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Si facciano curare
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Lettori mi segnalano: «Su Repubblica c’è un articolo che l’attacca come antisemita». Mi preoccupo, compro il giornale e intanto avviso l’avvocato per la necessaria querela, ma poi mi tranquillizzo. Dell’articolone (una «inchiesta», sarebbe) con ben due titoli inquietanti – «L’antisemita che vive in mezzo a noi», «se ritorna l’antisemitismo» - ma a tranquillizzarmi basta la firma: Paolo Rumiz.

I lettori devono sapere che il Rumiz è un giornalista di un genere specifico e raro, ancorchè superfluo: il fumatore d’oppio della Finis Austriae, il cantore nostalgico della Mitteleuropa (pronunciare «Oiròpa») con tutti i suoi ingredienti, Karl Kraus e Freud, Musil e la Sachertorte.

Esiste infatti questo tipo di giornalista in Italia: per evocare un quadro di Salvador Dalì, il grande masturbatore sui dagherrotipi della Vienna fin de siècle, lo squisito evocatore della deliziosa «décadence», della Vienerschnitzel e (soprattutto) del Danubio blu.

A quanti lettori interessino questi temi, è dubbio. Ma sembra che i grandi giornali non possano fare a meno di dotarsi di questi personaggi.

Forse a dei burini direttoriali alla Mieli o alla Mauro sembrano chic, perchè buttano lì allusioni al «Giovane Toerless» come l’avessero letto, lasciano cadere accenni al «Piccolo Hans» e a «Lettere a Milena» (pronunciate «Mìlena») sanno raccontare aneddoti quasi inediti sul ponte Venceslao e Johan Strauss; forse perchè i lettori del genere appartengono alla nota comunità, i cui elementi colti (il che esclude Pacifici)  tributano all’irripetibile regno absburgico, dopo averlo distrutto, una nostalgia  immedicabile.

Fatto sta che il Corriere ha Claudio Magris, e Repubblica s’è dovuta dotare di Rumiz.

Magris è capace di riempire pagine e pagine in grande formato, anzi libri grossi così, su un solo argomento, il Danubio. Riesce a scriverne infaticabilmente senza nemmeno citare i suoi affluenti; di rado rivolge il suo interesse alla Sava, ma in compenso è inarrestabile nel raccontare la Rava e la Fava.

Nessuno supera in noia prolissa e danubiana il maestro, Magris; Rumiz fa del suo meglio, arrancando dietro il maestro e cercando di imitarne la scrittura proliferante-sognante, alla ricerca delle orme cancellate di Svevo e di Kafka. Una vena così prodigiosa che viene il sospetto sia sostenuta da numerosi «spritz»: ah, il bianchino triestino, così mitteleuropeo!

Il guaio è quando sono comandati a scavare in eventi, notizie e realtà sociologiche concrete, questi specialisti della Wienerschnitzel e di Arthur Schnitzel sono pesci fuor d’acqua.

Aver commissionato una inchiesta sull’antisemitismo in Italia al povero Rumiz è una cattiva azione. Come spedire il titolare della rubrica «Giardinaggio» a fare un servizio su Gazprom. Il poveretto non sa da che parte cominciare.

«L’onda lunga cresce», assicura; ma «da dove sondarla? Tra gli skinhead del Veneto? Nei centri sociali di Milano? Nelle frange estreme della sinistra a Torino?... La scienza e la cultura sono inermi davanti a un fenomeno nuovo».

Pur armato di tutta la scienza e la cultura mitteleuropea dell’inconscio, e scaldato da tutti i bianchini con lo schizzo di amaro, il grande masturbatore in seconda si confessa inerme di fronte a un fenomeno inafferrabile, anzi (come direbbe Groeddeck) «ineffabile»: «L’Onda la catturi nell’ineffabile, la dove il veleno diventa chiacchiera da bar, discorso d’autobus».

Per sua fortuna, Rumiz non deve faticare tanto: trova l’Antisemitismo già sul treno che prendere ogni settimana, «linea Trieste-Mestre-Milano, un treno di pendolari e di studenti. Un proiettile di pensieri, sentimenti e paure in corsa nella nebbia della Padania»  (scusate, questi scrivono così).

In che forma?

«Un uomo benvestito con la borsa ventiquattrore, salito a Portogruaro», che dice: «Loro hanno dimenticato Auschwitz, non noi».

Sosta a Padova, dove una donna sulla settantina, «che non sta mai zitta, impartisce lezioni di vita»: e osa dire: «Preghiamo per quei bambini», ossia per i bambini di Gaza. Antisemitismo, non c’è dubbio.

A «Desenzano tuona, il convoglio entra nel monsone, diventa un bivacco» di pendolari e studenti: la notazione metereologica pare messa lì tanto per allungare il pezzo, invece ci fa capire quanto siamo lontani dal Musil e dalla Sacher; ormai penetriamo nell’India misteriosa, Desenzano schiaffeggiata da monsoni è la Mumbai padana, luogo di adoratori di Kalì e di Thugs strangolatori, luogo di nefandezze ed eccessi idolatri senza limiti. E il sovraffollamento dei pendolari appesi ai corrimano sicuramente è favorevole a rigurgiti incontrollati di Antisemitismo.

Invece, deve ammettere l’esploratore danubiano-balcanico, «due studenti prendono le parti di Israele». Per fortuna «un grassone salito a Verona», che «ostenta la Padania aperta sul tavolino», riporta l’equilibrio: «Col potere che hanno, devono smettere di fare le vittime». Non che il grassone ami i palestinesi: «Stessa gentaglia».

Che Rumiz abbia incontrato Borghezio? Non lo sapremo. Gli antisemiti cui dà voce sono tutti anonimi, prudentemente inventati. In compenso, Rumiz fa i nomi dei moltissimi ebrei che ha sentito.

David Meghnagi, «esperto di Medio Oriente», che «cita dati agghiaccianti: il 34% degli italiani pensa che gli ebrei debbano smetterla di parlare della Shoah» (così pochi?).

Adriana Goldstaub, «dell’Archivio del Pregiudizio» (sic): «Le barriere del politicamente corretto sono saltate». Al Centro di documentazione ebraica «si muovono con i piedi di piombo», ma «mai hanno visto una vigilia così tesa del Giorno della Memoria»…

Ma finalmente «Marcello Pezzetti, direttore del museo della Shoah di Roma», senza ambagi, indica il colpevole: «Un Papa che rivaluta la preghiera del Venerdì santo, dove si recita che gli ebrei sono da portare sulla strada della verà fede, non è cosa senza influenza».

Dopo di che, il resto viene da sè. E Rumiz addita alla psicopolizia il sito «EFFEDIEFFE, ipercattolico, legato a una casa editrice che vende libri antigiudaici o negazionisti on line. Cose come “I fanatici dell’Apocalisse” o “I segreti della dottrina rabbinica”, dedicato alle “bestemmie del Talmud contro i cristiani”.

«E’ qui», esulta il danubiano, che «il vecchio e nuovo antisemitismo si ibridano. L’ebreo è colui che uccide i bambini altrui, ne beve il sangue per fare il pane, domina il mondo attraverso oscure macchinazioni finanziarie. E’ il potere demo-pluto-massonico, la congiura, il complotto. Ha il naso adunco, le mani come artigli. E’ il carnefice di Gesù, per cui pregare il venerdì santo... Quarto Reich... nuove SS = soldati sionisti. Le tesi antisemite escono dal ghetto. Parole come: “Israele filtra il moscerino e ingoia il cammello: di sabato non accende una sigaretta ma accende i motori degli F-16”.
 
Ora, l’avvocato è incaricato di trovare se in questo pot-pourri di frasi nostre e di frasi inventate ci sono gli estremi della diffamazione, o addirittura della calunnia.

Io rivendico di aver scritto che gli ebrei rabbinici, che si fanno scrupolo di accendere una sigaretta il sabato, non si fanno scrupolo di accendere gli F-16; ma dove mai ho scritto del «naso adunco e delle mani come artigli»? E che l’ebreo qualche volta «beve il sangue dei bambini», non l’ho scritto io, ma l’ha documentato Ariel Toaff.

Rumiz qui si esercita in quello che si chiama «l’amalgama» diffamatorio, una specialità da sub-giornalismo calunnioso. Vedremo se la rozza accortezza di  mettere insieme frasi attribuite a qualcuno e a nessuno in particolare basterà a salvarlo dalla richiesta di danni pecuniari.

Personalmente, tenderei alla clemenza. Rumiz è stato inviato troppo lontano da Trieste, dagli aperitivi, dal Danubio e dalle Sacher, dalle cose di cui è esperto.

Non è capace nemmeno di riflettere sulla distintizione essenziale: che «antisemitismo» è l’odio contro un gruppo umano per quello che «è», la nostra è detestazione per quello che Israele «fa».

Israele può smettere di essere detestato e di suscitare orrore: basta che smetta di massacrare e affamare i palestinesi, di bruciare i bambini col fosforo, e di aggredire ogni anno un Paese vicino, su pretesti falsi o esilissimi.

Non è difficile, se si è sani di mente.

Se non passasse troppo tempo nella Mitteleuropa scomparsa, il Rumiz si sarebbe informato. E saprebbe che:

230 avvocati internazionali hanno depositato una denuncia alla Corte Penale Internazionale con l’accusa contro Israele di crimini di guerra, punizione collettiva, sproporzionato uso delle armi, bombardamenti di installazioni non-militari e uccisioni di civili in violazione della Convenzione di Ginevra del 1949 (nessuna paura, boia: la Corte ha già detto che non è competente, in quanto lo Stato sionista non rionosce quel tribunale).

Che un gruppo chiamato Jüdische Stimme für gerechten Frieden im Nahen Osten (Voce ebraica per una pace giusta in Medio Oriente,  EJJP Germany, Berlin-Friedrichshafen), ha denunciato la «inumanità» degli eccidi di Gaza, e si chiede: «Forse il fatto che la comunità ebraica europea è stata vittima di ingiustizia assassina in Germania dà allo Stato ebraico il diritto di fare ingiustizia agli altri?».

Che Noam Chomsky, ha rilevato con sarcasmo che «due settimane dopo l’inizio dell’attacco in giorno di sabato, l’esercito israeliano ha rifiutato di far entrare aiuti alimentari a Gaza (come richiesto dall’ONU) adducendo che i valichi erano chiusi per il sabato. Rigorosa osservanza del Sabbath in modo duale», uno degli atti che contribuiscono a fare «di Israele il Paese più odiato del  mondo».

Che Amnesty International, «Save the Children» e una quantità di altre ONG, anche ebraiche, hanno accusato Sion di crimini contro l’umanità.

Che il britannico Telegraph ha raccolto accuse di esecuzioni di genitori palestinesi davanti agli occhi dei loro figli: http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/israel/4309611/Israel-accused-of-executing-parents-in-front-of-children-in-Gaza.html

Che alcuni giovani soldati israeliani sono in galera per essersi rifiutati di partecipare al massacro.

Che Moni Ovadia (l’ho sentito a una radio) ha consigliato che Israele, perlomeno, allevii le angherie e le vessazioni che nulla hanno a che fare con la sua sicurezza, che apra i valichi agli aiuti, che diminuisca i posti di blocco.

Che Zeev Schiff, il più stimato analista militare israeliano, ha scritto: «L’esercito israeliano ha sempre colpito la popolazione civile, di proposito e in piena coscienza... l’esercito non ha mai fatti distinzione tra bersagli civili (e militari)», per una ragione che spiega citando Abba Eban, uno dei padri del sionismo: «Era la prospettiva razionale, in fin dei conti realizzata, che la popolazione colpita avrebbe esercitato pressioni per finire le ostilità». Aggiungendo che Eban si vantò di «una Israele che infligge indiscriminatamente ogni possibile livello di morte e sofferenza sulle popolazioni civili, con uno stato d’animo che ricorda regimi che nè mister Begin (primo ministro) nè io osiamo nominare».

Dunque che Abba Eban, non Blondet, accomunava Israele al Terzo Reich.

Rumiz doveva capire i suoi limiti. Attenersi alla pratica del suo vizio solitario nella Cripta dei Cappuccini, eccitandosi con la Marcia di Radetzski.

Il giornalismo non lo sa fare. Non sa informarsi, e perciò calunnia e insinua. Se si fosse informato, avrebbe avuto qualche bell’aneddoto e qualche dichiarazione gustosa da raccontare.

Ad esempio questa:

«C’è un pericolo inerente quando la gente strumentalizza cinicamente l’olocausto per distorcere un conflitto politico attuale».

Chi l’ha detto?

Incredibilmente, Avner Shalev, direttore dello Yad Vashem, ossia dal massimo centro di cinica strumentalizzatione della Shoah, il cuore pulsante della industria dell’olocausto.

Ovviamente, Shalev se la prendeva non con se stesso, ma con i manifestanti che in tutta Europa protestano contro i massacri di Gaza: «Usare cartelli e slogan che paragonano i soldati israeliani alle truppe tedesche, la striscia di Gaza ad Auschwitz e la stella di Davide alla svastica, è un uso infondato delle immagini e dei termini dell’olocausto come arma contro Israele che incita una crescita dell’antisemitismo».

Questa è chutzpah, ragazzi. Dopo averci obbligato a celebrare fin dalle elementari la «Memoria», si lamentano se – avendo noi perfettamente appreso la lezione, e aderendo all’invito a «vegliare perchè non torni più» il mostro – scorgiamo nei massacratori sionisti qualcosa che «ricorda» le SS.

E’ antisemita dire che gli ebrei hanno troppo potere?

Rumiz s’informi. Non lo dicono sul treno Trieste-Milano. L’ha detto Olmert, vantandosene in questi termini:

«La mattina di venerdì il segretario di Stato (Condy Rice) stava considerando di votare la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU per il cessate il fuoco, e noi non volevamo che lei la votasse», ha detto Olmert.

«Io ho detto: ‘Passatemi al telefono il presidente Bush’. Loro hanno provato a dirmi che era nel mezzo di un discorso a Philadelphia. Io ho replicato: ‘Non mi interessa. Ho bisogno di parlargli subito’. E’ sceso dal podio, e ha preso la telefonata».

Obbediente, Bush ha ordinato alla Rice – che aveva contribuito a stendere il testo della risoluzione edulcorandola, e per quersto era disposta a votarla, di astenersi. [PM: "Rice left embarrassed in UN vote", By Yaakov Lappin, Jerusalem Post, 12 gennaio 2009].

Commenta Alexander Cockburn: «L’11 settembre il president Bush fu interrotto mentre leggeva un raccontino a degli scolari, gli fu detto che il World Trade Center era stato colpito, eppure lui continuò a leggere. Adesso, Olmert lo chiama mentre sta tenendo un discorso, e Bush lascia subito il podio per prendere istruzioni al telefono. Non c’è esempio più chiaro della relazione servo-padrone».

Per non essere anti-israeliani, bisogna semplicemente ignorare queste realtà. Rumiz le ignora, e cerca l’Antisemitismo. Beato lui.

Metto anche quest’ultima; la sapete già, ma è troppo bella. L’ha pubblicata il Corriere:

«Invito i governi europei ad abrogare il Giorno della Memoria perché non ne sono degni e perché, ancora una volta, mostrano d’essere dalla parte di chi commise la Shoah. E' tremula e piena d’angoscia la voce di Cynthia Ozick, la scrittrice statunitense autrice di capolavori della letteratura ebraica moderna quali “Lo scialle”, “Il Rabbino pagano” e “Il Messia di Stoccolma”».

La Ozick ci manda a letto senza Shoah, commenta l’amico Enrico Galoppini. Ma c’è poco da ridere. La nota scrittrice del Katz dice ancora:

«Sono pessimista di fronte a un mondo capovolto che mostra compassione soltanto per gli assassini. Oggi le vittime sono diventate carnefici e viceversa, e se la giuria del mondo è tanto confusa, sarà la fine stessa della civiltà».

«Sono profondamente disperata - spiega -. Alcune settimane fa pensavo d'essere ripiombata nel 1933. Mi sbagliavo: è di nuovo il 1938: una nuova Kristallnacht (la Notte dei Cristalli ndr)».

Qui, non siamo più davanti ad un caso di hybris ebraica. Qui, troviamo tutti i sintomi dell’ebraismo come disturbo psichico grave; il rovesciamento della realtà preso come visione normale.

La Kristallnacht la stanno facendo gli israeliani contro i palestinesi, povera pazza.

Ora, è persino scusabile che una ebrea americana, frenetica e rabbiosa, dica queste cose pazzesche e insensate. Ma è inquietante il fatto che una giornalista, Alessandra Farkas, le raccolga come oro colato e legittimo vittimismo e che – peggio – un direttore come Paolo Mieli, invece di censurare misericordiosamente questi reperti di psicopatia, non si vergogni di pubblicarli come opinioni qualificate,  indica che questa malattia mentale è diffusa, in quel gruppo umano, più di quanto si pensi; malattia oltre tutto pericolosa, dato che questo gruppo umano paranoico dispone di 2-300 testate nucleari.

Rumiz provi a cercare là «l’onda ineffabile»: sono questi che si devono far curare dallo psichiatra, non i passeggeri della linea Trieste-Mestre-Milano.



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