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L’orribile segreto che ci sovrasta
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L’orribile segreto che ci sovrasta

Stati Uniti. Venerdì 17 novembre è stata una brutta giornata per il dollaro: è caduto di colpo verso tutte le valute. Ufficialmente ciò è avvenuto per i dati negativi sul mercato immobiliare USA, la vacca da cui mungono i consumatori americani (che accendono ipoteche sulle loro case per comprare beni di consumo).

Effettivamente, ad ottobre il numero di nuove case in costruzione è crollato del 14,6%, la più grande flessione negli ultimi sette anni, molto più di ciò che gli analisti si attendevano, un declino del 4,5%.

Ma la vera ragione, secondo le voci più correnti, è un’altra e molto più allarmante: sui mercati si vocifera che uno dei più importanti hedge fund americani (che non viene nominato) sarebbe insolvente (1).

«Corre voce che il fondo in questione stia liquidando capitali per coprire le perdite in cui è incorso con speculazioni sbagliate sul mercato energetico», ha fatto sapere una ditta di analisi chiamata Action Economics: «Gli operatori riferiscono  di grosse vendite di dollari contro yen disposti da nomi famosi americani». Sempre senza dire di che «nomi» si tratti.

«Secondo le voci, dietro la caduta del dollaro c’è uno dei principali hedge fund americano», conferma Brian Dolan, direttore delle analisi al Forex.com.

L’evento ne segue un altro, poco spiegato, verificatosi nei primi giorni di novembre: pesanti vendite da panico, in USA ed in Europa, su un altro mercato dei derivati, quello degli swaps sul rischio di credito (Credit Defaults Swaps, CDS). La scusa per la creazione dei CDS è che sono una sorta di assicurazione contro il rischio di mancato pagamento dei debiti di grandi aziende; chi acquista questa «protezione» paga una quota annuale che è una percentuale del debito coperto.

Una caduta dei prezzi dei CDS segnala, ha scritto il Financial Times, che «gli investitori [speculatori] non si sentono più compensati abbastanza per i rischi che si assumono».

Anche in quell’occasione, sono state segnalate svendite frenetiche ed obbligate,  per coprire perdite enormi. Segreto, segreto. Voci.

Grossi gruppi in bancarotta che non vengono nominati: e il tutto mentre il Financial Times e il Wall Street Journal ci impartiscono quotidiane lezioni sulla «trasparenza» che costituisce l’alta moralità dei «mercati», in confronto - poniamo - alla «opacità» della Gazprom di Putin e alla indecenza e «corruzione» delle misure dirigistiche tentate per esempio dalla Francia quando difende le sue industrie nazionali, o anche da Di Pietro quando si oppone alla svendita di Autostrade agli spagnoli.

Ogni volta che qualche statista o banchiere centrale si azzarda a proporre - debolmente - una regolamentazione del mercato dei derivati, il mondo viene assordato dalle proteste di questo organi del liberismo: pretesa assurda, i «mercati» si regolano da sé,  i mercati sono più saggi di qualunque politico, non c’è bisogno di alcuna regola.

La menzogna serve a coprire la più grave faccenda criminale del secolo, la più inconfessabile fonte di profitti indebiti che sta impoverendo tutti noi, e che ad ogni momento può portarci alla rovina e alla fame. Tutto sta in una cifra emanata dalla Banca dei Regolamenti Internazionali: nei primi mesi del 2006, il mercato dei derivati ha raggiunto la cifra di 370 mila miliardi di dollari. 370 trilioni.

E’ impossibile dare un’idea di quanto questa cifra sia irrealistica rispetto all’economia reale. Può aiutare a capire ricordare che il prodotto interno lordo di tutti gli Stati Uniti è pari a 10 trilioni di dollari: la bolla di pseudo-capitale che gli speculatori hanno accumulato sulle nostre teste, se scoppia, basta a prosciugare la ricchezza di 370 Americhe.

Le riserve in valuta della Cina, che i cinesi hanno guadagnato con le loro frenetiche esportazioni e che sono considerate scandalosamente eccessive, ammontano a malapena a un trilione di dollari. Lo scoppio della bolla speculativa sui derivati è dunque capace di annichilire la Cina e il suo lavoro per tre secoli e più.

L’emissione di Credit Default Swaps, queste presunte garanzie contro i debiti delle multinazionali, è stata la più euforica: in un anno sono aumentati del 60%, e ora raggiungono la cifra di 33 trilioni di dollari.

Ciò vuol dire che gli speculatori sono felici di accollarsi i debiti delle imprese?

E’ evidentemente il contrario: emettono sempre nuovi swaps contro crediti sempre più inesigibili.
E’ il classico aumento esponenziale delle «piramidi finanziarie», dove l’insolvente paga i creditori con cambiali via via più alte, dietro a cui non c’è nulla. I primi a farsi pagare guadagnano, tutti gli altri sono destinati a perdere. I 370 trilioni non sono altro che piramidi di debito, accumulate l’una sopra l’altra in equilibrio instabile. Ad ottobre il fondo Amaranth è fallito su una speculazione sbagliata sull’energia: aveva scommesso tutto sul rialzo dei prezzi del gas, che invece sono calati, e ha così vaporizzato i capitali che gli «investitori» (speculatori) gli avevano affidato.

Ma le vendite di Londra ai primi di novembre sembrano indicare un inizio di reazione a catena: gli swaps di credito basati sul fondo Amaranth hanno creato gravi e improvvisi problemi sul mercato londinese. E l’Amaranth era un fondo «piccolo» in proporzione ai colossi. Alla prossima volta, si assisterà al crollo a catena di diversi fondi speculativi l’uno sull’altro a catena.

Il primo effetto sarà un immediato prosciugamento del credito e della liquidità. L’effetto andrà composto con il calo del settore immobiliare in  America: le famiglie indebitate USA diverranno immediatamente insolventi a causa del calo del «valore» sul quale si sono indebitate (la casa).

Le banche, che hanno fatto allegramente prestiti a go-go, si troveranno nella nota tenaglia delle grandi crisi: crescita rapidissima dei loro crediti inesigibili non rimborsati a causa delle bancarotte individuali, mentre i loro bilanci si degradano altrettanto velocemente a causa del deprezzamento degli «attivi» dati loro in garanzia.

Né si dimentichi che le famiglie USA non risparmiano, quindi non dispongono di riserve. Tutto ciò che hanno, è un debito complessivo di sei trilioni.

Nemmeno lo Stato americano ha riserve: ha invece un deficit pubblico di 7,5 trilioni di dollari. Si aggiunga il debito delle imprese americane - 13 trilioni - e si avrà una vaga sensazione di quel che può succedere. Nell’insieme, i debiti americani pubblici, privati e aziendali toccano i 30 trilioni, ossia il triplo (300%) del prodotto interno lordo USA.

Poco prima della crisi del 1929, l’insieme dell’indebitamento era pari al 240 % del PIL. Dopo il crack, la recessione. Chi avrà liquidi potrà comprare splendidi attici al prezzo di un’utilitaria. Ma chi li avrà, allora?

Maurizio Blondet

(articolo pubblicato il 19 novembre 2006)



1) Wanfeng Zhou, «Dollar drops on weak housing data - market talk of trouble at hedge fund fuels dollar selling», MarketWatch, 17 novembre 2006.


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