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Ma Silvio non è De Gaulle...
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Una manifestazione a favore del governo Berlusconi? No, non si fa. Sarebbe la «spaccatura istituzionale». E poi, s’è mai vista una manifestazione di piazza non «contro» ma «a favore» di un governo? E contro le «istituzioni»? Assurdo. Anzi, «ridicolo», sento dire da un tale Cruciani, che tiene una rubrica su Radio 24 (Confindustria). Questo Cruciani è altezzoso quanto ignorante, o è altezzoso perchè  ignorante.

La manifestazione di popolo c’è stata, ed è stato un fatto storico: un milione di francesi scesero in piazza, il 30 maggio 1968, per sostenere il presidente Charles De Gaulle, messo in pericolo dall’altra piazza - quella degli «studenti» sessantottini, dei sindacati - favoriti dai media e dalle «istituzioni».

Nel 1962, De Gaulle aveva proposto la riforma dello Stato in senso presidenziale: elezione diretta del presidente-governante. Bloccato dalla opposizione di tutte le forze politiche parlamentari, era ricorso al potere presidenziale per indire un referendum. Una «forzatura» che il sistema dei partiti e le «istituzioni» non gli perdoneranno; per ripicca, l’Assemblea (il parlamento) fa cadere il governo gaullista di Pompidou. Ma il popolo approva il cambiamento costituzionale a larghissima maggioranza (83%). Nasce la quinta repubblica, presidenziale, che dura tutt’ora: quell’ordinamento che Mitterrand, a capo dell’opposizione socialista, bollò come un «colpo di Stato permanente», ma che - quando tocco a lui essere presidente - si guardò bene dal riformare. De Gaulle fu rieletto nel 1965 per un nuovo settennato.

Tre anni dopo, la «spontanea» rivolta studentesca - il Maggio ‘68 - sarà lo strumento usato dalla larga coalizione interna e internazionale per far cadere De Gaulle. Per capire i motivi e i mandanti di questa «rivoluzione studentesca», occorre inserirla nel vasto quadro internazionale. Nei tre anni del suo governo presidenziale, De Gaulle aveva: posto il veto all’entrata della Gran Bretagna nella Comunità Europea; condannato l’intervento USA in Vietnam, e per questo ritirato la Francia dalla NATO; nel 1967, aveva posto l’embargo contro Israele, per il modo feroce in cui aveva condotto la guerra dei Sei Giorni contro l’Egitto.

Si disse che Kissinger avesse organizzato un attentato per abbattere lo scomodo generale, assoldando sicari dell’OAS: l’eco di questo evento si trova nel romanzo «Il giorno dello Sciacallo» di F. Forsyth (1). Fallito o abbandonato questo progetto, si ricorse alla sovversione interna. Il Maggio ‘68 fu, in questo senso, la prima «rivoluzione colorata».



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L’agitazione comincia nelle università ai primi di maggio, guidata da dal franco-tedesco Cohn Bendit, e prende subito una piega insurrezionale: barricate, auto incendiate, scontro con la polizia.  Il 13 maggio, i sindacati, per non essere da meno degli studenti, scendono in piazza e dichiarano lo sciopero generale. Le rivendicazioni sindacali vengono accolte dal governo, ma vengono respinte: palesemente, i sindacati non vogliono aumenti salariali, ma la rivoluzione.

I media, tutti senza eccezione, simpatizzano con gli studenti, e sulle prime influenzano l’opinione pubblica, che guarda alla rivolta con indulgenza. De Gaulle si trova nella condizione in cui oggi si trova Berlusconi: ha contro di sè tutta la «legalità» - le «istituzioni», i partiti, i poteri forti - e per giunta la piazza, e può poggiarsi solo sulla «legittimità» che gli viene dal voto popolare, e che ora sembra venirgli a mancare. Avrà il coraggio di forzare il quadro della «legalità» in nome della sovranità popolare?

Il generale scompare mentre Parigi è in fiamme. Si saprà che si è recato a Baden Baden a conferire col generale Jacques Massu, il comandante delle forze armate francesi d’occupazione in Germania: evidentemente per assicurarsi della fedeltà dell’esercito (anch’essa dubbia dopo l’abbandono dell’Algeria), nel caso dovesse impiegarlo contro la piazza.



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Non ne avrà bisogno. In serata De Gaulle torna, scioglie l’Assemblea, e lancia un appello al popolo, alla maggioranza silenziosa dei francesi, nella quale continua a credere. Oltre che un’altra «forzatura del quadro legale», è un azzardo: esiste ancora, la maggioranza popolare a cui deve il suo potere? La legittimità del popolo è la più fluttuante, la più incerta.

Da tre giorni si sono mobilitati «comitati di difesa delle repubblica»: partono milioni di telefonate per svegliare la gente pro-De Gaulle di casa in casa. Nonostante lo sciopero generale anche dei trasporti, il 30 maggio 1968 oltre un milione di francesi si radunano nei Champs-Elisée: una folla immensa che acclama il generale, e mostra alla piazza, alla provincia e all’estero che il capo dello Stato ha dietro a sè il Paese, che affronta tutti i poteri, legali o meno, coalizzati per piegare la repubblica e farla rientrare nei ranghi della normalità internazionale, dettata dagli USA.



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Avendo sciolto l’Assemblea, il presidente De Gaulle indice elezioni anticipate d’urgenza: nel giugno 1968, l’elettorato dà al partito gollista 358 seggi su 487. E’ il trionfo della legittimità e sovranità popolare contro la «legalità».

Il discorso che De Gaulle pronunciò alla radio poco prima dell’immensa manifestazione di Parigi, rivela con quanta chiarezza il generale vedeva la questione, e le forze  in gioco:

«Donne ed uomini di Francia,

essendo io il detentore della legittimità nazionale e repubblicana, ho preso in conto da 24 ore tutte le eventualità, senza eccezione, che mi permettano di mantenerla. Ho preso le mie decisioni. Nelle circostanze presenti, non mi ritiro: ho un mandato dal popolo, e lo adempirò.

(...) Ho sciolto oggi l’Assemblea Nazionale. Ho proposto al Paese un referendum per dare ai cittadini l’occasione di prescrivere una riforma profonda della nostra economia e della nostra università e, nello stesso tempo, di dire se mi mantenevano o no la loro fiducia, nel solo modo accettabile: quello della democrazia. Constato che la situazione attuale impedisce che vi si proceda, Perciò differisco la data del referendum. Quanto alle elezioni legislative, avranno luogo nel termine previsto dalla Costituzione, a meno che non si voglia legare il popolo francese intero impedendogli di esprimersi come gli si sta impedendo di vivere, con gli stessi mezzi con cui si impedisce agli studenti di studiare, agli insegnanti di insegnare, ai lavoratori di lavorare. Questi mezzi sono l’intimidazione, l’intossicazione, e la tirannia esercitata da gruppi organizzati per questo di lunga mano (dall’estero, ndr) e da un partito (il socialista, ndr)  che è un’intrapresa  totalitaria...

Se dunque questa situazione di forza permane, dovrò per mantenere la repubblica percorrere altre vie, conformi alla Costituzione, diverse dallo scrutinio immediato del Paese. In ogni caso, dovunque e immediatamente, occorre che si organizzi l’azione dei cittadini. Si deve fare per aiutare il governo anzitutto, poi localmente i prefetti divenuti o ridiventati commisssari della repubblica, nel loro compito che consiste nell’assicurare quanto possibile l’esistenza della popolazione e nel bloccare la sovversione in ogni momento e in ogni luogo.

La Francia è minacciata di dittatura. La si vuol costringere a rassegnarsi a un potere che si imporrebbe nella disperazione nazionale; questo potere sarebbe essenzialmente quello del vincitore, ossia del comunisto totalitario. Naturalmente, sarà colorato inizialmente da un’apparenza ingannevole, strumentalizzando l’odio e l’ambizione di politicanti d’accatto. Dopo, questi personaggi non peseranno più del loro peso, che non sarebbe molto. Ebbene no! La repubblica non abdicherà. Il popolo si rassicurerà. Il progresso, l’indipendenza e la pace vinceranno, con la libertà»
.

Il popolo comprese e gli diede la schiacciante vittoria in questo scontro storico fra legittimità e legalità. Berlusconi saprebbe osare altrettanto?

E’ questo il punto. L’integrità personale di De Gaulle, il suo patrottismo, il suo disinteresse privato - mai messo in dubbio nemeno dagli avversari - furono la sua forza. Non era invischiato in storie di veline, di escort, nè in processi di malversazione a favore di una sua azienda. De Gaulle poteva denunciare con pieno diritto la «legalità» come corrotta ed occupata da poteri corrotti.

Oggi la «legalità» italiana, le «istituzioni» - dalla magistratura alla presidenza - sono notoriamente corrottissime. Ma hanno buon gioco a sostenere che Berlusconi è il più corrotto. Ecco il problema.

Vinceranno le «istituzioni», la «legalità» dell’arbitrio giudiziario; stiamo per essere governati dalla corruzione legalizzata, istituzionale. Perchè Berlusconi s’è sparato da solo sui piedi a forza di veline e di lodi Alfano per sè, anzichè intraprendere con coraggio una riforma profonda della magistratura e delle caste. Lottando per sè con sotterfugi legali, in fondo, ha riconosciuto il diritto della «legalità» a perseguirlo, non l’ha denunciata fino in fondo come corrotta.

Ora che farà? Si lascerà logorare da premier continuamente processato, da un palazzo di giustizia all’altro, condanna dopo condanna? Non potrà nemmeno indire elezioni anticipate, come fece De Gaulle, perchè - in anni di governo, con una maggioranza mai vista - non ha tolto questo potere al capo dello Stato, il comunista-americano.

Adieu, Silvio. Meglio che se la svigni nella sua villa alle Bahamas, finchè è in tempo. Perchè la «legalità» che ha sfidato con tanta superficiale improntitudine, ha la forza dell’odio: rischia l’appendimento a piazzale Loreto. Con i Gasparri, i Minzolini, e gli altri servi sciocchi, che non fuggiranno in tempo.




1) In realtà, l’attentato doveva solo apparire «di destra», ma pare che fosse stato assoldato per la bisogna il terrorista internazionale Carlos, senza bandiera.



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