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Asse tra Merkel e Sarkozy
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Avanza il governo economico europeo in salsa tedesca

La germanizzazione dell'economia europea procede a tamburo battente. Nonostante molte e forti resistenze.

Ci penserà Herman Van Rompuy, il presidente stabile del Consiglio europeo, a mettere in bella copia nelle prossime settimane la proposta tedesco-francese di "un patto di convergenza economica rafforzata".

Così l'hanno battezzato a fine mattinata, in conferenza stampa congiunta «mano nella mano» per dirla con il presidente francese, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy accantonando l'originale denominazione di "Patto per la competitività".

Dopo di che, tempo un mese, ai primi di marzo sarà convocato un vertice straordinario del solo Eurogruppo per discuterne i dettagli. Quindi il patto finirà sul tavolo del summit a 27 in programma, sempre a Bruxelles, il 24-25 marzo. Nelle intenzioni tedesco-francesi sarà quello, salvo sorprese, il momento di chiudere la partita con un accordo globale: in cambio di una stretta della disciplina sui conti pubblici cui ora si aggiungerà un governo economico europeo in salsa tedesca su pensioni, fisco e salari, il via libera a un più efficace fondo di stabilizzazione della zona euro (Efsf). Su quest'ultimo punto il vertice dei 27 capi di governo dell'Unione, riunitosi ieri a Bruxelles, ha deciso di chiedere ai ministri finanziari di presentare «proposte concrete sul rafforzamento dell'Efsf per garantirgli la flessibilità necessaria e la capacità finanziaria per fornire sostegno appropriato» ai paesi in difficoltà.

Di fronte alla violenta levata di scudi contro quello che molti ieri hanno avvertito come un diktat tedesco all'Europa dell'euro, la Merkel si è evidentemente sentita in dovere di offrire subito garanzie sull'aumento del Fondo e del suo raggio di azione prima di entrare nel dettaglio delle sue proposte «per una maggiore integrazione economica della zona euro volta a rilanciarne la competitività». Nonostante il suo tentativo, insieme a Sarkozy, di indorare in qualche modo la pillola, nonostante Van Rompuy abbia provato a negare l'evidenza - giocando sull'assenza di un testo scritto, i 27 capi di governo, con il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ieri hanno passato ben 4 ore di fuoco a discutere sul presunto niente. Come ha ironizzato il lussemburghese Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo.

Immediata, violenta, la rivolta del premier belga Ives Leterme: «Vanno bene più convergenza e coordinamento ma lasciando a ogni paese lo spazio per gestire le sue politiche. Noi non accetteremo mai di smantellare il nostro modello di concertazione sociale». Cioè il sistema di indicizzazione dei salari, oggi in vigore in Belgio e Portogallo. Idem il premier portoghese.

L'austriaco Werner Faymann è insorto contro l'altra idea tedesca, quella di elevare l'età della pensione, «un'intoccabile prerogativa nazionale». L'irlandese Brian Cowen ha opposto il gran rifiuto all'armonizzazione dell'imposizione fiscale nell'area, in particolare quella societaria, visto che sulla bassa aliquota (12,5%) Dublino aveva costruito il suo vecchio miracolo. Pur non essendo contrario a un maggior coordinamento delle economie, Silvio Berlusconi come molti altri leader ha bocciato il sistema tedesco-francese di agire senza consultare prima i partner.

I presidenti di Commissione e Europarlamento, Josè Barroso e Jerzy Buzek, hanno sparato contro «le troppe decisioni intergovernative a scapito di quelle comunitarie».

Vertice incandescente, scontri all'arma bianca. Che probabilmente alla fine smusseranno la cooperazione rafforzata alla tedesca ma difficilmente la snatureranno. Perché è il prezzo che l'azionista di maggioranza dell'euro e il principale erogatore di eventuali aiuti pretende per continuare a fare la sua parte.

Adriana Cerretelli

Fonte >  Il Sole 24 Ore


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