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La società internazionale
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La facilità e la rapidità delle comunicazioni, i fenomeni turistici e (purtroppo) anche immigratori ed emigratori di massa, gli scambi culturali e commerciali, rendono gli Stati nazionali sempre più dipendenti gli uni dagli altri; ecco la necessità di organismi più vasti, che possano affrontare e risolvere questo problema: il benessere comune temporale degli abitanti di un continente (ad esempio l’Europa) o del mondo intero; evitando

a) l’eccesso: il mondialismo o globalizzazione uniformatrice e livellatrice; e

b) il difetto: particolarismi esagerati, regionalismi anacronistici e forieri non di benessere temporale, ma di altre lotte intestine e civili, dacché «la frammentazione fa la debolezza». Invece,

c) la retta ragione e la dottrina cattolica vogliono l’unità della vera fede e della morale naturale, ma al tempo stesso salvaguardano le diversità di vera e solida cultura, di «razza» (2), di tradizioni locali, non appiattiscono tutti gli uomini ad un modello made in USA che veste jeans , beve Coca Cola, mastica chewingum e parla una sottospecie di inglese.

 

Tuttavia queste diversità debbono essere incorniciate da uno Stato o un organismo più ampio, capace di farle coesistere in pace - senza aggressioni dell’una contro l’altra e senza odi tribali «stile africano» - molto ricco di particolarità, ma anche di rancori profondi tra una regione e l’altra, un villaggio e un altro. Occorre non farsi schiacciare dal super-Stato accentratore e totalitario di stampo paramassonico, ma neppure ri-sprofondare nelle lotte civili o faide regionali o addirittura paesane stile «nord-leghista».

 

Questa teoria del diritto e della società internazionale non è stata inventata dalle para-massoniche Società delle Nazioni (1918) od Organizzazione delle Nazioni Unite (1945); ma era già stata trattata - secondo il diritto naturale e cristiano - nell’Ottocento dal Papa Leone XIII nell’Enciclica «Praeclara congratulationis» (1894) e dal padre gesuita Luigi Taparelli D’azeglio («Saggio teoretico di Diritto Naturale») (3) e ancor prima (nel XV-XVI secolo) da un domenicano spagnolo, nato nel 1486 a Vitoria, che è considerato il padre del Diritto Internazionale: Francisco Da Vitoria, uno dei maggiori commentatori di San Tommaso d’Aquino (+ 1274) per quel che riguarda la morale e il diritto. Fu professore all’Università di Salamanca ove morì nel 1546. (4).

 

Se le questioni internazionali non vengono risolte dal diritto, mediante intese pacifiche, esse sono lasciate alla forza delle armi. Per esempio oggi Israele e Palestina sono teatro di guerra, poiché non esiste una vera organizzazione internazionale, secondo lo spirito oggettivo del diritto naturale. L’ONU (5) è un puro «ente di ragione», che nulla può di valido contro la strapotenza e la prepotenza degli USA e di Israele, che divengono sempre più l’unico potere mondiale livellatore e unificatore di tutte le nazioni sparse sul mondo intero. Non intendo certamente fare l’apologia dell’ONU in sè considerata, ma colgo solo il fatto che quando essa dissente e devia dalla strada mondialista, per la quale era stata concepita, prima nel 1918 e poi nel 1945, e come un «apprendista stregone» fugge dalle mani del suo padrone, è immediatamente ridotta al silenzio o accusata di antisemitismo. Solo una vera forza morale oggettivamente super partes può assicurare ai popoli pace e benessere. Secondo Vitoria «la Società internazionale deve portare alluomo quei beni, che nemmeno la Nazione è sufficiente a procurare. La stessa diversità di distribuzione delle risorse naturali (...) suggerisce la collaborazione tra le varie Nazioni per attuare, con reciproca utilità, un vicendevole scambio di beni» (6).

 

Anche un padre gesuita, Francisco Suarez (+1617), circa un secolo dopo il Vitoria trattò la questione del Diritto Internazionale («De legibus», lib. II, Conimbricae, 1612): le diverse nazioni del mondo «sono formate da individui, che possiedono la stessa natura umana, costituiscono ununità morale, perché gli individui che la compongono sono tutti membri di una grande medesima famiglia (...) sono tutti creature del medesimo Dio (...) e perciò obbligati ad amarsi e aiutarsi vicendevolmente; ma oltre a ciò le diverse nazioni costituiscono anche una certa unità politica per cui si passa dal campo della carità a quello della giustizia (...) infatti, benché ogni nazione (...) sia autosufficiente (...) e perciò, assolutamente parlando, possa esistere e vivere senza bisogno delle altre, pure (...) son portate (...) ad unirsi le une le altre per aiutarsi e giovarsi» (7).

L’isolamento totale tra i vari Stati è contro l’ordine naturale e la volontà del Creatore. Infatti l’uomo è per natura un animale sociale o socievole, tende a formare una società civile e non esiste un organismo, di ordine temporale, superiore allo Stato. E’ possibile che più Stati formino delle confederazioni, ma esse poggiano su decisioni libere e non sono fondate sulla natura. Inoltre gli Stati confederali conservano la loro indipendenza e non formano un super-Stato unitario; mentre se gli Stati vogliono fondersi e assoggettarsi tra loro, allora abbiamo un nuovo Stato ingrandito. Tuttavia - specialmente nei tempi attuali - un rapporto tra gli Stati è necessario; non si può lasciar tutto all’arbitrio del più forte; esistono diritti e doveri che gli Stati son tenuti a riconoscere reciprocamente, ossia esiste il Diritto Internazionale, che studia i rapporti tra le varie nazioni e si definisce come l’insieme di diritti-doveri degli Stati nei loro rapporti reciproci.

 

Anche i pagani avevano un’idea di Diritto Internazionale, pur se imperfetta; erano soliti infatti mantenere la parola data (cosa ignorata dagli Stati moderni o machiavellico-liberali, in cui vige solo la ragion di Stato), ma essi praticavano l’ira e l’invidia e consideravano lo straniero (anche di un’altra città) come nemico. La guerra era la conseguenza naturale che regolava normalmente - e non eccezionalmente come dovrebbe essere - i rapporti tra popoli; al vincitore spettava il «diritto» di uccidere i vinti. Solo con il cristianesimo, data l’idea dell’origine comune degli uomini, della sostanziale identità di natura, pur con differenze accidentali e di un fine ultimo comune a tutti, il Diritto Internazionale nella sua pienezza divenne possibile. Esso avvicinò tra loro le nazioni, sotto il patrocinio del Papa e dell’Imperatore per risolvere eventuali contrasti che sarebbero sorti.

Nell’antichità pagana, ogni nazione (tranne - parzialmente - Roma), si considerava assolutamente diversa dalle altre, l’orgoglio nazionalista divinizzava il sangue, il suolo e il capo e disprezzava i popoli stranieri, tendendo all’ostilità reciproca, che portava o alla conquista forzata degli altri Stati o alla distruzione della nazione stessa.

 

Con l’Umanesimo e il Rinascimento del paganesimo e la pseudo-Riforma protestante, apportatrice di scisma e divisione all’interno della Cristianità, si ritornò all’odio e al disprezzo nei rapporti internazionali. Nei rapporti diplomatici non valeva più la parola data, la bugia e l’inganno erano leciti e doverosi; con la modernità liberal-democratica o socialista, prevalse il materialismo, oggi - addirittura - si attacca «democraticamente» guerra senza averla dichiarata (ad esempio gli USA in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan o Israele contro la Palestina, il Libano, la Siria e domani forse contro l’Iran) (8) , si rompono i trattati internazionali senza giusta causa e unilateralmente, i concordati sono violati; l’importante è ottenere l’interesse e il guadagno dello Stato neo-pagano o assoluto e moderno. Ogni uomo, per la legge naturale, ha dei diritti - alla vita, all’onore, alla libertà e alla proprietà - non solo nella sua nazione, ma ovunque in quanto uomo ossia persona intelligente e libera, così egli può viaggiare attraverso il mondo, attraversare tutti i Paesi, rispettando le loro leggi, sapendo che in tutti i luoghi è protetto dai suoi diritti naturali ed oggettivi (non uccidere, non rubare, non riguardano solo i cittadini di una particolare nazione ma ogni uomo).

Naturalmente ogni nazione possiede il diritto di sottoporre a certe restrizioni la libera dimora degli stranieri nel suo suolo, per il bene comune, soprattutto se si tratta di entità considerevoli, ad esempio i musulmani che sono immigrati in massa in Europa (senza, però, lasciarsi prendere dall’«arabo-fobia»). Se uno Stato si trova in pericolo ad opera di un ingiusto aggressore, gli Stati limitrofi devono prestargli aiuto, senza grave danno proprio, come se la casa del vicino va a fuoco, sono tenuto a prestargli aiuto per carità, che non obbliga con grave incomodo. Quindi il principio di «non-intervento de jure», proprio della Svizzera [la quale ha riempito le proprie banche con i beni degli stranieri in guerra, che poi sono state vuotate dai centri Wiesenthal; «Chi di ‘oro’ ferisce di ‘oro’ perisce», insegna il Vangelo] è contrario al diritto naturale e internazionale. Occorre evitare lo scoglio dell’errore totalitarista, che idolatrando l’uomo desidera uno Stato universale (la Repubblica e il Tempio universale massonici) o il Panstatismo che oggi sono realizzati dalla globalizzazione e dal mondialismo. Mentre una confederazione di Stati, ossia un’unione politica delle nazioni, sotto una guida comune super partes - come potrebbe essere il Papato - che regoli i rapporti internazionali, senza immischiarsi negli affari interni dei singoli Stati, è del tutto auspicabile.

 

«Il medioevo nel suo periodo più fulgido realizzò in parte lidea di un diritto internazionale e di una confederazione di Stati, formanti una Cristianità, almeno in Europa. I popoli cristiani formavano una grande famiglia, avente il Papa come capo spirituale e lImperatore come difensore della Chiesa e capo temporale. E innegabile che anche questunione, in molti punti, non ottenne il suo scopo (...). Se il mondo fosse divenuto cristiano (...) ci poteva essere maggiore speranza di realizzare lunione internazionale (...). Nel Concilio Vaticano I, molti cardinali presentarono a Pio IX una petizione, nella quale lo pregavano caldamente di stabilire - in virtù della sua infallibilità - le massime più importanti del diritto internazionale (...). In modo speciale chiedevano l’istituzione di una Corte Suprema e permanente di giustizia, composta dai più celebri giuristi di tutte le nazioni, che - sotto la presidenza del Papa - avesse il compito di raccogliere i principii di giustizia nelle relazioni tra i popoli (...) così le Nazioni sarebbero state preservate da tante guerre ingiuste, ed esiziali (‘Acta et decreta conciliorum recentiorum’, Collectio Lacensis, VII 861 seguenti)» (9).

 

Per fare un esempio attuale, l’Europa potrebbe - forse - unirsi alla Russia, (che, con Putin letto alla luce di Solgenitsin (10), sembra voler imboccare una strada diversa dal bolscevismo sovietico, il quale l’ha portata alla fame), enorme territorialmente, ricca di materie prime, ma sprofondata in una paurosa crisi economico-politica dopo settanta anni di regime sovietico, ed aiutarla ad uscirne fuori, insegnandole il modo di ben governarsi; mentre a sua volta il «Vecchio Continente», ringiovanito e ingrandito da questa unione (come avvenne alla fine dell’Impero Romano, con l’afflusso dei barbari germanici), potrebbe sganciarsi dalla «tutela» opprimente degli USA, che hanno creato la «guerra fredda», per affossare la Russia, colonizzare l’Europa e domani il Medio Oriente. Ma l’Europa ha ancora la forza morale di «evangelizzare» la Russia? E questa è davvero post-comunista ed ha l’energia per uscire dallo stato comatoso in cui il bolscevismo e l’«ortodossismo» l’hanno ridotta? Io non lo so, Dio lo sa. Non si rischia di imboccare una strada «euro-asiatica» in apparenza specularmente diversa, ma in realtà sostanzialmente simile a quella «euro-americana» dei teo-con, che vedono negli USA un nuovo Clodoveo o Carlo Magno?

 

In ogni modo, concludendo, per Vitoria il mondo costituisce una vera Società internazionale.

«Se poi tra le nazioni sorgevano controversie o liti, era necessario giungere ad un regolamento pacifico, ricorrendo eventualmente allarbitrato di terze potenze o di autorità in qualche modo superiori, quali il Papa o lImperatore [quando c’era ancora, nda]» (11). In breve, l’uomo - per natura - è un animale socievole. Quindi, tende a formare una famiglia e poi uno Stato. Ma, «oltre i confini nazionali, luomo si incontra in altri suoi simili, per i quali riscontra la medesima natura, gli stessi bisogni, aspirazioni, ideali e tendenze. Egli si sente quindi, portato del tutto spontaneamente ad entrare in relazione di solidarietà anche con essi, dando così origine ad una società più vasta, alla società delle genti. (A. Messineo, ‘Il diritto internazionale nella dottrina cattolica’, Roma, edizioni Civiltà Cattolica, 1944, pagina 48)».

La Società delle Genti è anch’essa una istituzione naturale e necessaria. Pertanto - continua l’illustre gesuita - «Non solo luomo, individualmente preso è insufficiente a raggiungere la perfezione, ma anche lo Stato soffre delle medesime deficienze sebbene in grado minore, e come nellindividuo esse servono a stimolare il moto associativo, così anche nello Stato stimolano il medesimo moto, costringendolo ad uscire dallisolamento, per partecipare alle pulsazioni di una vita più vasta in una Società delle Genti. (ivi, pagina 54)».Tale società internazionale si deve basare su un diritto naturale e oggettivo che garantisca tutte le nazioni (e non solo le più grandi e le più forti) ad ottenere e conseguire - assieme alle altre - il benessere comune temporale.

Ecco il succo del Diritto Internazionale che nasce in un’università cattolica nella Spagna del Cinquecento (la superpotenza di allora, che aveva appena conquistato le Americhe) e ci apre vasti orizzonti per poter dominare e incanalare positivamente il vorticoso movimento delle nazioni moderne che dal 1914 non hanno cessato di muoversi guerre mondiali e poi nucleari, poiché hanno rifiutato il vero concetto di Diritto Internazionale per dei surrogati filantropico-massonici, che sfociano nel totalitarismo più assoluto, quello di una sola super-potenza, che porta la guerra in tutto il mondo per i suoi interessi economici, «democratici» e cleptocratici e si serve dell’ONU sino a che non la contraddice e lo discredita quando osa interferire. Onde la necessità del «Diritto delle Genti» e di una vera indipendente - e non fittizia vassalla come l’ONU - Società internazionale è più attuale che mai.


Per gentile autorizzazione di don Curzio Nitoglia a EFFEDIEFFE.com

www.doncurzionitoglia.com




1
) P. Dezza, «La filosofia», Gregoriana, Roma, 1982, pagina 215.

2) Ida Magli scrive su Il Giornale del 3 settembre 2009: «Il razzismo allincontrario rischia adesso di contagiare lItalia». L’articolo riguarda la vicenda di un ‘bianco’, che è stato costretto a fuggire dal Sudafrica per le vessazione razzistiche di senso contrario da parte dei ‘neri’. Egli si è rifugiato in Canada, non solo poiché Paese grande e ricco - commenta la Magli - ma poiché vi è il «fondato timore di ritrovarsi in Europa a rischio di maltrattamenti o almeno di sottomissione ai voleri di tanti immigrati». In Europa, continua l’autrice, «stiamo male poiché siamo costretti a vivere nello stesso territorio con popoli diversi da noi, e diversi prima di tutto fisicamente (…). E la natura che fa sì che i parenti si somiglino fisicamente tra loro (…). Le diversità fisiche colpiscono subito e creano immediatamente un senso di estraneità (...). Luguaglianza (sostanziale, in quanto tutti uomini o animali razionali, nda) è un valore meta-fisico (…), ma si tratta di un valore filosofico, difficilissimo da comprendere e da realizzare. (…) E quasi impossibile per un biancoidentificarsi in un nero’: comprendere i sentimenti, le percezioni, i gusti, intuire il tipo di intelligenza, le reazioni, gli interessi. Se si aggiunge a questo dato di partenza, la differenza di lingua, di religione, di storia culturale, ci si rende conto che vivere sullo stesso territorio non significa vivere insieme’. Non si amano le stesse cose; non si desiderano le stesse cose; soprattutto non si lavora per lo stesso futuro, non si hanno le stesse mete (…). Si è costretti al silenzio, allumiliazione, al rimbambimento, gli europei ponendogli sempre di fronte le stimmate della seconda guerra mondiale, ma esistono, oltre agli immigrati in Europa, miliardi di uomini (…), che non si piegano davanti alla onnipotente presunzione della guida americana e che manderanno allaria ogni idea di uguaglianza unificatrice e di governo mondiale. Non sarebbe, dunque, urgente che anche noi, gli italiani, gli Europei, riprendessimo in mano la nostra vita, il nostro futuro? Cosa hanno fatto di male i giovani italiani, i giovani tedeschi, nati tanto tempo dopo il fascismo, dopo il nazismo, perché debbano tenere ancora la testa bassa, umiliarsi, chiedere perdono?».

3) L. Taparelli D’Azeglio, Civiltà Cattolica, Roma, 8ª edizione, 1949, volume II, numero 1582; pagine 173-200. Il Diritto naturale è oggettivo in quanto è «la ragione e la volontà divina, che comanda losservanza dellordine naturale e ne proibisce il turbamento» (Sant’Agostino, «Contra Faustum manichaeum», XXII, 27). Onde la base su cui poggia l’ordinamento o il Diritto naturale è assolutamente salda, immutabile ed oggettiva, essa corrisponde alla volontà e all’Essere divino, che da tutta l’eternità ha ordinato le creature al loro fine, esse - perciò - hanno una disposizione naturale a formarsi i concetti di bene e di male e a comprendere che «occorre fare il bene e fuggire il male».
Dunque l’uomo per natura è inclinato ad agire in maniera conforme all’ottenimento del fine. Per cui la spiegazione del dovere va cercata in Dio e nella natura umana, che partecipa alla Legge divina tramite la legge naturale, inscritta nell’anima di ogni uomo, che si sente obbligato davanti al suo Creatore a rispettare certe regole per cogliere il fine, e non nel soggetto umano che sarebbe legge a se stesso (morale autonoma kantiana o giusnaturalismo illuminista di Grozio, Pufendorf e Rousseau). Perciò Dio in quanto Creatore ha dei Diritti ad essere onorato e obbedito dalla creatura, che in quanto tale ha dei doveri verso Lui. Il dovere di agire in un certo modo e non in un altro va ricercato nel Diritto che Dio ha di mettere ordine nell’universo creato, con regole precise, ed aiutare - così - la creatura ragionevole e libera ad agire bene, prendendo i mezzi buoni a cogliere il fine. Se la morale fosse soggettiva e autonoma, l’uomo dovrebbe essere il Creatore dell’universo e di se steso, ma ciò ripugna, come ogni sistema filosofico immanentistico e panteistico.

4) Le sue lezioni erano trascritte dai suoi allievi. Le lezioni ordinarie (commento alla IIa-IIae della «Somma Teologica» di San Tommaso d’Aquino) riguardanti le virtù morali e teologali, furono pubblicate solo recentemente, a cura di padre Beltran De Heredia O.P. nella collezione Biblioteca de Teòlogos españoles, a Salamanca, in cinque volumi, dal 1932 al 1935. Ma l’opera che lo rese famoso fu pubblicata undici anni dopo la sua morte (1557) e si intitola Relectiones theologicae, che sono la raccolta delle lezioni straordinarie, che una volta l’anno De Vitoria leggeva pubblicamente durante il suo insegnamento a Salamanca (1526-1541); esse erano dei compendi divulgativi delle lezioni ordinarie o quotidiane. Sono divisibili in due parti: la prima di carattere giuridico (ed è la più importante) e la seconda di carattere teologico. Le Relectiones più note sono quelle sul potere della Chiesa, del Papa e del Concilio ecumenico che è inferiore a quello del solo Papa, il potere politico temporale e il diritto di guerra, quelle che riguardano il Diritto Internazionale sono intitolate «De Indis» e trattano della conquista delle Americhe da parte della Spagna. Esse sono più attuali che mai, poiché aiutano a «promuovere una fruttuosa collaborazione tra i popoli e una pacifica soluzione dei problemi internazionali che inevitabilmente sorgono» (P. Dezza, ibidem, pagina 216).

5) Oggi, nel contesto dello «scontro di civiltà» - Samuel-Huntingtoniano - voluto dagli ambienti «teo-con» giudaico-americanisti, l’ONU pur essendo nata come organizzazione rivoluzionaria e mondialista, alcune volte si ritrova a svolgere un ruolo diverso da quello delle superpotenze che dirigono il mondo. Per esempio, proprio in questi giorni, «Israele e Francia accusano: lAgenzia ONU ha nascosto notizie sulla bomba nucleare di Teheran. Fra poche settimane El Baradei lascerà la guida dellAIEA (…). Adesso persino lAmerica di Barak Obama, il presidente dellamano tesae delle trattative ad oltranza con i nemici degli USA, non escluderebbe lopzione militare. Tanto di aver chiesto allItalia, intorno alla metà di settembre, di cominciare a valutare tutte le aziende che fanno ancora affari con Teheran, se non sia il caso di interromperli e di smobilitare i propri stabilimenti dallIran» (Shalom, ottobre 2009, pagina 14). Come si vede se l’ONU cerca minimamente di smarcarsi dalla politica mondialista (come è successo, qualche volta, soprattutto sotto l’era Bush jr.) è oggetto di critica da parte delle superpotenze che dirigono la politica, la finanza e la guerra o la pace nel mondo.

6) C. Giacon, «La seconda scolastica. I grandi commentatori di San Tommaso, il Gaetano, il Ferrarese, il Vitoria», Bocca, Milano, 1944, volume 1, pagina 185. Id., Suarez, Brescia, La Scuola, 1945.

7) P. Dezza, ibidem, pagine 196-197.

8) Secondo Sergio Romano il discorso di Ahmadinejad all’ONU del settembre 2009 andrebbe letto non in chiave «antisemita», ma anti-mondialista, in quanto il presidente iraniano ha criticato alcuni «circoli, che facendo uso del loro potere e della loro ricchezza, cercano di imporre un clima di intimidazione e di ingiustizia nel mondo e agiscono con prepotenza, mentre rappresentano se stessi, grazie alle loro enormi risorse medianiche, come difensori della libertà, della democrazia e dei diritti umani (…). E una manifestazione di antisemitismo? Se fosse tale sarebbero antisemiti anche tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto lesistenza  di una forte lobby filo-israeliana. Sarebbe antisemita ricordare che i consiglieri neoconservatori di Bush allepoca della guerra irachena erano in buona parte ebrei-americani (…). Lespressione antisemitismo non può essere usata come una clava per impedire legittime discussioni e legittime critiche» (Il Corriere della Sera, 29 settembre 2009).

9) V. Cathrein, «Philosophia moralis», Herder, Friburgo, edizione 21ª, Libro II, capitolo IV, «De jure internationali», pagine 501-516, passim. Confronta anche P. Carosi, «Corso di filosofia», volume VII, «Etica», parte II, articolo IV, «Il diritto internazionale», Paoline, Roma, 1960, pagine 301-322.

10) A. Solgenitsin, «Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione e durante il periodo sovietico», 2 volumi, Napoli, Controcorrente, 2007. L’Autore dimostra in questi due volumi di

1.200 pagine complessive che il ruolo del popolo ebraico nella storia umana ed anche in quella della Russia è innegabile e considerevole, soprattutto nella rivoluzione bolscevica, prima durante e dopo. Egli si immerge negli avvenimenti, non nei pre-giudizi e mostra a partire dalle relazioni tra ebrei e russi negli ultimi due secoli (Ottocento e Novecento) il ruolo preponderante svolto dal giudaismo nella Russia a partire dal XIX secolo. Soprattutto per quanto riguarda il bolscevismo, basta citare i nomi di chi ne era a capo per capire che la rivoluzione bolscevica fu tutto tranne che russa: essa fu voluta e fatta da ebrei, che manovrarono le masse russe alle quali fu fatta fare. Anche Putin ha dovuto lottare non poco con l’elemento ebraico, che si era impossessato della Russia durante la presidenza Eltsin ed è riuscito a liberare il suo popolo dalla stretta soffocante, che alcuni oligarchi e finanzieri apolidi avevano stretto attorno alla Russia. Il «Premio di Stato» conferito nel 2007 da Putin a Solgenitsin, arrestato come contro-rivoluzionario e anti-comunista dal KGB staliniano e rinchiuso in Siberia per lunghi anni, è dovuto soprattutto allo studio svolto dal Solgenitsin per mostrare come il giudaismo abbia influito negativamente e devastato la storia e il patrimonio spirituale e culturale oltre che economico del popolo russo sino ai nostri giorni. Assieme alla Russia il giudaismo internazionale ha rovinato l’Europa con la prima e la seconda guerra mondiale e assieme agli USA durante il dopo guerra ha cancellato l’identità culturale e spirituale anche del Vecchio Continente, rendendolo totalmente omologato al «Nuovo Modo di Vita» americano, al quale oggi come oggi resiste pienamente solo il mondo arabo, essendo penetrato parzialmente anche in estremo Oriente e in Asia.

11) C. Giacon, ibidem, pagina 195. Confronta anche F. De Vitoria, «La questione degli indios», Levante Editori, 1996. M. Fazio, «Due rivoluzionari F. De Vitoria e J.J. Rousseau», Roma, Armando, 1998. Aa.Vv., «L’universalità dei diritti umani e il pensiero cristiano del ‘500», Rosenberg e Sellier, 1995.

 

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