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Per lettori tifosi e mafiosi
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Già nel 1984 il problema della giustizia arbitraria fu posto alla Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali dal «venerato maestro» Giuliano Vassalli: partigiano (organizzò l’evasione di Pertini), antifascista, socialista, ministro della Giustizia con Goria, De Mita e Andreotti, giudice costituzionale. Dunque non certo un berlusconiano, anche perchè Berlusconi non era ancora sceso in campo, anzi non era nemmeno ancora cominciato «Mani Pulite».

Ecco che cosa disse Vassalli:

«La giustizia penale non offre alcuna garanzia al cittadino innocente o ingiustamente gravato da accuse... lasciato all’abitrio più incontrollabile del giudice che lo abbia preso di mira sulla base di semplici sospetti, di denunce anonime, perfino di antipatia personale, di prevenzioni politiche o simili... Non c’è nessuno a cui rivolgersi utilmente contro il giudice che manifestamente abusa delle proprie funzioni... I vari procedimenti disciplinari finiscono in burla. I magistrati sanno di potersi ridere sia dell’assenza di sanzioni civili che di sanzioni disciplinari, tanto più che nemmeno incidono sulla loro carriera».

E Vassalli continuava:

(...) «La minaccia all’indipendenza della magistratura viene oggi dall’interno della stessa magistratura. Il Consiglio Superiore della Magistratura da organo di autogoverno della magistratura rischia di divenire organo di governo sui magistrati, attraverso l’esercizio del potere che esercita sui singoli magistrati con le nomine, i trasferimenti, le promozioni, il conferimento di incarichi direttivi e l’azione disciplinare».

Quel che Vassalli descriveva era, nè più nè meno, la pratica «mafiosa» e intimidatoria del potere  da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Infatti, come riforma, suggeriva di ridurre la funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, e di modificarne la composizione, diminuendo nel suo seno il peso dei magistrati di carriera.

Dunque il problema era già a fuoco nel 1984, insieme con la coscienza che occorreva disperatamente una riforma della casta giudiziaria. E’ passato un quarto di secolo, e il problema non è stato nemmeno affrontato, ed anzi è peggiorato.

Tutti i partiti, sinistra e destra (cosiddette), hanno invece preferito accomodamenti con la casta giudiziaria, lasciandole un potere sempre più vasto e abusivo; da un lato nel calcolo di guadagnarsi l’appoggio di quel potere, dall’altro nella speranza di essere risparmiata dalle cosiddette inchieste.

Qui, la colpa maggiore è di Berlusconi, che ha la maggioranza per rimettere nei limiti il potere della casta, e non lo fa. E’ la colpa peggiore che gli attribuisco, la colpa politicamente imperdonabile.

Ma che dire della variegata galassia che si autonomina «sinistra»? Essa, per odio a un Berlusconi (che comunque passerà) sostiene attivamente un sistema penale che non offre alcuna garanzia al cittadino innocente, che può sbatterti in galera e rovinarti la vita «in base a semplici sospetti, per antipatia personale o prevenzione politica». Essa conta che l’arbitrio giudiziario agisca a suo favore, e le dia quel potere che non sa guadagnarsi da sè, perchè l’elettorato glielo nega. E’ ovvio che la maggioranza degli italiani continui a sentire questa «sinistra» come un pericolo, e preferisca, come meno peggio, votare il ridicolo Salame che fa poco o nulla, ma che almeno non è Robespierre e non instaurerà il Terrore giudiziario.

Qualche tentativo di risposta ad alcuni lettori, che so già inutile:

a Dani B., che intima:

«Mi si spieghi una volta per tutte e senza ambiguità e vaghezza: 1. come mai Mangano è stato a casa di Berlusconi per due anni, 2. come mai Dell’Utri vendeva-comprava ‘cavalli’, 3. come mai da quando c’è Forza Italia in Sicilia prende il 90% dei voti e poi mi si riabiliti definitivamente Cuffaro che se non sbaglio non è uscito dalla politica in modo proprio pulito pulito».

Non sto dicendo che Berlusconi non abbia rapporti con mafiosi. Sto dicendo che la magistratura, proprio per la foga di incastrarlo, non riesce a farlo in modo credibile; e trascina nel fango (diciamo) la propria credibilità, pretendendo che Berlusconi sia il mandante delle stragi: cioè di un atto che non si deduce logicamente dal fatto che Berlusconi abbia assunto Mangano. Attenzione: chiunque apra un negozio in Sicilia deve assicurarsi la benevolenza della mafia, se non vuole vederlo bruciare per auto-combustione. E Berlusconi, un tempo, ha posseduto non un negozio, ma la catena di grandi magazzini Standa. Non sono stati bruciati. Dunque... Inoltre le ricordo che in Sicilia, tempo fa, Leoluca Orlando della Rete (ossia l’antimafia professionale incarnata, oggi nel partito degli onesti alla Di Pietro) prese il 70% dei voti. Secondo tutti, un simile risultato era impossibile senza accordi con la  mafia. Come vede, l’esercizio del sospetto giudiziario è un’arma a doppio taglio. Vedi alla voce «Il mio mascalzone è più pulito del tuo».

Si rilegga il post del lettore Franco PD: «Mangano lavora per Berlusconi dal ‘73 al ‘75. Ce lo porta Dell’Utri che evidentemente si fida di lui. I carabinieri sostengono sia un mafioso già a quell’epoca (politicamente comunque assolutamente non sospetta per quanto riguarda Berlusconi). Ma lo sanno solo loro o no? Ed è vero? Siamo sicuri che Dell’Utri lo sappia o è uno dei soliti teoremi?».

Già. Qui abbiamo una magistratura che, per prevenzione ideologica e antipatia personale, scambia i propri sospetti di pancia per prove. Al punto da credere di non aver bisogno di portare altre prove, professionalmente sostenibili, per dimostrare che Dell’Utri è il raccordo con la mafia. Ma in aula, occorrono prove; bisogna dimostrare che fatti determinati si sono effettivamente verificati oltre ogni dubbio; e che il dubbio, nel diritto, vale «pro reo», a favore dell’imputato, non a sua condanna. E la magistratura d’accusa non è stata capace di fornire alcuna prova, perchè per essa il dubbio basta a condannare. Ma assumere una persona non è un reato; il resto è pura illazione, sospetto ispirato dalla faziosità.

Così, non sapremo mai se davvero Berlusconi è il capo-mafia. Sappiamo invece che la magistratura, in troppi casi, vìola il principio del diritto «in dubio pro reo»: il che è un pericolo per tutti i cittadini, non solo per Berlusconi.

 A giulgra87

«Il Direttore se la prende con i ‘pentiti’ come Spatuzza che raccontano quello che il PM vuol sentirsi dire, pur di intascarsi i benefici della ‘collaborazione con la giustizia’. Fin qui nulla da obiettare se non fosse che il Direttore mai ha speso una parola per i ‘pentiti’ che accusano Cesare Battisti, per il quale non provo alcuna stima sia chiaro, ma che inchiodano sulla base di ‘testimonianze’ non essendoci ‘riscontri oggettivi’. Mai una parola ha speso sui ‘pentiti’ di mafia che hanno fatto arrestare esponenti di clan mafiosi. Fintanto che nessuno toccava Berlusconi si potevano far arrestare persone sulla base di testimonianze».

La imito nel suo modo di s-ragionare e la accuso: lei è uno di quelli che difendono e fanno il tifo per Cesare Battisti il terrorista criminale, in quanto «rosso». E’ un complice morale di questo delinquente. Sta compiendo un concorso esterno in associazione terroristica e in omicidio. Non sono io che devo giustificarmi di fronte a lei; sia lei a giustificare la sua complicità oggettiva con il delinquente da lei preferito.

Dove ho mai scritto che, «finchè nessuno toccava Berlusconi, si potevano arrestare persone sulla base di testimonianze?». Lei confonde – non so se per idiozia oppure per malafede – la testimonianza con la deposizione dei pentiti. Anche un demente dovrebbe capire che sono due cose diverse. Quando in aula si interroga un normale testimone, conta la sua onorabilità e si cerca di valutare la sua onestà, la sua oggettività; gli viene fatto giurare di dire «la verità,tutta la verità e solo la verità»; e gli avvocati spesso demoliscono una testimonianza mostrando che in altre circostanze il testimone si è dimostrato inaffidabile; vanno a scavare nella sua vita privata, cercano di scoprire se ha emesso assegni a vuoto, se ha commesso reati, se tradisce la moglie, eccetera. Quando invece testimonia un «pentito», avviene il contrario: è proprio il fatto che sia un criminale comprovato a rendere «autorevole» la sua cosiddetta testimonianza. E può parlare a ruota libera, senza temere nulla, anzi con la fondata speranza di ottenere benefici.

Giuridicamente, questa è una orribile aberrazione. Diciamolo in altro modo: se io, Maurizio Blondet, incensurato (per ora), fossi stato chiamato al processo d’appello a Dell’Utri, ed avessi detto le cose che ha detto Spatuzza – cioè riferito una conversazione al bar in cui un altro mi aveva detto che la mafia aveva fatto un accordo con «quello di canale Cinque e con un compaesano» che secondo me era Dell’Utri – mi sarei beccato un’immediata querela per calunnia; e non solo dagli avvocati difensori, bensì anche dal procuratore, che mi avrebbe intimato subito di tacere. Invece, all’udienza, ho sentito un procuratore dire che Spatuzza è credibile proprio perchè «non è una brava persona», anzi perchè «è una cattiva persona», dato che «le brave persone non sanno niente».

Qualunque cittadino e «brava persona» dovrebbe sentirsi offeso da questa teoria «giudiziaria»:  come mai quelle di un cittadino onesto sono calunnie, e quelle di Spatuzza sono indizi degni di esame?

A chi è ancora in grado di usare la mente, dico: per quel che vale, io sono contrario ai «pentiti», ossia ad accogliere come prova sufficiente la delazione compensata di criminali comprovati. E’un accorgimento «politico» estremo, illegittimo e immorale, che si giustifica solo – ammesso che si giustifichi – come provvedimento speciale d’emergenza, quando alla lotta politica contro terrorismi e criminalità organizzate non bastano i normali mezzi legali. Una delle colpe peggiori del terrorismo rosso è proprio di aver dato la scusa ai poteri pubblici di introdurre una legislazione d’emergenza, ossia  tribunali «speciali» , identici ai deplorati (a parole) tribunali speciali del fascismo o dei regimi sovietici (o a quelli di Guantanamo).

Tale legislazione speciale avrebbe dovuto essere abolita da gran tempo, dopo la disfatta delle BR; non lo è perchè fa comodo ai magistrati, risparmia loro le fatiche delle indagini, lo studio delle prove, il rispetto del principio «in dubio pro reo», e consente loro di tenere sotto schiaffo chiunque vogliano.

Proprio per la loro natura altamente discutibile, i «pentiti» andrebbero almeno usati con estrema prudenza e con criteri severamente restrittivi. I magistrati invece ne abusano (come dimostra la deposizione Spatuzza, e la persecuzione di Enzo Tortora) senza limiti nè vergogna, fino ad ottenere effetti contrari a quelli che perseguono: oggi l’opinione pubblica ha la certezza, più che mai, che Berlusconi è un «perseguitato».

Aggiungerò che sono anche contro le intercettazioni telefoniche permanenti e a tappeto, lanciate come una rete a strascico per prendere qualunque pesce. E sono contrarissimo al concetto pseudo-giuridico di «concorso esterno in associazione mafiosa», per una ragione precisa: qualche volta, in Sicilia, devo essere stato in un albergo tenuto da mafiosi, o che esiste solo perchè ha pagato la tangente alla mafia. Dunque anch’io, se ad un pm salta in testa di incastrarmi, posso essere accusato di «concorso esterno», visto che ho pagato il conto dell’albergo, e dunque sostenuto «oggettivamente» la mafia.

Ancora il giulgra87:

«La manifestazione, solo un berluscone cieco può ignorarlo, non è stata organizzata da Di Pietro ma è partita da Facebook».

Solo un fazioso reso cieco dal partito preso può ignorare che Facebook e Twitter sono gli strumenti usati per eccitare le più recenti rivoluzioni colorate. E che non occorre che i «giovani con le facce pulite» che hanno partecipato alla manifestazione abbiano ricevuto un ordine personale dalle centrali americane di sovversione. Queste centrali si limitano a creare «etats d’esprit», stati d’animo collettivi (una forma di magia nera che non ha nulla di occulto): e i «giovani», come i topi del pifferaio di Hamelin, obbediscono agli «etats d’esprit» collettivi, all’aria che tira, e seguono il pifferaio. Ci vuole molto a capirlo?

E’ successo a Teheran (rivoluzione verde), in Georgia (delle rose), in Ucraina (arancione), in Libano. Tante belle facce pulite a protestare in piazza contro il regime occasionale. E tutte le volte si è vista la mano della CIA, come abbiamo documentato più volte per l’Est europeo. E sì, Di Pietro ha finanziato la spontanea manifestazione di Roma con 300 mila euro.

A Guglielmotell:

«Trovo che Lei, Blondet, quando parla di ‘vasta tifoseria antiberlusconiana’ manchi di rispetto a chi non la pensa come Lei. Coloro che disprezzano Berlusconi (e il suo mondo) non sono tutti teleguidati (come gli utili idioti di una volta e di sempre). Nei suoi stessi articoli di costume ci sono profonde ragioni umanistiche per marciare contro questo grottesco personaggio».

Ma certo, è lecito disprezzare Berlusconi (io lo faccio abitualmente) e ritenere che sia un personaggio grottesco, magari indegno di governare il Paese. Ma questi sono giudizi morali e politici. Però le procure accusano in aula Berlusconi di aver fatto accordi con la mafia, anzi di essere il mandante delle stragi: quelli sono fatti determinati, e quello è un giudizio penale: e lì occorrono prove certe, mica le chiacchiere per sentito dire di uno Spatuzza. La «tifoseria antiberlusconiana» manca di rispetto non solo a chi la pensa diversamente, ma ai principii stessi del diritto. Non vuole distinguere fra il piano morale e politico e quello giudiziario. E con ciò, si fa complice di una casta giudiziaria che invece, come cittadini, tutti dovremmo voler riformare, perchè lasciata libera di fare quel che vuole, tende a instaurare il Terrore giacobino. Robespierre, ricordiamo, si definiva «l’incorruttibile»; alla fine, i francesi preferirono farsi governare da corrotti, meno inclini a mandarti alla ghigliottina in base a sospetti «morali».

E’ per questo che una simile magistratura rafforza politicamente Berlusconi invece di indebolirlo.

Infine un post scriptum giuridico, visto che ci sono dei fondamenti del diritto che la tifoseria dimentica, e questa dimenticanza è una pura e semplice barbarie:

«La libertà personale è inviolabile»: Nei Paesi dove vige ancora il diritto, l’imputato arrestato deve essere giudicato entro 72 ore al massimo, non può essere detenuto senza condanna. Se l’accusatore non è riuscito in quel tempo a raccogliere prove sufficienti, l’accusato va rilasciato.

Il processo deve essere breve, perchè tenere sotto inchiesta o processo un imputato 15 anni è tortura.

Non è consentito cambiare i capi d’accusa nel corso del procedimento. Non è consentito imputare due volte l’accusato dello stesso reato, per il quale è stato già assolto.

«In dubio pro reo»: nel dubbio, l’imputato va assolto per insufficienza di prove.

«L’imputato è innocente fino a prova contraria»: Non spetta a lui comprovare la sua innocenza, ma è il procuratore che deve provare la sua colpevolezza.

«Nessuno è tenuto a testimoniare contro se stesso»: L’imputato non ha l’obbligo di dire la verità, e infatti non viene obbligato a giurare; ha diritto di difendersi anche mentendo, oltre che con tutti i mezzi e i trucchi avvocateschi possibili.

Capisco che questi fondamenti  dispiacciano alla tifoseria giustizialista. Dispiacevano anche a Robespierre. E ai tribunali sovietici, che ne facevano a meno. Ma con ciò si instaura la barbarie giudiziaria, perchè quei principii hanno lo scopo precisamente di proteggere il cittadino dagli arbtitri del potere.



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