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Bossi l’Africano. E altri condom
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Il lettore P.T. mi scrive:

«Anche Umberto Bossi ha preso le distanze dal Papa sul preservativo anti-AIDS. Ha detto che il Papa non è ben informato di quel che succede in Africa. Ma perchè, Bossi è informato?».

Anche per me l’osservazione del senatùr è stata una rivelazione. In passato ho fatto qualche inchiesta in Africa proprio sul flagello AIDS, e l’ho trovata un buco nero informativo, un vero incubo per un giornalista: non un’agenzia di stampa credibile, non un direttore di giornale che sapesse o volesse dire qualcosa di quel che stava succedendo nel suo Paese, non un ministero capace di tirar fuori qualche straccio di dati epidemiologici sull’HIV; intervistare un ministro, poi, era solo una imbarazzante perdita di tempo, tanto la vacuità e ignoranza si unisce, in questi personaggi, ad una irritante arroganza.

In qualunque Paese africano, c’è solo un modo per avere notizie e valutazioni sensate: andare dai nunzi apostolici, dai cardinali, parlare con i missionari, le suore e i volontari cattolici, spesso medici in prima linea per la cura dell’AIDS e delle troppe altre piaghe del continente nero. La Chiesa, nel suo complesso, è l’unica rete non solo assistenziale e sociale, ma informativa esistente in quella sciagurata parte del mondo; da quella rete Benedetto XVI ha ricevuto le informazioni sull’inefficacia del condom per la prevenzione dell’AIDS. Evidentemente Bossi dispone di una rete più efficace, perchè sa di più.

Sulla base di alcune lettere pubblicate su Avvenire, di lettori che evidentemente hanno operato in Africa come medici, sono andato a vedermi un po’ la letteratura scientifica. Per esempio un interessante articolo apparso sul British Medical Journal dell’11 marzo 2006, intitolato «Risk Compensation: the Achille heel of innovations in Hiv prevention» , che anche Bossi se vuole può leggere.

Gli scientifici autori vi affermano che i nuovi metodi di prevenzione dell’AIDS (farmaci retrovirali, preservativi eccetera) hanno «ridotto la percezione del rischio» d’infezione delle popolazioni esposte, favorendo comportamenti sessuali arrischiati. Gli autori paragonano il condom alle cinture di sicurezza: non sono una scusa per permettersi di guidare contromano in autostrada. I benefici apportati dai metodi di prevenzione, sicuramente utili, «rischiano di essere messi in forse se non sono accompagnati da serii sforzi di cambiare i comportamenti a rischio».

E’ esattamente quel che ha detto il Papa: il preservativo «non risolve il problema», anzi «a volte lo aggrava». Specie in Africa, dove la promiscuità sessuale è dilagante e precoce.

Naturalmente tutti i nostri media, insieme ai ministri della UE e a Bossi, hanno voluto condannare nel Papa una presa di posizione «cattolica», ossia ideologica. Ma la rivista Science non è propriamente cattolica: eppure il 3 febbraio 2006 ha pubblicato un articolo, «Understanding HIV epidemic trends in Africa» , dove gli autori comprovano che un freno alla diffusione del virus è stato ottenuto educando a nuovi comportamenti sessuali, e invitano le autorità fare campagne presso gli adolescenti perchè ritardino l’inizio dell’attività sessuale, e presso tutti perchè riducano la quantità di «partner sessuali casuali». Sono invece alquanto scettici sull’efficacia del condom, se non altro perchè - ci dicono - il virus HIV è 450 volte più piccolo dello spermatozoo, e quindi è capace di superare la barriera di lattice nel 15-20% dei casi. Se si pensa che il condom non è efficace al 100% nemmeno come contraccettivo (la stima è 85%), figurarsi come anti-AIDS. Bossì e i suoi padani sono invitati a leggere anche questo l’articolo.

Non risulta cattolico papista nemmeno Edward Green, sociologo di Harvard, che ha scritto nel 2003 «Rethinking AIDS prevention - learning from successes in developing countries», un libro in cui si spiega: «Le soluzioni mediche finanziate dai donatori hanno avuto poco effetto in Africa. Invece, ad aver successo sono programmni di cambiamento del comportamento che costano poco, come promuovere la monogamia e il ritardare l’attività sessuale fra i giovani». E Green cita i successi ottenuti in Uganda che, «invece di pagare per cliniche, procedure mediche e ‘gadgets’ (preservativi), ha mobilitato le risorse umane». Ossia mandato personale nei villaggi a promuovere il cosiddetto «modello ABC», ossua «Abstain, Be-faithful, Condom». Ossia: Astieniti, Sii fedele, e usa il condom solo «if A and B are impossible». Un estratto del libro è accessibilissimo in rete: Google ricerca libri.

Ma evidentemente queste fonti non servono a Bossi, egli sa già. Escluso che la nazione padana abbia in Africa ambasciatori, ospedali e medici in quantità superiore alla Chiesa, si deve ricorrere a un’altra ipotesi, cui già da tempo tendiamo a credere: Bossi è negro, e i padani sono i negri del Nord. Proprio come i ministri africani, Bossi ha un parere, espresso con autorevole apodittica arroganza, su tutto ciò che non sa e che non capisce, e che non s’è dato la pena di studiare. In ciò, è in buona compagnia.

E’ qui una delle molle tragicomiche che stanno facendo retrocedere l’Italia tutta al livello africoide: l’ignoranza sicura di sapere già anche troppo, la certezza che la cultura e l’informazione non servono a nulla, e che tutta l’arte del governo si riduca nel dire il contrario di ciò che dice «la destra» se si è di sinistra, e il contrario del Papa, se si è «laici» - più o meno per questi motivi l’Angola si è ridotta com’è.

Ma ancor più di Bossi, mi scoraggiano i colleghi, i cronisti parlamentari: sono loro a chiedere a Bossi un parer su questo ed altri temi, e anzichè cestinare misericordiosamente le sue casuali espettorazioni, le diffondono per agenzia, come se avessero un senso.

Per nostra consolazione, l’Italia non è il solo Paese in felice discesa verso la cultura negra. Ci supera la Spagna: il governo Zapatero, per provocare il Papa in un accesso di infantilismo, s’è quasi impegnato a lanciare sull’Africa «un milione di preservativi». Probabilmente non s’è reso conto che un tale impegno sarebbe gravoso per le casse dissestate di Madrid: il lancio dovrebbe essere ripetuto indefinitamente ogni settimana. Perchè, come mi spiegò un medico italiano (di CL) proprio in Uganda, uno dei problemi del condom in Africa - a parte gli incidenti collaterali frequentissimi, come la rottura dell’aggeggio, il suo scivolamento, la improbabilità che venga sistemato come si deve e venga usato una sola volta (eh sì, anche questo) - ciascun maschio africano dovrebbe dotarsi di un pacco di condom per notte; al punto, mi disse il medico, che la spesa per preservativi  intaccherebbe i modestissimi redditi dell’africano medio.

Ne trovo conferma sul Washington Post, non proprio un gionale cattolico, che il 3 marzo indicava il massimo mezzo di diffusione dell’AIDS in Botswana nell’«abitudine di avere rapporti sessuali con più partner», e che la vera e più urgente necessità sanitaria è la riduzione «del numero dei partner multipli e contemporanei»; e magari convincere gli zii e altri familiari maschi a non farsela con le nipotine dodicenni, nella credenza che siano esenti in quanto vergini, per poi magari ammazzarle come streghe quando invece loro s’infettano (con qualche amante più matura).

Questa è l’Africa, e una volta gli spagnoli ne sapevano qualcosa. Cinquecento anni di impero, e di esperienza coloniale, cancellati.

Che dire? Ceronetti, su La Stampa, ci  informa che la Gazzetta Ufficiale spagnola, il 7 marzo, ha riconosciuto ufficialmente la transessualità «senza ablazione del pene nè sentenza giudiziaria», bastando che l’interessato si iscriva all’anagrafe con nome e sesso cambiato. Con ciò, per soddisfare la richiesta dei transessuali iberici (che sono in tutto ottomila) e soprattutto di uno, che ha chiesto insistentemente di entrare nei ranghi dell’esercito e ne era stato respinto. Ora potrà entravi. A fare che?, si chiede Ceronetti. E ricorda che la guerra è «lo spazio dove il principio maschile si è espresso nel modo più grandioso è terribile»; una «notte di uomini soltanto» come disse Apollinaire, o come scrisse Frank Thiess in Tsushima, resoconto della battaglia navale russo giapponese del 1904, quando «la battaglia trascese il suo scopo, non si trattava più della vittoria o della sconfitta, ma dell’estrema prova virile sulla terra: il valore fino alla morte».

Anche questo, una volta, gli spagnoli lo sapevano: il Tercio, il colonnello Doberdò che difese l’Alcazàr, mezzo millennio di prove senza mai, qualunque fosse l’inferiorità, arretrare «frente al enemigo». Ma oggi, la Spagna ha smesso di essere uno Stato, per diventare un film di Almodovar.

Siamo tutti africani: della tribù Condom.



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