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E se a rischio fosse Berlino?
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Eurolandia è insolvente? Nelle ultime settimane, tutti si sono concentrati sulla solvibilità di Grecia, Spagna e Portogallo. Ma nessuno ha mai messo in discussione quei paesi che garantiscono il debito dell'Europa meridionale.

È impossibile rispondere a questa domanda con sbrigativi riferimenti al rapporto fra debito e Pil nei paesi dell'Eurozona. È un approccio macroeconomico che qui serve a poco: secondo questi dati, Eurolandia si trova in una posizione migliore degli Stati Uniti, della Gran Bretagna o del Giappone.

Il problema è che quei numeri non tengono conto del credito condizionato e delle interconnessioni di flussi finanziari.

La tipologia più consistente di credito condizionato è quella costituita dalle varie garanzie offerte negli ultimi due anni dai paesi dell'Eurozona. I governi della Ue hanno garantito le passività di tutto il settore bancario, e anche tutti i depositi bancari fino a un certo limite. Gli stati membri dell'euro hanno garantito il debito greco per i prossimi tre anni, e poi hanno esteso lo stesso meccanismo a tutto il resto di Eurolandia. E queste garanzie probabilmente dovranno essere raddoppiate.
Ho già osservato che non era un caso che l'Eurozona avesse creato uno special purpose vehicle, la cosiddetta "società veicolo", per gestire questo salvataggio. Non è solo il nome a richiamare alla mente le famigerate strutture finanziarie che hanno determinato la crisi dei subprime: i paralleli ci sono, e sostanziali.

Al pari di un'obbligazione Cdo subprime, la società veicolo dell'Eurozona manca di trasparenza. Le regole operative non sono chiare e sono oggetto di contesa fra gli stati membri da quando i leader politici hanno annunciato l'accordo. È il caso di dare un'occhiata anche al debito garantito da questa "società veicolo". Ft Alphaville ha scovato un rapporto del Credit Suisse, che analizza il problema fino alle sue conseguenze più gravi. Prima dell'avvio dell'Unione monetaria, nel 1999, i paesi della Ue prendevano denaro in prestito a tassi differenti, e gli spread fra gli uni e gli altri riflettevano le aspettative sui riallineamenti futuri del tasso di cambio e le probabilità di un default. Con l'arrivo dell'euro, gli spread sono quasi scomparsi. Come i Cdo subprime, che godevano di rating a tripla A grazie alla loro composizione, tutta Eurolandia poteva contare su un rating tripla A grazie alla Germania. La conseguenza è stata un grande boom del credito in Spagna e in Portogallo, e quei crediti venivano riciclati attraverso il sistema bancario dell'Eurozona. I banchieri di Düsseldorf, Monaco di Baviera e Parigi compravano titoli ipotecari spagnoli e titoli di stato greci, aggiungendoli tutti contenti alle loro preziose collezioni di Cdo subprime.

Nicolas Véron, ricercatore del Bruegel, l'istituto di ricerca bruxellese, la settimana scorsa ha detto che l'incapacità di Francia e Germania di risolvere il problema dei crediti in sofferenza nel loro sistema bancario rappresenta una bomba a orologeria che potrebbe provocare ulteriore instabilità. Quali sono le dimensioni del problema? Secondo le stime dell'Fmi, l'Eurozona è molto indietro rispetto agli Stati Uniti riguardo ai crediti in sofferenza. Ci sono rapporti attendibili che affermano che la situazione di fondo delle Landesbanken (le banche regionali pubbliche tedesche) è perfino peggiore di quanto suggeriscono quelle stime. L'anno scorso c'è stata una voce che ha fatto il giro della Germania, secondo la quale nell'ipotesi peggiore ci sarebbe stata la necessità di storni patrimoniali per 800 miliardi di euro, circa un terzo del Pil annuo della Germania. Se a questa cifra si aggiunge il debito pubblico tedesco, la conclusione a cui si arriva è che forse non è la Germania a dover salvare la Grecia, ma il contrario. Forse è esagerato, ma qualcuno dubita fortemente che l'Eurozona possa emettere garanzie di questa portata. E considerando quello che è successo a quei Cdo subprime, quale rating ipotetico dovremmo assegnare a questa società veicolo dell'Eurozona da 440 miliardi di euro? Una tripla A?

Il mio sospetto è che la decisione importante che hanno preso questo mese i leader europei non sia stata tanto la creazione della società veicolo, quanto la decisione di convincere con le cattive la Bce a monetizzare il debito dell'Europa meridionale. Ma anche questa strategia solleva degli interrogativi inquietanti.

Naturalmente, un altro esito positivo sarebbe una combinazione di crescita forte e tassi d'interesse bassi, per aiutare le banche a generare profitti consistenti, tali da consentire loro di stornare i crediti in sofferenza anno dopo anno, a piccole dosi. Nel rapporto del Credit Suisse ci si chiede se il rallentamento della crescita globale potrebbe avere sull'Eurozona lo stesso effetto che il rallentamento del mercato immobiliare americano ha avuto sulle obbligazioni Cdo. Finché i governi dell'Eurozona genereranno introiti fiscali a sufficienza, tutto andrà bene. Ma in caso contrario, il debito di Eurolandia potrebbe crollare come un castello di carte. Perfino un rapporto debito/Pil del 150% sarebbe praticabile se l'Eurozona fosse dotata di una strategia di crescita intelligente. Ma finora non c'è mai stata, e continua a non esserci.

La storia finanziaria recente ci insegna che queste domande è il caso di porle, e non bisogna fidarsi ciecamente di promesse implausibili, non importa se a pronunciarle sono i banchieri o i politici. Finché queste Landesbanken non verranno riformate, gli investitori avranno motivi per trattare l'Eurozona come avrebbero dovuto trattare i Cdo subprime.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

di Wolfgang Münchau

Fonte >
  Il Sole24 Ore


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