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L’assolutismo democratico avanza sulle piste tracciate dalle agenzie della corruzione
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All’autorità politica è assegnato lo speciale compito di tutelare la pacifica attività dei preesistenti corpi sociali. Lo Stato ha infatti lontana origine dall’aspirazione all’ordine avvertita da corpi sociali già costituiti e ordinati in conformità alla legge naturale. Monarchico, aristocratico o democratico, il potere statale presuppone l’esistenza di un popolo esistente in conformità con i princìpi morali, che lo hanno separato dalla massa anarchica e selvaggia.

Lo Stato non è la fonte dell’etica. «Lo Stato», secondo la dottrina insegnata da Pio XII nel Radiomessaggio del Natale 1944, discorso indirizzato a un’umanità intossicata dalla mitologia intorno al potere assoluto della politica, «non contiene in sé e non aduna meccanicamente in un dato territorio un agglomerato amorfo dindividui. Esso è, e deve essere in realtà, lunità organica e organizzata di un vero popolo».

Ora un vero popolo esiste in ragione della sua adesione ai fondamentali princìpi dell’etica. È pertanto falsa e ingannevole l’idea dei filosofi atei, Thomas Hobbes e i suoi continuatori contemporanei, secondo i quali lo Stato agisce come un demiurgo, capace di condurre a vita pacifica e ordinata una folla selvatica, altrimenti destinata a dissanguarsi nella demenziale guerra di tutti contro tutti.

Pio XII, nel citato Radiomessaggio per il Natale del 1944, ha stabilito che la democrazia, al pari della qualunque altra forma di governo legittimo, contempla l’esistenza di un popolo sottomesso alla legge naturale. Di conseguenza Papa Pacelli condannò risolutamente «quella corruzione che attribuisce alla legislazione dello Stato un potere senza freni né limiti e che fa del regime democratico, nonostante le contrarie ma vane apparenze, un puro e semplice sistema di assolutismo».

Un autorevole filosofo giusnaturalista, il bolognese Giorgio Del Vecchio, nel Saggio sullo Stato, edito da Studium nel 1952, ha approfondito le obiezioni cattoliche alla statolatria, dimostrando che lo Stato ha origine dalle società intermedie dunque che non ha senso proclamare il primato «ontologico» dell’autorità centrale.

De Tejada, dal suo canto, ha rammentato che «La società è una totalità di vita e lo Stato un potere ordinatore di comando. Nella società, nella vita sociale, entrano elementi religiosi, culturali, economici. Nello Stato, invece, interviene solamente il potere. Lo Stato risponde alla necessità della sicurezza collettiva, la società allintera vita umana nelle connessioni degli uomini con i propri simili. Connessioni ordinate, regolate, equilibrate in se stesse. La società è un ordine vitale, nei due aspetti delle necessità materiali e di quelle spirituali... Lo Stato è il potere che ordina, ma non potrà mai sopprimere e assorbire gli elementi che ordina».

Nella Premessa al suo interessante saggio, Democrazia e Cattolicesimo - La voce della Chiesa nella società secolarizzate, prefazione di Brunero Gherardini, edito nel 2012 da Cantagalli, Giovanni Tortelli, aderendo ai saldi princìpi del giusnaturalismo, riconosce che la democrazia dipende da un preesistente ordine e perciò afferma: «Quando lethos popolare è infiacchito o indebolito, la morale individuale e sociale diventa sempre più utilitaristica e quantitativa, lo Stato assorbe spazi sempre più significativi della libertà individuale e torna ancora una volta a prendere la piega dellassolutismo».

La teoria assolutista, che pone nella democrazia pura e nelle sue meccaniche atomiste l’origine della morale, è smentita dalla semplice osservazione dell’incremento che il potere politico ottiene dalla decadenza dei costumi del popolo. Nella ricerca di riscontri alla sua ipotesi di lavoro, Tortelli rilegge gli argomenti formulati dai critici moderni e contemporanei che si sono strenuamente opposti alla superstizione intorno al supremo potere delle maggioranze. 

Il culto che i demagoghi tributano alle folle decadenti e/o abbacinate, infatti, è lo strumento delle usurpazioni oligarchiche, striscianti sotto la vernice democratica dei pilotati plebisciti referendari. Tortelli rammenta, ad esempio, l’obiezione che Alessandro Manzoni rivolgeva contro i teorici della volontà generale, una mitologia che «consiste nel ricavare luniversale come collezione dei particolari».

Ineluttabilmente la teoria della volontà generale si rovescia nel pregiudizio contemplante l’uguaglianza di alcuni a tutti: «Secondo Emmanuel Joseph Sieyès appunto i deputati del Terzo Stato, essendo limmensa pluralità della nazione, avrebbero avuto il diritto di identificarsi con la totalità della nazione». Di qui la convinzione che la democrazia sia un assoluto non dipendente da altro.

Al proposito Tortelli cita un puntuale giudizio di Estanislao Cantero Nunez: «La democrazia moderna diventa così una divinità, e nasce un panteismo democratico, o pandemocratismo, che trova la propria giustificazione soltanto in se stesso. La tesi che vede la democrazia moderna sostituirsi a Dio è certamente impressionante, tuttavia non è assolutamente esagerata».

Quando si considera la pretesa democratica di negare il diritto di vivere a persone innocenti, diventa impossibile negare la tracotanza di un sistema che divinizza l’arbitrio, un assurdo conato, che Romano Amerio ha definito progetto inteso a togliere la dipendenza del dipendente. Tortelli ha quindi dimostrato che il successo dell’assolutismo democratico è conseguente alla corruzione del popolo. La sua acuta osservazione va collegata con la riflessione sull’origine iniziatica e salottiera della rivoluzione immoralistica, che ha sconvolto la civiltà occidentale, operando alle spalle della festosa effervescenza, artisticamente suggerita ai giovani sessantottini.

Il sessantottismo insegna che l’insorgenza contro l’assolutismo democratico è destinata a rimanere inefficace e sterile finché agisce dissociata dalla doverosa resistenza alle suggestioni emanate dal salotto immoralista. Separata dalla necessaria intolleranza nei confronti dell’immoralismo democratico e delle truffe bancarie, la pur legittima indignazione è condannata alla sterilità. Si tratta dunque di comprendere che la rivolta contro l’assolutismo dello Stato e della banca incomincia dalla risoluta contestazione delle infami leggi che sono dettate dalla convinzione assoluta che il potere di Dio legislatore sia trasferito allo Stato democratico.

In conclusione non è ovvia l’affermazione secondo cui l’immoralità esercitata dalla banca vampiresca si combatte aggredendo l’immoralità di massa diffusa dalle agenzie politicanti, al lavoro per la disgregazione della società civile – per la sua trasformazione in gregge di pecore matte – e per il trionfo dell’usura.

Piero Vassallo




 
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