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Paranoici di Geova
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Sacrilegio! In occasione dell’anniversario della seconda guerra mondiale, El Mundo, il secondo giornale spagnolo per diffusione, ha osato intervistare, fra altri storici, David Irving. Il giorno prima aveva intervistato Avner Shalev, direttore dello Yad Vashem.

Immediata e feroce come previsto la protesta indignata dell’ambasciatore israeliano a Madrid,  Raphael Schutz: non si deve dare spazio a quel «ciarlatano falsificatore criminale che è stato in prigione in Austria» (1).

Ma imprevista e singolare la argomentazione (se vogliamo chiamarla così) dell’israeliano. L’ambasciatore non attribuisce la decisione di El Mundo a una deliberato antisemitismo (bontà sua),  ma «alla perdita di ogni riferimento morale, storico ed etico».

E’ il «fenomeno perverso della società post-moderna», filosofeggia Schutz: «La mancanza di volontà, che porta alla perdita di ogni capacità di differenziare tra verità e menzogna, tra importante e superfluo (...). Non c’è più una verità, ci sono solo ‘narrative’. Non c’è gerarchia, tutto sta allo stesso livello morale. Tutto sta allo stesso livello etico: l’assassino e la sua vittima, il sapiente e l’ignorante, l’opera di Mozart e l’ultima canzonetta pop. In questa prospettiva i valori etici fondamentali si rovesciano, e diventa difficile identificare i valori autentici nell’oceano di  spazzatura che li circonda».

Non si può trattenere l’applauso. Come ha ragione, ambasciatore Schutz! Sulla Shoah, l’ebraismo non fa che accumulare «narrative», parecchie delle quali risultate false.

Solo per ricordare due casi: il celebre ed autentico «Diario di Anna Frank», è una narrativa, per la redazione della quale Otto Frank, il padre di Anna, pagò un onorario di 50 mila dollari allo scrittore ebreo americano Michael Levin, che nel lontano 1962 dovette adire i tribunali per ottenere il dovuto: ma è oggi «verità» (2). Il fortunato film «Schindler’s List», ottima fiction, viene presentato a migliaia di scolaresche come verità storica.

E a Gaza, dove da tre anni un milione e mezzo di palestinesi vengono tenuti alla fame, e periodicamente bombardati e bruciati col fosforo, non vediamo ogni giorno «mettere allo stesso livello etico l’assassino e la vittima»?.

Israele è il solo Paese al mondo dove il traffico internazionale di organi è pagato dal servizio sanitario pubblico. Il solo dove il Governo stia lanciando una campagna pubblicitaria contro i matrimoni misti: con manifesti in cui la faccia di una ragazza, che ha sposato un uomo d’altra razza o religione, viene definita «scomparsa». Il solo parlamento dove si discute esplicitamente di espulsione e di pulizia etnica degli arabi. E guai a protestare che Israele fa quello di cui ha sempre accusato i nazisti: si viene pure bollati di antisemitismo.

Ha proprio ragione, ambasciatore Schutz: è «la perdita di ogni riferimento morale, storico ed etico».

Ma tratteniamo l’applauso. Vediamo il resto della protesta che l’ambasciatore ha voluto far giungere a El Mundo:

«Una conseguenza di questo clima velenoso (della cultura post-moderna, ndr) è la stereotipata multiculturalità; siccome non c’è gerarchia, saremmo obbligati ad accettare il diverso, ‘l’altro’. Già sappiamo di hostesses di compagnie aeree europee obbligate a coprirsi la faccia in certi aeroporti; e non pare lontano il giorno, forse è già arrivato, in cui qualche ‘liberal’ dirà che bisogna accettare la poligamia, la ablazione del clitoride o la lapidazione delle adultere. Chi siamo noi per decidere ciò che è bene e ciò che è male? No. Qui non siamo in un caso di cui si possa invocare il diritto alla libertà d’espressione. L’unico diritto che non è limitato è il diritto alla vita. Per la libertà d’espressione ci devono essere limiti».

Qui, la mente si confonde un pochino. Noi poveri goym, veniamo ogni giorno intimati minacciosamente ad accettare «il diverso», se omosex, e «l’altro», se ebreo; e le rispettive «culture alternative». Il vero «altro» che l’ambasciatore ci intima di non accettare mai, è il musulmano. Per l’slamico e la sua religione, nessuna tolleranza. Non c’è il minimo pericolo che in Europa venga legalizzata l’ablazione del clitoride; ma da noi goym è stata resa legale la pillola del giorno dopo, l’aborto, sta per diventare legale il matrimonio fra gay.

Allora esiste «una gerarchia». Esistono argomenti e posizioni intellettuali vietate. Solo che è la gerarchia di valori imposta da Israele e dalla sua lobby.

Per questo la lettera dell’ambasciatore Schutz è auto-rivelatrice. Egli deplora, come Papa Benedetto XVI, «il relativismo» post-moderno, e lo fa per gli stessi motivi teologici. Si allarma ad ogni offesa dell’unica vera religione obbligatoria rimasta, quella dell’Olocausto fondatore; fondatore degli ebrei come Agnello, e del peccato originale di tutti i resto dell’umanità, colpevole di antisemitismo olocaustico.

La posizione di Schutz è fortemente religiosa: nel senso che egli lamenta il «relativismo» per promuovere una gerarchia di valori sostitutiva di quella cristiana, o musulmana. La nuova verità da accettare, per non essere relativisti, è quella elaborata nelle centrali della propaganda israeliana, e diffusa dai media servili.

Per esempio: Saddam ha armi di distruzione di massa, l’Iran si sta fabbricando l’atomica. Chi ne dubita, è eretico e va colpito di interdetto. Per non essere relativisti, occorre rigettare tutte le realtà che Israele vuole nascondere, rifiutarsi di credere al traffico d’organi, ai palestinesi maciullati da armi sconosciute e vietate, e alle bombe al fosforo sugli inermi - ancorchè documentate dall’ONU, o da Amnesty International.
La nostra libertà d’espressione è «teologicamente» vigilata, inquisitorialmente limitata.

Quando Scultz dice che «l’unico diritto non limitato è il diritto alla vita», si riferisce ovviamente alla vita d’Israele (come sappiamo, perennemente in pericolo nella sua stessa esistenza), non dei palestinesi; alla vita degli ebrei, non di coloro di cui strappano gli organi.

Una prova? Proprio nei giorni scorsi la CNN (dicesi la CNN) ha riportato il caso di Yechezekel Nagauker, un israeliano che, avendo bisogno di un rene da trapianto, s’è affidato a un mediatore ebraico di organi nell’aprile scorso.

«Centomila dollari, due giorni, e sarai un uomo nuovo», ha detto il mediatore a Nagauker, come ha riferito lui stesso. Detto fatto: volo in Cina, in un ospedale rurale, dove attendeva la donatrice, una ragazza cinese di 18 anni, che aveva accettato l’espianto in cambio di 5 mila dollari.

«L’atto chirurgico è stato fatto malamente, e la ragazza che ha donato l’organo è morta poco dopo l’operazione», dice la CNN. Ma invita a commuoversi per Nagauker: «Il suo corpo sta rigettando il rene», poveretto (3).

Ecco un esempio teologico di quel che dice Schutz: «L’unico diritto non limitato è il diritto alla vita». Non è certo un diritto della ragazza cinese, ma esclusivamente dell’ebreo. Nessuna legge lo deve limitare. Invece, la libertà di espressione David Irving «ha dei limiti», ancorchè il dubbio sull’Olocausto, per sè, non ammazzi concretamente nessuna cinese di 18 anni. Ma nella nuova religione, il peccato concreto è scrivere, non uccidere e strappare reni.

Esisteva una vecchia religione, che avrebbe visto questo fatto con orrore. Aveva una sua gerarchia di valori, travolta dal «relativismo» e dalla propaganda. Oggi  il «relativismo» smette di essere di moda, perchè lo decreta l’Agnello, la Vittima eterna; ed ha sostituito i suoi valori alla vecchia gerarchia. Non sono più veri quelli, sono veri questi, di Schutz.

Se si crede ancora nella vecchia religione, si avrà la sensazione di come tutto questo sia vicino a quel che disse dell’Anticristo San Paolo, nella seconda lettera ai Tessalonicesi: «Prima viene l’apostasia, e si rivela l’uomo d’iniquità, il figlio della perdizione, colui che si oppone e si innalza su tutto ciò che è chiamato Dio o che è oggetto di culto, fino a sedersi egli stesso nel tempio di Dio, dichiarando Dio se stesso».

La manifestazione (parusia) dell’Iniquo, aggiungeva Paolo, «avverrà per opera di Satana (...) con miracoli e prodigi di menzogna; con tutte le seduzioni dell’iniquità per coloro che si perdono, perchè non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. Ecco perchè  Dio manda ad essi una forza di errore, perchè credano alla menzogna, affinchè siano condannati tutti coloro che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti dell’ingiustizia».

Il punto, forse, è un altro: che la credenza obbligatoria nella sola religione da professare pubblicamente, sta soffrendo qua e là di smagliature, e che la propaganda israeliana deve tamponare un tremendo disastro d’immagine.

Come si sa, il giornale svedese Aftonbladet (il più grande del Paese) ha recentemente pubblicato un’inchiesta di un suo giornalista veterano, Donald Bostrom, dove si riferisce che «tra i palestinesi c’è il forte sospetto che Israele s’impadronisca di giovani uomini per farli servire da riserva di organi... un’accusa gravissima, con abbastanza punti interrogativi da motivare una indagine della Corte Internazionale di Giustizia per possibili crimini di guerra».

Nulla di vero! Antisemitismo! Pornografia dell’odio anti-ebraico!, hanno strillato i media ebraici e quelli assoggettati. La rivista ebraico americana Commentary vi ha scorto «la punta dell’iceberg dell’odio anti-israeliano, promosso e finanziato dagli europei» (questo genere di calunnnie fa parte della libertà di parola ebraica, senza limiti). Il governo israeliano ha subito bollato l’articolo come la rievocazione della vecchia accusa di omicidio rituale, ed ha ingiunto al governo svedese di mettere a tacere il giornalista.

Ha risposto il premier Fredrik Reinfeldt: «Nessuno può chiedere che lo Stato svedese infranga la propria costituzione. La libertà di parola è parte indispensabile della società svedese». I media israeliani esigono a gran voce il ritiro dell’ambasciatore sionista dalla Svezia, dove non si obbedisce al dettato teologico che «la libertà d’espressione deve avere limiti» quando lo ordinano gli ebrei.

Il fatto è che, negli anni, s’è sviluppata una narrativa su traffici d’organi israeliani, spesso con il placet delle autorià dello Stato ebraico, a volte appoggiata da fatti concreti, da rendere più che plausibile l’articolo di Aftonbladet. Alison Weir, su Counterpunch, ne ha elencato i più noti (4).

Il primo trapianto  di cuore avvenuto in Israele, nel dicembre 1988, fece titoli di prima pagina. Poi si scoprì che i medici avevano usato il cuore di un paziente vivente, senza il consenso della famiglia. Il paziente si chiamava Avraham Savgat; ricoverato, morì due giorni dopo per quello che fu detto un attacco cardiaco. L’ospedale israeliano rifiutò per vari giorni di restituire il corpo alla famiglia, poi cedette. I familiari scoprirono che il torace del cadavere era completamente fasciato. Tolsero la fasciatura, e appurarono che la cavità toracica era stata riempita di rotoli di garze; e il cuore mancava.

Proprio allora i giornali parlarono del primo, storico trapianto di cuore realizzato in Israele. La moglie e il fratello del morto fecero due più due, e chiesero spiegazioni all’ospedale. Che naturalmente negò. Ma i parenti si rivolsero a dei ministri, e settimane dopo l’ospedale dovette ammettere: sì, abbiamo usato il cuore di Savgat per il trapianto. Non prima però di aver fatto firmare ai parenti una rinuncia a qualsiasi querela: una precauzione utile a distinguere la verità dalla «narrativa». Del resto, come spiegarono i medici, la legge israeliana consente l’espianto di organi senza il consenso della famiglia; se la rimozione del cuore sia stata la causa della morte del paziente, non fu mai chiarito.

«Autopsie ed Esecuzioni» era il titolo di un articolo che il Washington Report on Middle East Affairs pubblicò nel 1990, a firma Mary Barrett. La giornalista chiese al dottor Hatem Abu Ghazalch, già direttore dei servizi sanitari della Cisgiordania (quand’era ancora sotto amministrazione giordana), cosa pensasse «della diffusa paura di furti di organi che ha preso la gente di Gaza e della Cisgiordania dall’inizio dell’Intifada nel dicembre 1987».

Il medico rispose: «Ci sono indicazioni che, per una ragione o per l’altra, vari organi, specialmente occhi e reni, sono stati espiantati dai cadaveri nel primo anno o anno e mezzo. Sono troppi i rapporti, da parte di gente credibile, perchè si possa dire che non è vero niente. Se uno viene ucciso con un colpo alla testa, e viene restituito a casa in una busta di plastica senza organi interni, che cosa ne deve dedurre la gente?».

LO SCOZZESE MANCANTE -  Nel 1998 uno scozzese di nome Alisdair Sinclair, diretto ad Israele, morì in circostanze non accertate mentre era sotto custodia della polizia all’aeroporto Ben Gurion. Alla famiglia fu comunicato che «avevano tre settimane per pagare 4.900 dollari per far rimpatriare il corpo per aereo». Ma secondo il fratello del povero Alisdair, «gli israeliani sembravano premere per un’altra soluzione: seppellire Sinclair in un cimitero cristiano in Israele, al costo di soli 1.300 dollari». I parenti raggranellarono i soldi per il rimpatrio, e per far compiere un’autopsia presso l’Università di Glasgow. Il cadavere risultò mancante del cuore e di una piccola cartilagine della gola.

A quel punto, l’ambasciata britannica avanzò una lagnanza ufficiale al governo israeliano. Di conseguenza, un cuore che le autorità sioniste assicurarono essere di Sinclair fu rimpatriato in Gran Bretagna «senza spese» per la famiglia (meno male). I parenti cercarono di esigere dal Forensic Institute israeliano un test del DNA che comprovasse che il cuore fosse proprio quello di Alisdair, ma il direttore dell’istituto, professor Jehuda Hiss, rifiutò adducendo il costo eccessivo (1.500 dollari). L’ambasciata britannica non è mai riuscita, nonostante le ripetute richieste, ad ottenere da Israele il referto clinico e il rapporto di Polizia per capire come mai Alisdair Sinclair fosse morto.

paranoici_geova.jpgDOCTOR MENGELENSTEIN - L’esimio professor Jehuda Hiss, l’anatomopatologo di cui sopra, un luminare, è stato allontanato nel 2002 dal Forensic Institute che dirigeva: i parenti di un soldato israeliano ucciso sul Golan, Zeev Buzgallo, l’hanno accusato di aver usato «il corpo del figlio per  esperimenti senza il loro consenso». Siccome gli esperimenti erano stati fatti su un corpo ebraico, il ministero della Sanità israeliano ha dato seguito ad indagini. Ed ha scoperto, come scrisse la rivista ebraico-americana Forward, «che il dottor Hiss da anni  durante le autopsie s’impadroniva di parti di corpi, come gambe, ovaie e testicoli, senza il consenso dei familiari, e li vendeva alle scuole di medicina che li usavano per ricerche e addestramento. Era capo-patologo dal 1988. Non è stato mai accusato di alcun delitto, ma obbligato a dimettersi nel 2004 dall’obitorio di Stato, che dirigeva, dopo anni di lamentele».

Risultò che aveva smembrato senza autorizzazione organi di 125 cadaveri. Aveva raccolto nel suo Istituto Forense un museo dei teschi, con i teschi di soldati dell’Israeli Defense Forces uccisi da proiettili alla testa. Era stato coinvolto in varie false testimonianze, fra l’altro come perito nell’attentato al premier Rabin (5).

ORGANI DAL SUDAFRICA E DAL BRASILE - L’Economist (non un sito antisemita) raccontò che fra il 2001 e il 2003 un vero racket dei trapianti fioriva in Sudafrica e in Brasile (6). Almeno 109 i riceventi di organi, «per lo più israeliani, hanno pagato 120 mila dollari per una vacanza-trapianto;  facendo finta di essere parenti dei donatori e di non aver pagato». I donatori erano invece poveracci locali, pagati da 5 a 20 mila dollari per un rene. I riceventi erano israeliani, a cui «il servizio sanitario rimborsava 70-80 mila dollari per procedure mediche salva-vita all’estero».

Una commissione parlamentare del Brasile ha appurato nel 2004 che «almeno 30 brasiliani hanno venduto i reni ad una rete internazionale che traffica in organi umani, di cui Israele fornisce il finanziamento». Il traffico in Brasile era organizzato da «un funzionario di polizia israeliano in pensione» che si giustificò dicendo che «la transazione è considerata legale nel suo Paese».
L’ambasciata israeliana negò ufficialmente che lo Stato israeliano avesse avuto parte nel traffico illegale: la «verità» è stata sancita, il resto è «narrativa», eccessiva accettazione dell’Altro.

ALTRE STORIE - Nel 2007, Haaretz ha dato notizia di un caso delittuoso: due uomini erano usi «convincere arabi di Galilea e di Israele, mentalmente o fisicamente deboli (le famose «bocche inutili» di hitleriana memoria) a cedere un rene in cambio di soldi», e poi non li pagavano. I due erano parte di una rete capeggiata da «un chirurgo israeliano, che vendeva i reni per 125-135 mila dollari. Poco prima, nello stesso anno, il Jerusalem Post aveva riportato l’arresto di dieci membri di una banda di spacciatori di organi estratti ad ucraini. Poco dopo, lo stesso Jerusalem Post  informava che «il professor Zaki Shapira, uno dei luminari israeliani dei trapianti, è stato arrestato in Turchia per sospetto coinvolgimento in una rete di traffico d’organi. Secondo le nostre informazioni, i trapianti venivano organizzati in Turchia e avvenivano in cliniche private a Istanbul».

Nancy Scheper-Hughes, fondatrice di Organ Watch all’università di Berkeley, ha testimoniato davanti a una commissione parlamentare nello Stato di Pernambuco: «Shapira ha eseguito più di 300 trapianti di reni, spesso accompagnando i suoi pazienti in altri Paesi, come la Turchia. I riceventi sono persone molto ricche, o che hanno una assicurazione sanitaria molto buona, e i ‘donatori’ sono persone molto povere dell’Europa orientale, delle Filippine, di altri Paesi sottosviluppati».

Nel luglio di quest’anno, rabbi Levy Izhak Rosenbaum di Brooklyn è stato arrestato con l’accusa di trafficare da dieci anni in organi. Secondo l’FBI, «induceva persone vulnerabili a dare un rene per 10 mila dollari, che poi vendeva a 160 mila». Il giornale svedese Aftonbladet, nella sua inchiesta,  sostiene che per le discutibili pratiche israeliane, la Francia ha cessato ogni collaborazione con Israele per quanto riguarda le donazioni d’organi fin dagli anni ‘90.

E’ difficile concludere che Israele non stia nascondendo un orribile segreto di Stato, e che non si applichi agli ebrei di questi nostri anni «la perdita di ogni riferimento morale, storico ed etico» che i suoi ambasciatori imputano al Mundo, alla Svezia, agli europei, a chiunque chieda conto delle loro azioni. Ma forse hanno ragione loro: Israele è più avanti, ha superato il relativismo post-moderno di noi goym. Ha posto fine alla «stereotipata multiculturalità», sicchè espianta reni a sudafricani e cinesi per salvare vite ebraiche, e non si sente obbligata «ad accettare il diverso, l’«altro» - se non come donatore.

Una realtà da processo di Norimberga si svolge sotto i nostri occhi, e noi un giorno dovremo dire: «Non sapevamo», «Non potevamo immaginare».

Non accadrà presto, però. A fine agosto, il premier Netanyahu ha fatto una visita di tre giorni a Londra, per incontrare Gordon Brown e l’inviato di Obama per il Medio Oriente a dire che bisogna bombardare l’Iran, nonchè per lamentarsi del modo con cui i media inglesi trattano le azioni di Israele, gli insediamenti illegali accelerati, il blocco continuato di Gaza. Per spiegarsi meglio, Netanyahu ha rifiutato ogni conferenza stampa. Persino la comunità ebraica britannica s’è accorta che qualcosa  non va.

Stephen Pollard, direttore di The Jewish Chronicle, ha commentato: «La verità è che, per quanto si lagnino di come (la stampa) copre il Medio Oriente, (gli israeliani) se ne infischiano. Se ne infischiano se i britannici finiscono per pensare che sono dei guerrafondai. Se ne infischiano di star perdendo la guerra delle relazioni pubbliche. E se ne infischiano se quelli di noi che si preoccupano fumano di rabbia al loro rifiuto deliberato di fare qualcosa per aiutarci a contrastare l’orribile immagine di Israele».

Rabbi Daniel Rich, capo del Liberal Judaism, il terzo gruppo ebraico per importanza in Inghilterra, non è stato nemmeno invitato ad un incontro, ed ha fatto questa dichiarazione rivelatrice su Netanyahu: «S’è sparato sul piede. L’ambasciata di Israele chiede e si aspetta che la comunità ebraica di qui difenda le posizioni israeliane in Gran Bretagna; questo richiede una partnership tra l’ambasciata e i rappresentanti del governo israeliano, e i capo della comunità ebraica. La presenza del primo ministro in Gran Bretagna poteva essere l’opportunità di costruire questa partnership, ed è stata mancata».

Monroe Palmer, presidente del «Liberal Democrat Friends of Israel» ha detto all’Independent: «certi isareliani sono così impegnati a lottare per la sicurezza d’Israele e il suo futuro che a volte, o molto spesso, sottovalutano il potere della stampa e dell’opinione internazionale».

Non è che la sottovalutano; la disprezzano. Dal Talmud hanno appreso una volta per tutte che gli altri sono «animali parlanti», buoni solo per essere sfruttati come fornitori di organi. Sono paranoicamente chiusi nella «gerarchia di valori» che solo loro condividono, e disprezzano «la mancanza di volontà» dei goym di obbedire e piegarsi. Credono alla loro stessa propaganda: il mondo intero ci odia, vogliono la fine di Israele, siamo soli, dobbiamo difenderci... Si isolano nella loro bolla ossessiva; un isolamento che non è strategico e politico, ma psichiatrico.

Presto inventeranno qualcosa per imporla in modo definitivo, la loro verità: «Dichiarando se stesso Dio».




1) «La carta del embajador de Israel a El Mundo sin censura», Periodistadigital.com, 2 settembre 2009.
2) Brian Harring, «The Anne Frank Diary Fraud», TBR News, 14 febbraio 2006.
3) Drew Griffin e David Fitzpatrick, «$100,000 buys patient new kidney but not good health», CNN, 2 settembre 2009.
4) Alison Weir, «Israeli organ harvesting», Counterpunch, 28 agosto 2009. In calce a questo articolo il lettore troverà le fonti di tutte le notizie riportate di seguito.
5) Ezra Halevi, «Infamous  Chief Pathologist to Once Again Evade Punishment», Ynet.news, 26 settembre 2005.
6) «Organ transplants: The gap between supply and demand», Economist, 9 ottobre 2008.



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