattamente da Daniele 9,27: ‘Egli stringerà una forte alleanza con molti… farà cessare il sacrificio e l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione e ciò sarà fino alla fine’. Il Concilio di Trento dà una precisa interpretazione di questo versetto: riprendendo il tema dell’Anticristo per due volte, nella sessione del 6 agosto 1547 e in quella del 10 dicembre 1551.
I due testi non differiscono sostanzialmente nel contenuto: punto di partenza di entrambi è il mistero dell’Eucaristia. Facendo leva sulla pericope di Daniele relativa alla introduzione nel Tempio dell’abominio della desolazione, il Concilio afferma che vi si annuncia la presenza nella Chiesa dell’Anticristo, un uomo sinistro che sorgerà nella fase finale della storia dell’umanità e che, analogamente alla durata del ministero pubblico di Gesù, godrà di un potere tirannico per un periodo di circa tre anni e mezzo (ossia lo spazio di metà settimana citato dal verso 27, dove un giorno corrisponde a un anno). Trento si preoccupa di sottolineare, in entrambi i testi in questione, un particolare relativo al sacramento dell’Eucaristia: l’Anticristo metterà in atto una persecuzione contro i cristiani che culminerà nella proibizione di celebrare pubblicamente il sacrificio cristiano.
 
Nella prospettiva conciliare l’abominio della desolazione profetizzato da Daniele altro non sarebbe che il regno stesso dell’antagonista di Cristo che, in una parodia dell’Incarnazione, presenterà se stesso come l’autentica divinità a cui si deve il culto, negando di conseguenza ogni valore alle istituzioni cristiane e, in particolare, al sacramento dell’Eucaristia. Il significato basilare del testo di Daniele ha un preciso riferimento storico, che risale all’epoca della dominazione ellenistica sulla Palestina. Antioco IV Epifane voleva trasformare Gerusalemme in un centro culturale come Atene e Alessandria, cancellando le usanze ebraiche e il culto giudaico.
Egli giunse persino a introdurre nel Tempio di Gerusalemme una statua di Giove capitolino, una profanazione spudorata che non era mai avvenuta in questi termini nella storia di Israele e che parve intollerabile alle frange più osservanti del giudaismo. Il senso letterale dell’abominio della desolazione va perciò ricercato in quell’idolo introdotto nel Tempio. Nelle parole di Gesù, tuttavia, l’abominio della desolazione ha pure un significato profetico, capace di riferirsi a un fatto non ancora accaduto e che avrà luogo alla fine dei tempi. In questo secondo livello, a cui Cristo conduce intenzionalmente l’attività interpretante dei suoi discepoli, il ‘luogo santo’ non è più il Tempio di Gerusalemme, che peraltro non riveste oramai alcun ruolo religioso per la comunità cristiana. Il luogo santo adesso è la Chiesa. Cristo intende dire che, alla fine dei tempi, prima del suo ritorno glorioso, nella Chiesa avverrà qualcosa di simile all’ntroduzione di un idolo, come quell’antico abominio della desolazione. In cosa poi esso esattamente consista, non è facile dirlo.
Si può solo ipotizzare. Se il Concilio di Trento identifica questo idolo con lo spirito falsificatore dell’anticristo, e se il Catechismo della Chiesa cattolica, come vedremo, parla di una impostura religiosa degli ultimi tempi, allora, probabilmente, questo idolo innalzato nel luogo sacro (la Chiesa) sarà Cristo stesso ma annunciato in modo alterato; sarà un vangelo svuotato del suo contenuto soprannaturale; sarà un’esperienza cristiana completa nei suoi comportamenti e ritualismi esterni, ma priva della sua forza interiore di rinascita; in una parola: sarà la grande apostasia degli ultimi tempi, in cui il cristianesimo non sarà né negato né contraddetto, ma sarà vissuto meccanicamente come un ingranaggio privo di vita: ‘con la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la forza interiore’ (2 Tm 3,5). Esso costituirà uno dei segnali della vicinanza del ritorno di Cristo. Riteniamo che al di là di questo per ora non si possa andare; ad ogni modo, i passi biblici relativi agli eventi finali saranno molto più chiari solo alla luce dei fatti che si svolgeranno, e che i cristiani allora viventi saranno chiamati a leggere e interpretare correttamente. Cediamo ancora una volta la parola al Catechismo della Chiesa cattolica, che descrive così gli eventi finali della nostra storia: ‘Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti… il mistero dell’iniquità si svelerà sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’anticristo’ (CCC numero 676). Il testo è così chiaro che quasi non necessita di commento, e in certo senso contiene gli elementi più essenziali per l’individuazione dell’abominio della desolazione innalzato nel luogo sacro, come segno dei tempi finali. Il cammino storico della Chiesa non va considerato come un movimento trionfale verso la definitiva vittoria, ma va visto piuttosto come una replica della vita del Gesù storico, il quale va verso la vita definitiva passando attraverso la solitudine e il dolore del Venerdì Santo; la Chiesa, suo Corpo terrestre, dovrà anch’essa patire il suo Getsemani e la sua crocifissione, prima di entrare nella gloria definitiva della celeste Gerusalemme. Il Giuda che consegnerà la Chiesa ai suoi aguzzini sarà lo spirito dell’anticristo, che provocherà una generalizzata apostasia, a causa della quale il cristianesimo resterà in piedi solo nelle sue forme esterne, rimanendo svuotato della sua forza rinnovatrice, e sarà proprio questa quell’impostura religiosa di cui si fa cenno al numero 676 del CCC e quell’abominio della desolazione annunciato direttamente da Gesù. Il medesimo numero del Catechismo sembra prevedere, prima del ritorno di Cristo, oltre a una generale apostasia, anche una persecuzione cruenta contro i cristiani, come si percepisce dietro l’espressione di apertura: ‘Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti…’; lo scuotimento della fede potrà essere probabilmente una prova dolorosa (una persecuzione?), giacché l’apostasia non scuote la fede, ma la uccide come in una eutanasia.
Nel discorso escatologico di Gesù, le persecuzioni cruente sono comunque previste nel quadro degli eventi finali, e forse il CCC allude proprio a questo. Lo spirito dell’anticristo, che provocherà una generalizzata apostasia, a causa della quale il cristianesimo resterà in piedi solo nelle sue forme esterne, rimanendo svuotato della sua forza rinnovatrice, e sarà proprio questa l’impostura religiosa di cui si fa cenno al numero 676 del CCC e quell’abominio della desolazione annunciato direttamente da Gesù. Il medesimo numero del Catechismo sembra prevedere, prima del ritorno di Cristo, oltre a una generale apostasia, anche una persecuzione cruenta contro i cristiani, come si percepisce dietro l’espressione di apertura: ‘Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti…’
».

La disinvoltura è tutta del lettore. Probabilmente non ha letto con la dovuta attenzione il passo del CCC 676, che lui stesso ci ha mandato:

«Riteniamo che al di là di questo per ora non si possa andare; ad ogni modo, i passi biblici relativi agli eventi finali saranno molto più chiari solo alla luce dei fatti che si svolgeranno, e che i cristiani allora viventi saranno chiamati a leggere e interpretare correttamente».

Ora, i padri del concilio di Trento non potevano nemmeno immaginare il ritorno in massa degli ebrei in Terra Santa, nè come si sarebbero presi con la violenza la terra che (secondo lo stesso ebraismo) deve essere data da Dio quando vorrà, e come forti correnti rabbiniche da allora sognino la ricostruzione del Tempio e la ripetizione del sacrificio dell’agnello pasquale nel solo luogo dove il sacrificio è «valido»: la Roccia di Abramo, che è coperta dalla moschea di Omar.

Noi, probabilmente, siamo più vicini ai tempi finali, quando, secondo il medesimo CCC,  «i passi biblici relativi agli eventi finali saranno molto più chiari solo alla luce dei fatti che si svolgeranno, e che i cristiani allora viventi saranno chiamati a leggere e interpretare correttamente».

Siamo noi, oggi, chiamati ad interpretare: il ritorno dei giudei è un segno «apocalittico», rivelativo. Ebbene: è cristico, oppure anticristico?

La Chiesa non si pronuncia, ma noi non siamo obbligati allo stesso neutralismo epistemologico. Cristo stesso ci ha esortato a riconoscere «i segni dei tempi», come siamo in grado di prevedere il tempo che farà dal colore del cielo. Non ci ha detto di farci ammaestrare dai cardinali, su tali segni, nè di dipendere in questo dalla loro autorità. Al contrario, ci ha detto che abbiamo i mezzi per capirli da soli. E ci ha dato anche una indicazione di buon senso: «Dai frutti li riconoscerete».

I frutti del popolo eletto, li abbiamo sotto gli occhi: atrocità, violenza immotivata contro i picccoli e gli innocenti, fame e distruzione portata contro un popolo intero, aggressività sconfinata verso i Paesi vicini; senza dimenticare la doppiezza e la menzogna su cui basano il loro potere sopra i nostri governi occidentali, con le loro lobby che agiscono dietro le quinte e impongono la menzogna come verità.

Al punto che la potente America non è diventata che «il simulacro» dell’Apocalisse, attraverso cui parla la voce del Falso Agnello (simile all’Agnello, ma che «parla come il Dragone»).

Credo siamo autorizzati a considerare tutti questi segni di una filiazione (o di una dipendenza) dal «Padre di menzogna», colui che «fu omicida fin dal principio».

Si può aggiungere che per Cristo - vero ebreo della sua epoca, come non si stancano di ripeterci i fratelli maggiori - il «Luogo Santo» non era e non poteva essere altro che il Tempio ebraico, allora in piedi, e orgoglio di tutta la nazione; più precisamente, la roccia dove Abramo fu sul punto di sacrificare il figlio Isacco, e che era racchiusa nel tempio; il solo luogo dove il sacrificio pasquale era «valido».

Il sacrificio non si poteva fare a Babilonia o a Roma, ci ha mai pensato? Perchè la condizione materiale del sacrificio era la Roccia; esattamente come il sacrificio cristiano ha alcune condizioni materiali, il pane e il vino, e non si può consacrare l’Eucarestia con birra e riso - anche se sono cibo per la maggior parte dell’umanità.

Cristo non nega il valore validante della Roccia. Anzi lo riafferma, quando dice a Simone: tu sei la Roccia, e su questa Roccia fonderò la mia Chiesa. E’ per questo motivo che noi cattolici possiamo celebrare validamente l’eucarestia in Babilonia, a Roma, a Parigi e a New York come a Gerusalemme. Perchè il sacerdote celebrante, dovunque si trovi, sacrifica validamente per delegazione di Pietro la «Roccia».

Del resto, ancor più, Cristo dichiara se stesso quel Tempio: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo rifarò». E parlava del Tempio del suo corpo.

Dunque, ogni volta che un sacerdote consacrato (da Pietro) eleva il pane, lì è il Tempio-Gesù. Anzi, Gesù è insieme il Tempio, il Sacerdote e la Vittima.

La nostra roccia non è di pietra, ma di carne e mobile; quella degli ebrei e quella dei musulmani è di pietra, e posta in un luogo preciso del mondo; si può ritenere che la Ka’aba stessa non sia che una immagine della Pietra di Gerusalemme, a cui Maometto invitava a rivolgersi, prima di cambiare l’orientamento dei fedeli verso la Mecca  (il luogo della rivelazione del Corano, il «logos» per i musulmani).

La Chiesa, per questo, non ha un «luogo sacro»; la basilica di San Pietro non è più sacra di una chiesa di periferia in cui sia custodito il Santissimo pane eucaristico, carne sangue anima e divinità di Gesù nostro Re.

Si può probabilmente ritenere non esatta l’idea di «un idolo innalzato nella Chiesa» (almeno speriamo che - non dico i preti, ma i sacrestani - non lo consentiranno).

La  Chiesa subirà probabilmente la persecuzione consistente nel divieto della celebrazione della Messa - è già accaduto ripetutamente, nella Francia giacobina, nel Messico massonico e soprattutto nell’impero giudeo-sovietico, vera approssimazione del Dragone Rosso.

La Chiesa sta subendo probabilmente già  la «grande apostasia», la «discessio» di prelati e (in) fedeli verso falsi cristi e profeti, e soprattutto verso la secolarizzazione nichilista. L’una cosa non esclude l’altra, al contrario.

La  ripetizione del sacrificio pasquale sulla Roccia di Gerusalemme, blasfema ma con la volontà di renderla  «valida», e la persecuzione della Eucarestia, discendono l’una dall’altra: la riaffermazione violenta del vecchio rito superato non può che accompagnarsi con la negazione dell’ultimo Agnello sacrificato sulla croce, dopo il quale nessun sacrificio animale è più richiesto - ma il sacrificio di Melchisedek  sacerdote dell’Altissimo, di pane e vino.

Lo stesso CCC ipotizza la «parodia dell’Incarnazione» da parte dell’antagonista di Cristo, che «presenterà se stesso come l’autentica divinità a cui si deve il culto, negando di conseguenza ogni valore alle istituzioni cristiane e, in particolare, al sacramento dell’Eucaristia».

Ora, il popolo ebraico, dopo aver prodotto infiniti falsi messia, si sente il Messia di se stesso, l’auto-liberatore; libero da ogni legge morale, superiore ad ogni altro popolo. Con la ripetizione forzosa e violenta del rito, intende appunto «negare ogni valore all’Eucarestia», al Messia che ha rifiutato e ucciso.

E l’ebraismo non si impone agli altri popoli come «religione della vittima», la sola religione ufficialmente obbligatoria, che ci obbliga a chiedere perdono in eterno per quello che essi - con termine sacrale - chiamano «olocausto»?

Non è già questa la religione dell’Anticristo, ufficialmente imposta dalla pretesa «vittima»?

Quel rito finale sulla Roccia, eseguito con precisione, sarà insieme un atto di «hybris» superba e qualcosa come un atto magico, una profanazione che è insieme sacra (come nelle messe nere occorre una «vera» ostia consacrata) con cui i fanatici dei tempi ultimi contano di «obbligare» Dio Padre a tener fede all’antica alleanza, e dare a Israele ciò che ha promesso, secondo Israele, e cioè il potere sul «mondo a venire» - ossia sul futuro, non sull’eternità.

Ora, questa «evocazione» forzata del Padre, quasi una evocazione necromantica, è la massima offesa di Dio che si possa concepire: una «bestemmia sacra», un atto rituale radicalmente indebito, che si cerca in tutti i modi di rendere «valido», ossia efficace.

Cosa può venire da una tale evocazione del Padre, con mezzi blasfemi?

Forse per questo Cristo dice: «Quando vedrete l’abominazione della desolazione posta sul luogo sacro (chi legge intenda) allora quelli che si trovano in Giudea fuggano sui monti, chi è sulla terrazza non scenda a prendere la roba in casa, chi si trova in campagna non torni indietro a prendere il mantello».

Secondo me, questo allude ad una risposta repentina, istantanea, conseguenza immediata della «evocazione» blasfema della Presenza Reale della Prima Persona. Non ci sarà tempo di scendere dalla terrazza in casa, nè sarà consigliabile; nè di tornare a prendere il mantello. Bisognerà «fuggire sui monti», perchè ci sarà «una tribolazione quale mai c’è stata dall’origine del mondo fino ad ora». E ciò, precisamente in Giudea.

Si potrebbero fare molte ipotesi sulla natura di questa «tribolazione» da cui si potrà forse scampare salendo su luoghi alti, o non scendendo a pianterreno. Me ne astengo.

E invito il lettore, se crede, ad indicarmi le inesattezze in questo mio ragionamento. Sarò lieto di essermi sbagliato.



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