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In cella 8 mesi l'uomo sbagliato. Altro flop delle toghe milanesi
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In carcere un medico spagnolo, accusato di essere un narcotrafficante L'errore dei giudici è il più grave: scambio di persona. Che dirà il Csm?

Jose Vincent Piera Ripoll ha 48 anni. Sposato e poi separato, ha un figlio di quasi 15 anni restato con la mamma. Sulla carta di identitàha scritto "osteopata". Più prosaicamente fa il fisioterapista in un paesino vicino ad Alicante, cuore della Spagna. Una vita normale. Fino alla mattina del 21 luglio 2009. Quel giorno bussa a casa sua la polizia spagnola. Ha in mano un ordine internazionale di custodia cautelare emesso dalla procura di Milano. Jose viene condotto davanti al tribunale locale. Udienza rapidissima: il medico ha una condanna definitiva a 15 anni di reclusione e 75 mila euro di multa per traffico internazionale di stupefacenti. Da lì è trasferito nel carcere di Opera, rinchiuso in una cella con altri 4 detenuti stranieri. Si fa otto mesi di carcere e poi solo grazie a un pool di giovani avvocati di Milano (Simone Briatore, Stefano Fratus e Antonino Gugliotta) riuscirà a uscire perché è innocente. Verrà risarcito per ingiusta detenzione: 85 mila euro, meno delle spese sostenute.

La procura di Milano, il tribunale di Milano, la Corte di Appello di Milano, la polizia di Milano hanno tutti compiuto il più clamoroso degli errori giudiziari: lo scambio di persona. Con una incuria che è lo specchio del cancro più profondo di cui è ammalata la giustizia italiana. Nessuno ha verificato nulla. Perché un vero colpevole c'era. Avevala stessa identità del povero osteopata perché gli aveva rubato il passaporto. E poi aveva sostituito la foto. Lui, il colpevole, era di pelle olivastra e con un faccione tondo: pesavapiù di cento chili. Soprannominato "El Gordo", il Ciccione. Il medico incarcerato per otto mesi invece era minuto, pesava poco più di 50 kg. Sarebbe stata sufficiente un'occhiata allafoto. Manessuno l'ha data. E una dopo l'altra sono state imboccate tutte le vie possibili e inimmaginabili di una storia di straordinaria ingiustizia. Gli uffici giudiziari di Milano le hanno sbagliate proprio tutte. Dal pm Mario Vendittì (quello delle inchieste sulla 'ndrangheta in Lombardia) che firma la custodia cautelare nel 2005. Al gip Maurizio Grigo (quello di Mani pulite) che l'autorizza. Al tribunale di primo grado che lo condanna. Fino alla quarta sezione penale della Corte di appello di Milano che conferma quella condanna ingiusta.

Il primo errore è il più clamoro so: lo scambio di persona. Nessuno controlla. L'inchiesta riguarda 132 imputati, in gran parte stranieri. Per i pm si tratta di narcos, e quindi chissenefrega. Gli extracomunitari interessano solo quando c'è da fare polemica sulle leggi del governo Berlusconi, altrimentisono avanzi di galera senza diritti. L'ordine di cattura pesca nel mucchio, c'è anche Piera Ripoll. I pm di Milano sono sicuri della sua colpevolezza. Non sanno che faccia abbia, né che di che si occupi nella vita. Ma hanno una intercettazione telefonica, che per i pm vale più della Bibbia. Non c'è bisogno di verificarla. Nella intercettazione lui (che non è lui il me dico, ma un altro) parla di una partita di coca. Gli altri lo definiscono "El Gordo", un italiano lo chiama "il Chiattone". Si capisce che è grasso. I pm sanno che i carabinieri di Monza nel 2000 lo hanno fermato in Italia e identificato con il passaporto. Basta la notizia: nessuno si fa mandare la fotocopia del passaporto con la foto dell'uomo. L'intercettazione basta e avanza per mandarlo a processo. Lui forse è in Spagna, paese dove il medico per altro nel frattempo ha denunciato il furto del passaporto. Ma la convocazione a processo non gli viene no tificata, non si conosce l'indirizzo. Negli atti verrà indicato come "s.f.d.", senza fissa dimora (clamorosa bugia), così ci si toglie il problema.

Per la giustizia italiana di rito milanese un uomo può essere processato in primo e secondo grado e condannato a 15 anni e 75 mila euro di multa senza che nes suno si premuri di farglielo sapere. Però dopo che la condanna è divenuta definitiva, tutti se lo dimenticano. L'8 agosto 2008 - e siamo al grottesco - un pm gli conce de uno sconto di pena applicando i nuovi benefici di legge: gli anni da passare in carcere diventano 12 e sei mesi. La pena pecuniaria passa da 75 a 65 mila euro. L'ordine è di accompagnarlo in carcere per scontare la pena. Ma viene eseguito un anno dopo. In carcere il medico spagnolo ha in mano il testo della sua condanna definitiva. È in italiano, e non conosce la lingua. Chiede una traduzione. Invano. Lo spiegherà a Matilde Pagani, funzionaria del consolato spagnolo a Milano che lo va a trovare, crede nella sua innocenza e si attiva. Il resto lo fanno gli avvocati: rintracciano la copia del passaporto falsificato, fanno vedere la foto ai magistrati, trovano la testimonianza di chi aveva rubato al medico quel passaporto, chiedono alla Corte di appello di Milano di riaprire il processo. Quelli si rifiutano e dicono di presentare un'istanza di scarcerazione. Viene presentata. La stessa corte di Appello larespinge per motivi burocratici. Poi fra mille fatiche, la scarcerazione arriva. E anche l'assoluzionepernonavere commesso il fatto. José ora è tornato al suo paese, ed è in cura costante da uno psicologo. Il vero narcos non l'hanno acchiappato.

Questa storia incredibile sarà la cartina al tornasole dell'efficienza del Csm, che almeno un fascicolo dovrà aprire ora che è emersa. Se resterà come sempre senza colpevoli, sarà la pietra tombale della giustizia italiana.

Fonte >  Libero


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