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Una faccenda francamente ripugnante
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Una notizia: «Venerdì scorso il ministro della Giustizia tedesco, Brigitte Zypries, ha annunciato che la Germania emetterà un mandato di cattura europeo contro (il vescovo Richard) Williamson dal momento che la intervista alla TV svedese è stata condotta in Germania. La procura di Regensburg ha aperto un’inchiesta preliminare sull’ipotesi che Williamson abbia infranto le leggi germaniche contro la negazione dell’olocausto» (1).

La minaccia è seria. In Germania, esprimere sulla shoah un parere non coincidente con la versione autorizzata è reato penale. Già diversi «negazionisti» (Ernst Zundel, Germar Rudolf) sono in carcere da anni per questo delitto. L’ultimo, pochi giorni fa, l’avvocato Horst Mahler, che fu tra i fondatori della Rote Armee Fraktion ed oggi è su posizioni di estrema destra. Per aver definito l’olocausto «la più grande menzogna della storia», Mahler deve scontare una pena detentiva di sei anni. Ne ha 73 (2).

Siccome Williamson non è cittadino tedesco ma britannico, ed abita in Inghilterra dopo l’espulsione dall’Argentina (in attesa che sia privato anche della sua cittadinanza), la magistratura germanica ricorre contro di lui al famigerato «mandato di cattura europeo»: in base al quale un cittadino della UE, per esempio un italiano, per un fatto compiuto in Italia e non ritenuto reato dalle leggi italiane, può essere deportato in un altro Paese dove quel fatto è reato. Ognuno di noi può trovarsi deportato e trascinato davanti a un giudice bulgaro o polacco, a difendersi in una lingua sconosciuta di un fatto che è reato in Bulgaria e Polonia, ma che abbiamo compiuto in Italia, dove non è reato.

Ma questo, solo in teoria: non risulta che Polonia e Romania abbiano mai invocato il mandato di cattura europeo. Solo la Germania e l’Austria lo fanno, avendo varato leggi contro il cosiddetto «negazionismo»; è chiaro che il mandato di cattura europeo è stato concepito apposta per colpire con la massima latitudine questo specifico reato di opinione.

Anche l’avvocato Augusto Sinagra, docente di diritto alla Sapienza, ha ventilato il sospetto che «vi sia stata con il mandato di cattura europeo una preordinata intenzione di conculcare la libertà di pensiero, la libertà d’opinione, oltre che la libertà personale, costringendo i cittadini ad adeguarsi alla peggiore violenza: quella morale della obbedienza a un pensiero unico e sopraffattorio» (3).

Il mandato di cattura europeo, che è recepito dalla legislazione italiana, secondo il giurista Sinagra «elude in modo volgare un principio essenziale caratteristico delle forme di cooperazione giudiziaria internazionale (mi riferisco all’estradizione) rappresentato dalla esigenza della doppia punibilità; e che cioé il reato per il quale si chiede l’arresto e la consegna della persona sia previsto nell’ordinamento giuridico dello Stato richiedente come in quello dello Stato “richiesto”. Nel mandato di arresto europeo, infatti, come nella legge nazionale italiana di recepimento, vi è solo un elenco di reati indicati con il loro solo nome (e anche in modo improprio ed approssimativo); laddove, viceversa, il principio garantistico essenziale prima evocato richiede, per avere un senso, la corrispondenza sostanziale largamente apprezzabile delle fattispecie penali normativamente “tipizzate”. Un esempio: se si parla di terrorismo, di frode o di sabotaggio, come si legge nel mandato di arresto europeo, chi può dire e come può dire in che cosa consista l’atto di terrorismo, la frode, l’atto di sabotaggio? Fattispecie che possono essere e sono radicalmente diverse e differentemente descritte nei diversi ordinamenti giuridici penalistici degli Stati membri dell’Unione europea».

Ancora più esplicito il magistrato Carlo Maria Agnoli, presidente del tribunale dei minori a Trento: «In seno all’UE si sta approntando un impressionante meccanismo repressivo dei “reati” di opinione, con lo scopo di allontanare il deportando dai propri luoghi di appartenenza, di depredarlo di ogni bene nel caso in cui abbia i mezzi per approntare una difesa all’estero… di silenziarlo in ogni senso» (4).

L’UE rompe così sistematicamente con vari ed elementari principi di civiltà giuridica: in primo luogo viene minato il principio di certezza del diritto, in quanto la individuazione di reati di opinione contemplati dalla normativa europea con espressioni giuridicamente fumose e di larghissima portata, consente in astratto di criminalizzare chiunque.

E’ chiaro quale sia lo scopo coperto dietro al pretesto di uno spazio di sicurezza europeo: reprimere ogni dissenso ideale, fornendo alle «lobby» egemoni la possibilità di incidere profondamente nel tessuto ideale e sociale, amputando a piacere le parti non gradite.

La legge dei sospetti, alla base dell’epoca del terrore rivoluzionario giacobino e l’articolo 58 del codice penale sovietico, fondamento della repressione staliniana, hanno impressionanti somiglianze con il mandato di arresto europeo.

D’altronde Lenin, entusiasta cultore degli ideali giacobini, aveva osservato, parlando dei mezzi di repressione contro i dissenzienti:

«Occorre formulare (la norma) con la massima ampiezza possibile, perché soltanto la coscienza giuridica rivoluzionaria e la coscienza rivoluzionaria stessa potranno suggerire la sua applicazione di fatto, più o meno larga».

I lettori più avvertiti non avranno difficoltà a riconoscere lo stigma del «diritto» talmudico: nessun tribunale noachico può giudicare degli ebrei (Israele rifiuta l’estradizione anche di patenti criminali comuni, mafiosi ebraici compresi) ma un goy può essere giudicato in tutta Europa per un reato d’opinione, che non è tale (per ora) nemmeno in Italia, ma lo è in Germania.

Le scuse di Williamson non sono bastate agli ebrei, che lo vogliono in galera ed espulso dalla comunità cattolica, e per conseguenza non sono bastate al Vaticano:

Dalla ADN Kronos:

Le scuse arrivate ieri da monsignor Richard Williamson in merito alla negazione dell’Olocausto e alle camere a gas sono ritenute insufficienti dal Vaticano. E’ quanto ha dichiarato questa mattina il direttore della sala stampa della Santa Sede. «In merito a quanto dichiarato dal vescovo Richard Williamson della Fraternità Sacerdotale San Pio X, ieri 26 febbraio 2009, si fa presente che non si tratta di una lettera indirizzata al Santo Padre o alla commissione ecclesia Dei. La «dichiarazione» del vescovo non sembra rispettare le condizioni stabilite dalla Segreteria di Stato del 4 febbraio 2009 dove si diceva che egli «dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah». Secondo i media, la colpa di Williamson è intatta perchè «ha detto che non avrebbe mai fatto quella dichiarazione se avesse saputo ‘il danno e il dolore cui hanno dato luogo’ - Ma non ha mai detto di avere sbagliato o di non credere più a quello che ha detto».

Come si fa a non credere più a quello in cui si crede? Ma la neo-legge te lo impone, non ti consente nemmeno la tua libertà interiore, il diritto di tenerti le tue opinioni per te, nell’intimo della coscienza. Non basta che tu non le esprima; devi cancellarle dal tuo cervello.

Il leninismo sapeva come ottenere questo risultato radicale: perforando il cervello col rituale colpo alla nuca. Per adesso, la Germania e l’Europa si contentano di sbatterti in galera, ma la direzione è evidentemente quella.

Ma attenzione, prelati conciliari: una legge che impone di «non credere più a quello che credi» può avere vastissime applicazioni future; perchè questo diritto è per sua natura «evolutivo», progredirà fino a quel passato imperiale in cui la legge mandava a morte dei martiri, perchè «Non licet esse christianos».

Williamson deve bruciare il grano d’incenso alla unica religione pubblica rimasta, anche contro la sua coscienza. Non c’è nemmeno bisogno di dire che riteniamo le opinioni del vescovo Williamson discutibili: appunto, da discutere, e solo opinioni.

L’opinione è reato soltanto nel diritto giacobino, in quello leninista, in quello talmudico e in quello eurocratico.

Nella società che si vanta delle più ampie libertà, di droga, di pornografia, di vilipendio delle fedi dei credenti, è un singolare ritorno a tempi oscuri.

«Non licet esse christianos» se non si professa di credere alla shoah.

La Chiesa abbandona Williamson - questa nuova specie di cane braccato - a questa «giustizia»?

Probabilmente, non può fare altro una Chiesa intimidita e sotto attacco (5). Per il vescovo  Williamson, la speranza di non finire estradato in una galera tedesca è appesa al filo delle garanzie che difendono - di solito - un suddito di sua maestà. Non s’è mai visto prima che il diritto britannico consegni a un Paese straniero - la Germania, per di più - un cittadino britannico per aver espresso un’opinione. D’altra parte, la Gran Bretagna ha adottato il mandato di cattura europeo nella sua legislazione; e si è dimostrata capace di detenere senza processo gente accusata di «terrorismo»,  adottando lo stesso tipo di giustizia innovativa di Guantanamo.

La speranza è flebile.




1) Nicole Winfield, «Vatican says Holocaust-denying bishop’s apology not enough for entry as prelate into church», Associated Press, 27 febbraio 2009. «On Friday, German Justice Minister Brigitte Zypries said Germany could issue a European-wide arrest warrant on hate crimes charges for Williamson since the Swedish TV interview was conducted in Germany. State prosecutors in Regensburg, Germany, have opened a preliminary investigation into whether Williamson broke German laws against Holocaust denial». La «giustizia» tedesca non si rende nemmeno conto, perseguendo Williamnson, di rinverdire  il diritto nazista. I tedeschi sono così: quando si convincono di un errore, lo perseguono fino in fondo, con onesta insensibilità.
2) «Leftist-turned-neo-Nazi jailed for denying Holocaust», European Jewish Press, 25 febbraio 2009.
3) Antonella Ricciardi, «La spada di Damocle del mandato di cattura europeo: una barbarie giuridica che lede i diritti della persona», www.fainotizia.it, 20 settembre 2007.
4) Carlo Alberto Agnoli, «Prospettiva Gulag: il mandato di arresto europeo», in www.salpan.org/GRANDI_TEMI_ARRESTO
5) «Due settimane fa anche il ‘Financial Times’ ha preso di mira Benedetto XVI definendolo ‘un rottweiler di Dio maltrattato’ e descrivendolo come ‘un Papa timido e isolato, sepolto dalle sue letture e scritture, vulnerabile alle manipolazioni’. Un Papa che ‘potenzialmente può essere intimorito’ e che ‘per sua stessa ammissione, non presta mai attenzione alle critiche’. Intanto la sollevazione della Conferenza episcopale austriaca ha costretto il Vaticano a rimangiarsi la nomina a Linz dell’ultraconservatore Wagner, secondo cui i gay ‘vanno guariti’, l’uragano Katrina è stato il ‘castigo di Dio per le cliniche abortiste di New Orleans’ e i libri di Harry Potter sono ‘satanisti e occultisti’. Un quadro allarmante dovuto alla ‘percezione generale’ di questo pontificato più che alle singole decisioni di Benedetto XVI, secondo Francesco Margiotta Broglio, studioso di relazioni tra Stato e Chiesa. ‘L’odierno governo della Chiesa difetta nel far comprendere il proprio operato all’esterno dei sacri palazzi’, osserva Margiotta Broglio. E per risalire a un pontificato così sotto scacco, occorre risalire ‘alle durissime campagne giornalistiche del ‘49 contro Pio XII per la scomunica dei comunisti, i comitati civici e le reazioni alle difficili scelte politiche del Papa durante la guerra fredda’. (Giacomo Galeazzi - «Il Papa: pregate per me, non lasciatemi solo», La stampa, 28 febbraio 2009. L’articolo cita ampiamente il Financial Times: «In prima pagina la corrispondenza dalla Città del Vaticano descrive una Curia allo sbando (sotto assedio per le critiche dagli episcopati francese, austriaco, tedesco, svedese, svizzero, inglese) e registra forti malumori tra i porporati, incluso il ministro dei vescovi, Giovanni Battista Re, ‘costretto ad una decisione affrettata’ sulla revoca della scomunica ai lefebvriani». La routine giornaliera del Papa viene messa sotto accusa ‘per una serie di passi falsi che hanno provocato una rara manifestazione di dissenso da parte di cardinali esasperati’. Insomma un’impietosa raffigurazione di ‘un Pontefice che sta guidando la Chiesa e i suoi 1,2 miliardi di fedeli come un monarca, separato dal mondo che sta fuori dalla finestre del suo palazzo, aiutato solo da consiglieri leali ma inetti’. Perciò, ‘la gente si sente disorientata e la sensazione condivisa da tradizionalisti e riformisti è che al timone non ci sia nessuno (...) Appena tre giorni fa il Papa si era lamentato delle ‘polemiche distruttive e l’arroganza intellettuale’ che affliggono la Chiesa, e ieri, all’Angelus, ha riaffermato con forza il ‘primato di Pietro’ invitando i fedeli a non cedere ai ‘turbamenti e alle tempeste’, e a mantenersi ‘fedeli all’unità’, ‘nell’amore reciproco’. Da piazza San Pietro è partito un richiamo per l’intera Chiesa cattolica affinché ‘ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva’.
E vegliare perché ciò avvenga tocca al Papa. Un ‘alto compito’ nel quale Joseph Ratzinger chiede di essere ‘accompagnato’ dalle preghiere dei fedeli. Lo ‘schiaffo’ del ‘Sunday Times’ è l’ultimo di una lunga serie di attacchi. Il caso Williamson, il vescovo negazionista graziato dal Pontefice, ha scatenato una bufera internazionale, con le proteste del Gran rabbinato di Gerusalemme e del governo israeliano, la richiesta di chiarimenti (senza precedenti) del cancelliere tedesco Angela Merkel, l’appello al Pontefice di 50 membri cattolici del Congresso USA, le critiche del presidente francese Sarkozy (‘E’ inammissibile, increscioso e choccante che nel XXI secolo si possa negare la Shoah’). Fino alla nota della Segreteria di Stato che ha imposto a Williamson di ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah ‘per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa’».


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